«Connor, svegliati. Su, andiamo!» Connor O’Brien aveva studiato fino a tardi. Poco prima, aveva messo la mano fuori dalla coperta, per saggiare la temperatura, rendendosi conto che era davvero freddo quella mattina, perciò aveva spento la sveglia, ed era ritornato ad acciambellarsi sotto le coperte come un gatto. Ma il suo compagno di stanza, già pronto per la lezione a cui avrebbe dovuto assistere anche lui, nell’aula sette del college, non aveva intenzione di dargli tregua.
«Liam, ora vengo! Ti prego, solo altri cinque fottuti minuti.» il compagno, che lo conosceva davvero bene, non si fece impietosire e, prendendo le coperte saldamente tra le mani, le tolse, facendole cadere per terra, lasciandolo completamente scoperto.
«Che cazzo Connor! Almeno le mutande, Dio che schifo!» Connor si alzò di scatto correndo in bagno, sghignazzando per la reazione di Liam.
«Così impari a compiere questi atti violenti stronzo!» Liam scosse la testa, il suo amico era davvero uno spasso. Si conoscevano da una vita, e non si ricordava nemmeno quando avesse detto loro di essere gay, forse non l’aveva mai nemmeno detto, lo sapevano e basta, ma a nessuno di loro era mai importato nulla, Connor era Connor e basta.
«Ti aspetto solo per altri cinque minuti! Poi te la dovrai fare a piedi, “tesoro”.» maledicendosi per il ritardo accumulato, si precipitò di nuovo nella stanza, mettendosi le prime cose che gli capitarono sotto mano. In un battibaleno fu pronto per uscire, spettinato a dovere.
Dopo aver assistito a una noiosissima lezione di diritto privato, decisero di andare alla caffetteria del college per mangiare qualcosa e raggiungere gli altri ragazzi della loro confraternita. Infatti li trovarono già seduti al solito tavolo. C’erano tutti, i gemelli Molua e Naisi Walsh, che spiccavano per i loro capelli rossi arruffati, Uilliam Doyle, come sempre vestito come un becchino, Tuama Kelly, “la montagna”, soprannome meritato in quanto capitano della squadra di rugby del college. Erano solo una piccola parte della confraternita dei Dullahan, ma erano quelli più importanti per Connor.
«Hey!» li salutarono mentre si avvicinavano. I gemelli si spostarono per farli sedere.
«Di che stavate parlando?» chiese Liam, mentre addentava il panino di Molua, prendendosi una delle sue gomitate alle costole seduta stante.
«Halloween! Stavamo parlando di cosa fare a Halloween e a Uilliam, è venuta un’idea strepitosa!» Uilliam, senza scomporsi dalla sua aura spenta, sembrò quasi illuminarsi.
«Andremo al DerryHalloween!» Connor arricciò il naso.
«Non siamo un po’ grandicelli per andare a festeggiare Halloween?» Liam lo guardò con un sorriso ironico. Erano all’ultimo anno di college, l’anno successivo tutti loro sarebbero entrati a far parte del mondo del lavoro, era una delle ultime occasioni per vivere spensieratamente la loro esistenza.
«Ma noi non andiamo per quello, noi andiamo per la quantità di figa che c’è!» il boato dei suoi compagni, a quella affermazione, fece guadagnare loro un monito severo dal proprietario.
«Ma non temere, Connor, mi hanno detto che ci sono anche tante banane per te!» Connor alzò il dito medio, suscitando l’ilarità del gruppo. Era vero però che, in quel ciclo di studi, non si era mai fatto mancare sperimentazioni sessuali di vario genere, ma i suoi gusti erano diventati sempre più difficili, man mano che il tempo passava, ma non gli importava, erano insieme e si sarebbero divertiti, e se poi avesse incontrato sulla sua strada qualche bel maschione, sarebbe stato ancora meglio.
Continuarono a discuterne per una buona mezz’ora poi, la maggioranza vinse; quel venerdì, sarebbero partiti, a organizzare il tutto ci avrebbe pensato proprio Uilliam, prospettiva tetra per tutti, visto il suo gusto innato per l’horror.
«Connor cazzo! Ci stanno aspettando in macchina da almeno venti minuti!» Connor si precipitò fuori dalla stanza, con lo zaino buttato su una spalla.
«Pronto, pronto, pronto, andiamo!» lo sorpassò facendolo ridere.
Arrivarono nel primo pomeriggio, giusto il tempo per sistemarsi nell’Hotel, che ovviamente era stato scelto oculatamente per numero di presenze di fantasmi, ma non si aspettavano niente di meno da Uilliam. Poi si ritrovarono tutti nella camera di Tuama per prepararsi. Il risultato finale era: una coppia di zombi identici, Molua e Naisi, una morte con tanto di falce, Uilliam, un Hulk, Tuama, uno zombie, Liam e un angioletto, Connor.
Uscirono dall’Hotel pronti per andare a gustarsi la parata. La città era già in pieno fermento, in ogni angolo c’era un evento, o uno spavento. Era impossibile non farsi travolgere da quell’atmosfera teatralmente allegra. Ne gustarono ogni sfumatura, ogni odore e ogni sensazione. Ebbri ma non paghi, ma soprattutto affamati come lupi, dopo la parata, decisero di rifugiarsi nel primo pub che non fosse stipato. Sbatterono letteralmente contro al Diabhal Dána (Il diavolo birichino), un vecchio pub, addobbato a dovere per l’occasione. Era pieno, ma non stipato e, quella sera, la campana sarebbe suonata alle due, avevano due ore e mezzo di puro divertimento, birra a fiumi e, tutti speravano ancora, belle ragazze. Connor non cercava nulla, a lui bastava divertirsi e, quella sera, era perfetta. Si fecero strada tra gli avventori per trovare un tavolo libero che potesse accoglierli tutti. Fu in quel momento che Connor lo vide. Svettava dietro il bancone, grande, grosso, rosso e con un gran bel paio di corna ricurve a sormontargli la testa. Era appoggiato al bancone e rideva con alcuni clienti, dando bella mostra dei suoi canini aguzzi e dei bicipiti che guizzavano come se avessero vita propria. Connor era rimasto lì, imbambolato, mentre gli altri andavano avanti a occupare un tavolo che si stava liberando.
«Ragazzi, ma dov’è Connor?» Liam, appena si sedette, si rese conto che se l’erano perso, e nessuno di loro se n’era accorto.
«Vado a cercarlo.» si alzò cercandolo con lo sguardo, lo vide a pochi metri dal bancone che fissava qualcosa davanti a sé. Lo raggiunse.
«Ehm… Connor, lo stai fissando in un modo piuttosto, come dire, sfacciato.» Connor distolse lo sguardo, mettendo a fuoco il viso dell’amico.
«Ma l’hai visto?!» Liam scoppiò a ridere e, prendendolo per mano, lo trascinò al tavolo.
«Ha persino gli occhi gialli a fessura… è la quintessenza del sesso quello!» disse appena seduto al tavolo. Di riflesso tutti girarono lo sguardo, era innegabile anche per loro, etero convinti, che quello fosse un esemplare di rara bellezza. In quel preciso momento, quegli occhi gialli incontrarono i suoi, mentre un sorriso si stampava sul suo viso, finendo direttamente nelle mutande di Connor. Poi sparì dalla loro vista.
«Se continuiamo così, la ragazza verrà a prendere il nostro ordine poco prima che la campana suoni!» gridò Tuama; la birra era una delle poche cose che lo faceva diventare loquace. Mentre cercava di catturare l’attenzione di una delle diavolette che servivano ai tavoli, qualcosa si frappose tra loro e la luce.
«Ciao ragazzi, cosa posso portarvi per rendervi felici.» Connor alzò gli occhi e spalancò la bocca, il suo diavolo era lì, a pochi centimetri da lui.
«Ecco, tre pinte di bionda e due di nera. E patatine a volontà.» Liam sogghignando, neanche tanto di nascosto, diede una gomitata a Connor, temendo che iniziasse a sbavare.
«E tu, angioletto, posso fare qualcosa per renderti felice?» le guance di Connor si accesero di un color rosso porpora. Ingoiò la saliva, cercando di recuperare l’uso della parola.
«L-le patatine andranno benissimo, signore…» i suoi amici si stavano mordendo le labbra per non scoppiare a ridere, nessuno di loro aveva mai avuto il piacere di vederlo in quelle condizioni.
«Eppure, avrei detto che fossi un tipo da Barm Brack. Connor, giusto?» il suo nome, pronunciato da quella voce cavernosa, gli incendiò il basso ventre, mai gli era successa una cosa del genere, un’attrazione così potente da renderlo completamente rimbambito.
«L’assaggerei volentieri, signore.» un sorriso malizioso accese la bocca del diavolo.
«Te lo farò assaggiare allora, Connor.» appena il diavolo si fu allontanato a sufficienza, i suoi amici scoppiarono a ridere fino alle lacrime.
«Oddio Connor! “L’assaggerei volentieri” davvero l’hai detto?» Liam, con il suo solito tatto, aveva dato voce a quello che tutti stavano pensando.
«A che ora partiamo domani?» chiese Connor, senza partecipare minimamente all’allegria del gruppo.
«Alle diciassette in punto.» gli rispose Uilliam.
«Spero di riuscire ad essere puntuale.» sussurrò. Il loro amico sembrava in trance, era come se quel diavolo gli avesse fatto un incantesimo.
«Ecco le vostre birre, le patatine e… la Barm Brack, Connor.» gli disse, mentre lo avvolgeva con il possente braccio, appoggiando poi il piattino davanti a lui.
«Mi chiamo Woland. Puoi rimanere dopo che avremo chiuso il locale?» gli occhi di Connor saettarono da destra a sinistra, nessuno dei suoi amici sembrò aver sentito ciò che gli aveva appena sussurrato all’orecchio.
«Io… posso restare.» gli rispose senza guardarlo. Le sue narici inspirarono il suo profumo e, per un attimo, si sentì ubriaco. Da quell’istante in poi, il tempo sembrò andare più lento. I minuti sembrarono ore poi, finalmente, la campana dell’ultimo giro di birra suonò, facendolo letteralmente saltare sulla sedia.
«Ora di andare a nanna.» i ragazzi si alzarono dalle sedie, tutti tranne Connor.
«Hey, schiodati amico!» Connor scosse il capo.
«Ci vediamo domani ragazzi.» parole impronunciabili uscirono dalla bocca dei suoi amici, che se ne andavano a mani vuote mentre per lui, la serata avrebbe avuto un seguito sicuramente piccante. Nel giro di un quarto d’ora il locale si svuotò e, pochi minuti dopo, anche le cameriere se ne andarono. Erano rimasti soli.
«Ciao Connor. Ho pensato che ci volesse il bicchiere della staffa.» gli disse, appoggiando sul tavolo una bottiglia di Whisky irlandese e due bicchieri.
«Allora Connor, sei davvero un angioletto?» Connor si versò un po’ di liquore e lo bevve tutto di un fiato.
«No, affatto, visto che sono rimasto qui, da solo ad affrontare il diavolo.» si avventò su Woland, ma lui lo bloccò.
«Vado a chiudere la porta.» si alzò, Connor valutò che doveva essere alto almeno un metro e novanta, il che lo faceva sembrare un nanetto al suo fianco, con il suo metro e settantasei. Chiuse la porta e abbassò le luci e, mentre ritornava da lui, si tolse i gilet in pelle, che in realtà non lo copriva davvero molto, rimanendo con i soli pantaloni di pelle a vita bassa. Lo osservò mentre tornava verso di lui, le spalle larghe, i pettorali possenti, la tartaruga e quella V! Quella che collega il femore al bacino, così pronunciata da fargli venire voglia di leccarla. Lo prese per mano e lo guidò nel retro. A quanto sembrava lì c’era un piccolo appartamento, era lì che viveva? Ma i suoi pensieri furono interrotti quasi subito, dalle mani che si posarono possessive sui suoi fianchi e dalla sua bocca, che si insinuò nell’incavo del collo, strappandogli un gemito decisamente poco virile.
«Questa è di troppo.» arrotolando la veste bianca, che lo copriva fino ai piedi, gliela fece arrivare fino alle spalle, per poi sfilarla dalla testa. Sotto vestiva un sottile maglioncino di cashmere e un paio di leggings, che vennero tolti altrettanto velocemente, così come gli anfibi, lasciandolo con solo i boxer addosso.
«Che pelle bianca e delicata. Sembra traslucida.» gli disse percorrendo la sua vena giugulare con una delle sue grosse dita. Non sapeva se era la situazione, l’atmosfera o cosa, fatto sta che era convinto che sarebbe riuscito a venire anche solo ascoltando quella voce.
«Con tutto il colore che hai addosso, alla fine, non credo che resterò molto bianco.» una risata profonda lo fece rabbrividire, mentre lo girava verso di lui.
«Oh, piccolo Connor, hai proprio ragione, ho assolutamente intenzione di insudiciarti… ovunque.» la sua bocca gli catturò il labbro inferiore, succhiandolo così forte da farlo diventare rosso come una ciliegia, poi la sua lingua s’insinuò nella bocca, provocandogli un’erezione così potente che l’uccello fece capolino dai boxer.
«La pittura rossa, è commestibile?» Woland scosse il capo, mentre si slacciava il bottone dei pantaloni di pelle e faceva scendere la zip.
«No, ma qui non l’ho messa.» gli rispose, mostrandogli il membro completamente in tiro. Connor non se lo fece ripetere due volte. S’inginocchio e prese ad accarezzargli la grossa asta, ma anche facendo del suo meglio, non riuscì a prenderla tutta.
«Connor, grazie ma preferisco continuare sul letto.» Connor si sdraiò sul letto e, pochi istanti dopo, Woland lo raggiunse munito di lubrificante e un pacco di preservativi.
«Fammi vedere cosa c’è qui in mezzo.» gli disse mentre insinuava la mano in mezzo alle sue cosce, mentre con l’altra raggiungeva un capezzolo strizzandolo forte. Il gel freddo lo fece sobbalzare, ma non quanto l’intrusione del suo grosso dito, prontamente fatta dimenticare dalle sue labbra che si erano avventate sull’altro capezzolo.
«Se vuoi prenderlo tutto, bisogna che ti prepari per bene, sono un diavolo grosso.» la seconda intrusione lo fece sentire pieno, calcolò che probabilmente due delle sue dita erano equiparabili a un uccello di dimensioni normali, riuscì a formulare quel pensiero appena in tempo, perché subito dopo le sue dita si arricciarono incontrando la prostata, portandolo velocemente al punto di non ritorno, prontamente fermato dalla mano di Woland che gli strinse la base del cazzo, spingendogli contemporaneamente in basso le palle.
«No, non ora.» un mugolio di frustrazione uscì dalla bocca di Connor, nessuno gli aveva mai negato un orgasmo, era frustrante. Il terzo dito lo colse di sorpresa, e di nuovo lo portò quasi all’orgasmo e, anche questa volta Woland, allentando il ritmo, lo bloccò.
«Cazzo!» le dita del diavolo uscirono dal suo buco provocando un rumore osceno. Woland si alzò in piedi e si tolse i pantaloni. S’infilò velocemente il preservativo, sul quale strizzò una consistente dose di gel.
«Sei pronto angioletto?» si adagiò su di lui, facendogli alzare ancora di più le gambe e lo penetrò, lentamente, fino in fondo.
«Ahhhh! Così stretto!» la sensazione di sentirsi così pieno, il suo odore, quegli occhi gialli con la pupilla a fessura, che lo guardavano lascivamente…era tutto così inebriante, e poi c’era quella cosa che gli accarezzava le gambe e gli provocava delle scosse elettriche.
«Woland, sento una cosa sulle gambe, è come se…» non fece in tempo a finire la frase, perché le labbra di lui lo zittirono e il ritmo delle stoccate aumentò considerevolmente, tanto da fargli perdere la ragione. Poi Woland lo prese su di peso inglobando le sue natiche nelle mani e lo scopò attaccato al muro. Per un attimo pensò che lo stesse aprendo in due. Venne copiosamente, urlando il suo nome, poi, il buio.
Woland lo posò sul letto e lo coprì. Fischiettando andò in bagno per farsi la doccia, finalmente poteva togliersi di dosso quella pittura fastidiosa. Lavò con particolare cura le sue corna e la sua splendida coda, non poteva farlo spesso, ma almeno, in quell’unica notte dell’anno, poteva essere sé stesso, poteva mostrare al mondo la sua vera essenza, poteva rendere onore al suo nome.
N.d.A : Woland è uno dei nomi germanici del Diavolo, quale appare in diverse varianti delle antiche leggende relative a Faust anche come Valand, Faland o Wieland. Con tale appellativo è citato una volta da Goethe nel suo Faust
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