Another Door
Settimo capitolo
Harper aveva attivato una linea sicura, per poter effettuare delle chiamate irrintracciabili, avrebbero comunicato esclusivamente in quel modo, da quella mattina. Mark, appena arrivò in ufficio, verificò che sul suo conto corrente, fossero stati trasferiti i fondi necessari all’acquisto dei bit coin.
«John?» si era appena svegliato, si sentiva come se qualcuno, durante la notte, l’avesse calpestato numerose volte sulla schiena.
«Mark?» realizzò di trovarsi in casa di Loran, più precisamente, nella casa che Loran usava per incontrarsi con la sua squadra e, con tutta probabilità, con i suoi amanti. S’infilò velocemente i pantaloni e uscì dalla camera per cercarlo. Non gli ci volle molto, gli bastò seguire l’odore del caffè.
«Un attimo, ti metto in viva voce, sono insieme al capitano.» Mark non poté fare a meno di pensare che, se era lì a quell’ora, era probabile che fosse rimasto lì anche la notte, e questo lo fece sorridere.
«Sei in viva voce.» Loran spense il forno e ne estrasse dei croissant, che sparsero un profumo invitante in tutta la stanza.
«Ho ricevuto tutti i vostri bonifici, ora tocca a te, John.» Loran versò ad entrambi, una tazza di caffè fumante e si sedette.
«Appena John ha le coordinate ti chiamiamo.» rispose Loran laconico. John chiuse la chiamata, erano da poco passate le sette, doveva fare in fretta. Trovò il numero del suo amico, sperando che gli rispondesse, visto l’orario.
«Spero che sia morto qualcuno, se non è così qualcuno morirà presto…» lo aveva svegliato, questo era sicuro.
«Hey Torres, alza quel culo molliccio! Ho bisogno e subito.» Loran udì distintamente una serie di improperi, lanciati alla volta di John, che non parve impressionato.
«Cosa cazzo vuoi a quest’ora?» John sospirò scocciato.
«Voglio che mi compri dei bit coin, e li voglio ieri.» dopo aver subito un’altra serie di maledizioni, John udì distintamente il rumore dei tasti, Torres si era messo al computer.
«Quanti?» John sorrise, era certo di poter contare su di lui.
«Ne voglio tre, mandami le coordinate che trasferisco il denaro. Sono esattamente le sette e quarantuno minuti. Li voglio disponibili entro le otto e trenta.» Torres gli urlò una serie di parolacce in spagnolo.
«Vaffanculo! Chi credi che sia io, la banca d’America!? Non so se ce la faccio in così poco tempo!» John lo fece sfogare.
«Darling, io so che, l’unico sulla faccia della terra che può riuscirci, sei tu. Sai fare così tante belle cose…» il tono di John si era fatto mellifluo, Loran lo osservava incuriosito.
«Mi prometti che ci vediamo presto?» John sorrise mordendosi il labbro inferiore.
«Se riesci in questa impresa, ti assicuro che non te ne pentirai. Ci sentiamo tra poco.» chiuse la chiamata, Torres gli aveva già inviato un messaggio con le coordinate per effettuare il bonifico, le girò immediatamente a Mark. Alzò lo sguardo incontrando quello di Loran, era illeggibile, ma, anche così, riusciva a metterlo a disagio.
«Mangia.» gli disse, mentre distoglieva l’attenzione da lui.
«Buoni questi croissant! Quindi la nostra è stata una botta e via?» aveva in parte ripreso la sua sfacciataggine, e non era per nulla disposto a pregarlo, ma voleva capire.
«Credimi, è meglio così.» Loran sorseggiò il caffè.
«Perché? Hai paura di innamorarti di me?» gli chiese rivolgendogli un sorrisetto malizioso.
«Ho le mie ragioni.» John non demorse, voleva sentirle le sue “ragioni”.
«E quali sono queste “ragioni”?» insistette, lasciandosi andare sullo schienale della sedia.
«Per prima cosa, occhio e croce, dovrei avere una ventina d’anni in più di te.» e questa, per John, non era di sicuro una cosa che potesse detenerlo.
«Ho sempre avuto uomini più grandi di me. C’è altro?» Loran scosse la testa.
«Te la faccio io ora una domanda. Cosa abbiamo fatto ieri sera?» John trovò la domanda un po’ retorica.
«Sesso?» gli rispose con aria di sufficienza.
«Quindi tu fai sempre “sesso” nel modo in qui l’abbiamo fatto ieri sera?» John addentò un altro pezzo di croissant.
«No, ma mi piace un po’ di rudezza e mi sembra che siamo piuttosto compatibili, quindi perché limitarci a una botta e via?» Loran lo osservò attentamente, non riusciva ad inquadrarlo.
«Sai cos’è un Dom?» John sgranò gli occhi e bevve un generoso sorso di caffè.
«Quando dici “Dom”, intendi un dominante che pratica BDSM?» Loran annuì.
«Esattamente.» John spiazzò Loran mettendosi a ridere.
«Quindi la ragione è che non pensi che potrei essere un buon remissivo per te?» Loran sorrise a sua volta.
«Sub, si dice sub.» John fece spallucce, la cosa irritò Loran, e non poco.
«Va beh, hai capito benissimo cosa intendevo dire.» Loran si alzò di scatto, irritato dalla leggerezza con cui stava affrontando quell’argomento. Era chiaro che non conoscesse nulla del rapporto che lega un Dom al suo Sub.
«Lascia perdere John, tu non hai neppure una vaga idea di cosa stiamo parlando…» mentre sgombrava i piatti della colazione, a Loran venne in mente un pomeriggio di qualche anno prima, al posto di John c’era Jake. L’espressione del viso di Jake, quando gli spiegò che tipo di rapporto avrebbe voluto con lui, era di disgusto. Tutto il contrario di quello che gli stava mostrando John.
«Potresti insegnarmi tu…» gli rispose con voce suadente John. Gli iniziavano a prudere le mani, quel ragazzo aveva voglia di giocare, ma quello non era un gioco. Improvvisamente gli venne un’idea.
«Hai qualche impegno venerdì?» sul viso di John si stampò un sorriso, era stato meno difficile di quello che si sarebbe aspettato.
«No, sono liberissimo.» anche Loran sorrise, gli avrebbe dato una bella lezione e si sarebbe liberato di lui. Ormai era arrivata l’ora di richiamare Torres.
«Darling, hai fatto? Mancano solo cinque minuti alle otto e trenta.» Torres rise.
«Piccolo, sono pronti all’uso, ho già inviato tutto dove mi hai detto.» avrebbe dovuto farci un giro, ma ne era valsa la pena.
«Appena posso ti vengo a trovare, prendi i preservativi.» Loran non si girò, ma si accorse immediatamente, che quella frase lo aveva infastidito, se fosse stato suo, lo avrebbe fatto piangere. Questo pensiero si riversò direttamente nel suo inguine, provocandogli un’erezione. Nel frattempo John aveva chiuso la chiamata e stava già mettendosi in contatto con Harper.
«Aggiornami. Ti metto in viva voce.» Harper aveva già effettuato il versamento, ed era in attesa di ricevere l’e-mail di conferma.
«Ho fatto tutto, sto aspettando l’e-mail di conferma. Dovrebbe arrivare a minuti.» Loran si sedette a fianco di John, in attesa. La pelle del ragazzo profumava di buono, erano dieci anni che non aveva un sub, forse… i suoi pensieri vennero interrotti da Harper.
«Eccola! Abbiamo il nostro posto in prima fila, ragazzi!» John con uno slancio di entusiasmo gettò le braccia al collo di Loran, gridando la sua gioia.
«Vi lascio, ci vediamo giovedì all’appartamento.» John stava per staccarsi da Loran quando, improvvisamente, lui gli afferrò la mascella costringendolo a guardarlo, poteva sentire il fiato mischiarsi con il suo. Socchiuse gli occhi, aspettando che si impossessasse delle sue labbra. Ma non accadde. Sembrava che Loran lo stesse scannerizzando, ogni fibra del suo essere vibrava. Lo lasciò, alzandosi rapidamente.
«Devo andare al lavoro, lasciami il tuo indirizzo. Passo a prenderti venerdì alle nove, puntuale.» non gli aveva fatto assolutamente nulla, ma si sentiva come se gli avesse appena violato ogni centimetro del corpo.
Loran s’incontrò con Jake nel tardo pomeriggio, lasciarono Nox a qualche isolato di distanza dall’Hotel, e il solito taxi lo caricò. Nox era nervoso, aveva chiesto di poter vedere almeno il ragazzo nudo, ricevendo per tutta risposta un manrovescio da parte di Loran. Perciò l’atmosfera nel furgone era tesissima. Jake era salito portando con sé due caffè caldi. Ne porse uno a Loran.
«Rilassati, andrà bene.» Loran sorrise scuotendo il capo.
«È sempre un rischio mettersi nelle mani di gente come lui. Jessica è dentro, ha affittato la stanza di fronte, ha la divisa delle cameriere dell’Hotel, se dovesse servire la faremo bussare alla porta.» Jake, senza pensarci, gli strinse il braccio con un gesto di conforto. Allo stesso modo e con la stessa semplicità, Loran posò la mano sulla sua.
«Allora, tutto bene con Mark?» gli chiese, abbassando la voce per non farsi sentire dagli altri due agenti nel furgone.
«Sempre meglio. Loran…» la mano di Loran si strinse sulla sua e gli sorrise.
«J.J., tranquillo, sono felice per voi, per te. Forse per la prima volta nella mia vita, mi sono reso conto che hai sempre avuto ragione tu… non poteva funzionare tra noi.» per Jake fu come se qualcuno gli avesse tolto un macigno dalla schiena. Comprendere che non avrebbe più dovuto combattere con lui, era davvero una cosa stupenda.
«Non so cosa te l’abbia fatto capire, ma anche io sono contento per te.» la telecamera rimandò loro le immagini di Nox, mentre entrava nella stanza. Il ragazzino era seduto sul letto, non era per nulla spaventato. Si alzò andando incontro al Nox, e lo abbracciò in modo provocante. Nel furgone calò il silenzio. Nox sapeva di dover essere convincente, ma di non poter fare nulla. Lo scostò da sé e si andò a sedere sull’unica sedia che c’era nella stanza. Contravvenendo agli ordini di Loran, ordinò al ragazzino di spogliarsi.
«Brutto figlio di puttana!» Loran stava per dare l’ordine di intervenire, ma la mano di Jake bloccò la chiamata sul telefono.
«No, torna indietro con la registrazione, guarda la mano di Nox.» dall’altro computer Loran fece tornare indietro la registrazione. La mano di Nox si era alzata, mentre il ragazzo si era girato, aveva fatto chiaramente il segnale di time out seguito dal numero due.
«Sembra che ci stia chiedendo un paio di minuti, in così poco tempo non potrà fare nulla, diamoglieli Loran.» riluttante, Loran posò il telefono, tornando a guardare quello che stava accadendo dentro la stanza.
Nox osservò il ragazzino mentre si spogliava, ma lo fermò appena si levò la maglietta. Si alzò e andò verso di lui. A Loran vennero i brividi, mentre la mano di Nox si andò a posare sul torace del ragazzo, ma fece una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, strappò un pelo dal suo petto facendolo urlare poi, dopo avergli detto qualcosa, uscì dalla stanza. Il taxi lo prelevò fuori dall’Hotel, per lasciarlo qualche chilometro più avanti. Nox salì sul furgone riparandosi il viso.
«Non picchiarmi! L’ho fatto perché quello era uno scaltro, non si sarebbe accontentato di un no!» Loran gli diede uno scappellotto e lo spinse sulla sedia.
«Il tuo lavoro termina qui. Ti riportiamo a casa, se violi i domiciliari ti verrò a cercare personalmente.» si rimise seduto vicino a Jake.
«Hai tempo per un caffè?» anche se Jake era ancora un po’ sospettoso nei suoi confronti, decise di accettare, se avesse scoperto che gli aveva mentito, ci avrebbe pensato lui a fargli capire che era davvero finita. Finirono per andare allo Starbucks. Loran portò al tavolo lo Salted Caramel Mocha Frappuccino che aveva ordinato Jake, insieme al suo solito Caffè Mocha.
«Come sempre i nomi sui bicchieri sono sbagliati.» sorrise Jake, ripensando a quante volte avevano vissuto quella scena insieme.
«Jake, volevo solo dirti che mi dispiace.» Jake cercò di interromperlo, ma Loran con un gesto della mano lo fermò.
«Ti prego, fammi continuare, è già difficile così, senza che mi debba anche interrompere. Sono stato un vero stronzo con te. Credimi, ho provato a cambiare, ma non posso darti quello che hai con Mark, io ho bisogno del controllo, senza non può funzionare. Non è una giustificazione, ma volevo che sapessi che, se tornassi indietro, ti avrei lasciato andare subito.» Jake sorrise, tutto sommato erano cose che aveva capito, ma non per questo gli avevano provocato meno dolore.
«Sì, sei stato davvero uno stronzo di prima categoria, e sì, avresti dovuto allontanarti da me subito, appena hai capito che non ero la persona adatta a te.» sorrisero, era liberatorio per entrambi.
«Se Mark ti fa del male, gli spacco quel sorriso a trentasei denti che ha.» Jake lo guardò.
«Ho visto come guardavi John…» gli disse, cambiando argomento.
«È un bel ragazzo.» Jake si schiarì la voce.
«Non lo so. Temo di fare un altro errore, lui non ha la minima idea di cosa significhi. Ma mi piace, è vero.» Jake non si ricordava di essere mai riuscito a parlare con Loran con quella tranquillità.
«Devi solo essere chiaro e dargli il tempo necessario per scegliere. L’unico errore che non devi più fare, è di incaponirti a stare con lui, se non vuole essere il tuo sub.» lo sapeva bene, per questo la stava prendendo con calma, anche se, il suo istinto, gli stava urlando che quello era giusto per lui.
«Ora è meglio che vada, Mark ha detto che stasera prende cinese, non voglio che mi debba aspettare.» si salutarono fuori dallo Starbucks, entrambi avevano ripreso in mano le loro vite, ma quella sera, le loro parole, avevano sancito l’inizio di un’amicizia vera.
Il giovedì sera, la casa di supporto assomigliava più a un reparto della CIA, il tavolo della sala era stipato di computer e macchinari, che Loran non aveva mai neppure visto. Harper gli spiegò che alcuni di quegli aggeggi infernali li aveva costruiti lei stessa.
«Harper, sicura che non ti interessi lavorare per noi?» Harper lo guardò mimando un conato di vomito. John rise guardando la scena, ma interruppe la sua risata, quando gli occhi di Loran lo inchiodarono.
«Non cambierò idea Loran. Ma so cosa farò quando questa storia sarà finita.» lo squillo del campanello, interruppe i loro discorsi.
«Vado ad aprire, sono in anticipo.» in effetti, sia Mark che Loran, erano così impazienti che, appena si liberarono, andarono all’appartamento. Jake si offrì per aiutare Harper e John a completare i preparativi. Mark e Loran andarono in cucina per preparare qualcosa da mangiare.
«Un panino dovrebbe andare bene per tutti.» Mark si sollevò le maniche e prese il pane, iniziando a tagliarlo.
«Jake mi ha detto che vi siete parlati.» Mark, voleva marcare ancora più profondamente quella linea che, finalmente, era stata disegnata tra il capitano e il suo ragazzo.
«Sì. È tutto chiaro ora.» gli confermò mentre spalmava le fette di pane con la maionese.
«Grazie Mark, per quello che stai facendo per questa indagine. Lo apprezzo molto.» Mark alzò le spalle.
«Lo farebbe chiunque. Questo tipo di traffici mi fa accapponare la pelle. Penso sempre che uno di quei bambini potrebbe essere mio figlio.» Jake, che stava per entrare, colta quella frase, si bloccò, appoggiandosi dietro la porta.
«Vorresti dei figli? Io so che non fa per me, non sarei un buon padre.» Jake trattenne il respiro.
«Mi piacerebbe. Spero che Jake non la pensi come te.» Loran sorrise, mentre finiva di assemblare i panini.
«Non siamo mai arrivati a parlare di argomenti così delicati, ma Jake, sarebbe un buon padre.» a quel punto Jake spalancò la porta.
«Manca una manciata di minuti al collegamento, meglio che vi diate una mossa voi due.» la parola “bambini” rimbombava nella sua testa, impedendogli di pensare ad altro. Fino a quel momento, l’idea di avere una famiglia e magari qualche cucciolo, non l’aveva neppure sfiorato. Si era sempre detto che, con il suo mestiere, non c’era spazio né per uno né per l’altro, ma ora…
«Prendi le birre dal frigo J.J., noi ti seguiamo con i vassoi.» affannandosi, per mantenere un comportamento il più possibile spontaneo, aprì il frigo estraendone una confezione da sei birre e l’acqua.
«Sedetevi, ho appena chiesto il permesso per accedere.» pochi minuti dopo, il permesso fu accordato. Si aprirono cinque schermate, su cinque piccoli corpi. Una colpì allo stomaco, era un bimbo che non doveva avere più di cinque anni.
«Ohhh, sì, brutti figli di puttana, adesso sì che mi diverto.» Harper e John, lavoravano senza quasi alzare gli occhi dalla tastiera. Loran si avvicinò a John, per evitare di disturbare Harper.
«Pensi che Harper riuscirà a trovare il posto?» John non alzò lo sguardo, continuando a digitare codici su codici alla tastiera.
«È quello che stiamo facendo, capitano.» Loran digrignò i denti, il tono che stava usando con lui non gli piaceva, per nulla.
«Ho le tracce, le sto copiando, entro domani avremo le coordinate. Tranquillo Loran, so cosa sto facendo, li tengo per le palle.» Loran si fece da parte, ignorando John. L’offerta la fecero per comprare il bambino più piccolo, almeno a lui non sarebbe capitato nulla, fino a che non avessero potuto intervenire. Avevano a disposizione una somma consistente, ma alla fine temettero di non riuscire, visto che le offerte fioccavano copiose.
«È finita.» la voce di Harper risuonò nella stanza.
«Con quanta approssimazione riuscirai ad avvicinarti?» gli chiese Loran.
«Il punto esatto, né più né meno.» gli rispose mentre già avevano iniziato a smontare le apparecchiature. Se ne andarono in gruppo, Loran ebbe la netta impressione che John lo stesse evitando. Appena rimase solo gli mandò un messaggio.
LORAN – Hai cambiato idea?
JOHN – No.
Questo gli bastava, selezionò un numero di telefono.
«Vanessa?» il rumore di sottofondo era fastidioso, attese che la sua amica si spostasse in un luogo meno rumoroso.
«Ciao! Quanto tempo!» aveva bisogno di lei, era l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo in quel caso.
«Siete liberi, domani, a cena,» Vanessa rimase muta per qualche istante.
«Per te sempre.» sapeva di poter contare sul suo aiuto.
Mark raggiunse Jake in un Motel, simile a quello che avevano scelto la volta precedente. Entrambi speravano che quella fosse l’ultima volta, che si sarebbero dovuti vedere fingendo di essere qualcun altro. Questa volta Mark aveva prenotato fingendo di essere un ricco imprenditore europeo, in viaggio per affari. Mark era stato istruito da Jake, su quali fossero le cose che doveva fare per sincerarsi di non essere seguito. Mark aveva seguito le sue istruzioni scrupolosamente. Attese ancora qualche minuto, dopo avere parcheggiato, prima di entrare, guardando intorno a sé, quando si convinse di essere al sicuro scese e bussò alla stanza numero 73. Jake aprì la porta e lo trascinò dentro.
«Wow, che foga!» esclamò Mark senza fiato, appena le labbra del suo amante si staccarono dalle sue.
«Non vedevo l’ora che arrivassi, sono giorni che non riesco ad averti addosso…» Mark rise mentre lo costringeva a sdraiarsi sul letto.
«Quindi ti sono mancato? O ti è mancato il mio amico? Perché vedi, lui è parecchio felice di rivederti.» gli disse, slacciando il bottone dei jeans e abbassando la zip, liberando così la sua erezione.
«Mi sono preparato in doccia…» Mark si morse il labbro inferiore.
«Che bambino cattivo… lo sai che mi piace prepararti.» Jake si liberò dei vestiti mentre lo faceva anche Mark.
«Girati.» gli disse Mark, stringendo l’uccello con una mano. Jake si mise carponi. La mano di Mark gli accarezzò una natica, insinuandosi poi per cercare l’apertura, che trovò calda e morbida. Si posizionò dietro di lui e gli diede una sonora sculacciata.
«HAAA!» Urlò Jake, colto di sorpresa.
«Questa era per avermi tolto il gusto dei preliminari. E questo…» gli disse mentre già si spingeva dentro di lui.
«Mmmmh, questo è per ringraziarti di esserti preparato così bene… la prossima volta voglio guardare…» terminò la frase entrando completamente in lui.
«Mark, Mark!» con una mano gli fece abbassare la schiena, stringendo forte il lato dei suoi fianchi, mentre si spingeva con forza dentro di lui.
«Ohhhh, sto per… io Mark!» Mark si abbassò su di lui senza diminuire il ritmo.
«Ti amo piccolo.» con un gesto repentino, si stese di fianco a lui, portandoselo sopra e penetrandolo, mentre le sue mani lo accarezzavano sul petto e lo masturbavano. Jake venne inarcandosi, mentre Mark rilasciava il suo sperma bollente dentro di lui.
Loran aveva cambiato il programma della serata, e lo aveva comunicato quella stessa mattina a John. Non sarebbe passato a prenderlo, si sarebbero visti all’appartamento. Quello che non gli aveva detto, era che non sarebbero stati soli. John, dal canto suo, aveva fatto i compiti, e gran parte del suo cattivo umore della sera prima, era dovuto proprio a questo. Aveva visitato, non sapeva più neppure quanti siti, che trattavano l’argomento BDSM. Oltre a tutti i filmati che aveva guardato e, quello che aveva visto non gli era piaciuto, per nulla. Si chiedeva come fosse possibile che qualcuno annullasse in quel modo la propria dignità per un'altra persona, certo quello che Loran gli aveva fatto quella notte gli era piaciuto, eccome! Ma se per avere del buon sesso, avrebbe dovuto rinunciare alla determinazione, non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe chiarito subito con Loran, non voleva diventare lo schiavo sessuale di nessuno lui. Questo pensava, mentre suonava il campanello dell’appartamento, e di sicuro non s’immaginava che ad aprirgli la porta fosse una donna, oltremodo bella.
«Ciao, tu devi essere John, piacere io sono Vanessa.» John le sorrise, notando le splendide mani, corredate di lunghissime unghie laccate rosso fuoco.
«Non ti aveva detto nulla Loran, vero?» la sua espressione stupita aveva parlato per lui.
«No, decisamente no.» appese il cappotto nell’entrata e seguì Vanessa in sala.
«Sediamoci, Loran e Sid stanno finendo di cucinare la cena.» per quanto tentasse di immaginare il perché avesse invitato un'altra coppia, non gli veniva in mente nulla.
«Io però ho preparato la mia specialità, Bloody Mary, e non puoi assolutamente non berne un bicchiere.» John cercò di rilassarsi e accettò il bicchiere che gli stava porgendo.
«Bene, bene… non mi aspettavo niente di meno da Loran.» John per un attimo si sentì a disagio, quella donna aveva uno sguardo che metteva soggezione.
«Non capisco a cosa ti riferisci…» Sid li raggiunse in quel momento.
«Posso avere un altro po’ del tuo elisir, darling?» Sid si fermò guardando in direzione di John.
«Salve. John?» a quanto pareva tutti conoscevano lui, ma lui non conosceva nessuno.
«Sì, piacere. E tu devi essere Sid?» gli porse la mano, ricevendo una stretta micidiale. Loran abbandonò la cucina, entrando in sala con due vassoi.
«Sei arrivato, bene. Visto che avete già fatto le presentazioni, venite a tavola che è pronto.» John s’incamminò al tavolo, lanciando sguardi minacciosi alla volta di Loran.
«Servitevi, il vino l’ha scelto Vanessa, andateci piano perché è forte.» John, seduto al suo fianco, si riempì il calice fino all’orlo, lieto che Loran lo stesse guardando, ingollò il liquido sanguigno fino all’ultima goccia. Vanessa lo guardava rapita. Si allungò verso Loran con gli occhi luccicanti, poggiando la mano sulla sua.
«Istintivamente è un sì…» John appoggiò il bicchiere e si alzò.
«Bene, basta così. Non capisco cosa stia succedendo, ma non ho intenzione di fare parte dei vostri giochetti. Per cui, se mi volete scusare…» non fece che due passi, quando la voce perentoria di Vanessa lo raggiunse. Non alzò il tono della voce né usò parole particolari, ma questo bastò a fermarlo.
«Siediti. Ora. E ascolta.» John si girò, era furioso, ma si sedette. Loran, come sempre imperscrutabile, si rivolse a lui.
«Ho invitato Vanessa perché tu possa farle qualsiasi domanda ti venga in mente, lei è una Mistress e Sid è il suo sub, da dieci anni, sposati da cinque.» spiegò brevemente Loran. Questa volta John riempì il bicchiere perché ne aveva bisogno.
«Tu, gli hai parlato…» Loran sorrideva divertito del suo imbarazzo, facendolo incazzare ancora di più.
«John, io e Loran, ci conosciamo da trent’anni, conosco tutto di lui. Non devi sentirti in imbarazzo, prendila come…una seduta dallo psicologo.» Sid scoppiò a ridere, ancora un po’ e avrebbe sputato un polmone.
«Quindi tu sei un sub, Sid?» di sicuro non l’avrebbe mai intuito, se non fossero stati loro a svelarglielo. Sid era esuberante, sorridente, per nulla intimorito dalla sua Mistress.
«Ebbene sì, sono il “felicemente sub” di questa terribile Mistress, che è mia moglie.» concluse la frase, avvicinandola per strapparle un bacio.
«Io non ci capisco più nulla…» Vanessa lo guardò, era evidente quanta confusione avesse in testa.
«Te la faccio io una domanda John. Potresti descrivermi un rapporto Dom Sub?» John si sentiva osservato, soprattutto da Loran. Si schiarì la voce.
«È un rapporto consenziente tra due adulti, il gioco tra un dominante e un sottomesso. Il dominante fa subire al sottomesso quello che gli viene in mente, creando piacere al sottomesso che, normalmente, è un masochista. Ne controlla sia il piacere che il pensiero. Insomma, il sottomesso è una specie di schiavo del sesso.» questa volta fu Loran ad avere bisogno di bere, le mani gli prudevano davvero.
«Oddio, non ho mai sentito tanti luoghi comuni tutti insieme. Non ne hai detto una giusta. Permettimi di spiegarti.» bevve anche lei un lungo sorso di vino.
«È vero, è un rapporto consenziente tra due adulti, ma non è un gioco. Non può funzionare, se tra i due individui in questione, non c’è una forte attrazione, e non parlo solo di attrazione fisica. Il Dom non farebbe mai “subire” qualcosa al suo sub, mai. S.S.C., conosci il significato di questo acronimo?» John scosse il capo.
«Sano, Sicuro e Consensuale. Sano, perché la salute del Sub viene prima di ogni cosa per il Dom, Sicuro, perché le relazioni, all’esterno del BDSM, vengono sempre salvaguardate, e Consensuale, perché il sub non dovrà mai, per nessun motivo, subire pratiche per le quali non avrà dato il suo esplicito consenso, verbale o scritto, questo ha poca importanza.» John la ascoltava rapito, era quasi come assistere a una lezione all’università.
«Il Sub non è un bambolotto, è una persona, integra, che ha deciso di donarsi corpo e anima ad un'altra, il suo Dom. Il Dom si preoccupa di ogni aspetto della vita del suo Sub, lo guida verso il massimo del piacere, lo istruisce perché possa arrivare, insieme a lui, alla completa fusione dello spirito e della carne. Ed è l’appartenenza all’altro che crea questa sublime connessione.» tutti a quel tavolo erano rapiti dalle parole di Vanessa.
«E le punizioni? Le fruste, le corde, il latex…» Vanessa sorrise, rivolgendo il suo sguardo a Sid.
«Tesoro, vuoi continuare tu?» Sid sembrò più che contento di poter intervenire.
«Personalmente a noi il latex ci fa un po’ schifo. Le fruste, beh, ne ho scelte personalmente due, ma servono solo per quando passo il segno. Le corde, siamo troppo pigri per usarle, e poi ci vuole molta esperienza per usarle bene.» John era di nuovo confuso.
«E quando sarebbe che “passi il segno”?» John era certo che quello lo avrebbe messo in difficoltà, ora sarebbe emerso quel controllo di cui lui aveva orrore.
«Quando le manco di rispetto, ad esempio. Quando deliberatamente faccio qualcosa che so che la ferisce. Quando non metto lei davanti a tutto il resto. Perché lei, non lo farebbe mai, né mai l’ha fatto. Ma queste, come tutti gli altri limiti, sono cose di cui si parla e si decidono insieme.» non era quello che si aspettava come risposta, decisamente no.
«Vedi, essere Sub è un dono, che si può fare solo, quando si trova un Dom a cui si decide di affidare la propria vita. Ed è una fortuna trovarlo, credimi.» John si girò verso Loran e rimase senza fiato, quello sguardo, pieno di desiderio, lo stesso che aveva visto quella notte, lo fece sobbalzare.
«Ora mangiamo e parliamo d’altro.» disse perentoria Vanessa. John tentò, per quanto gli fu possibile, di partecipare alla conversazione. La sua mente stava lavorando freneticamente. Mentre Loran e Vanessa si occuparono di sparecchiare e di preparare il caffè, lui si mise a parlare fitto fitto con Sid. Loran li osservava mentre faceva avanti e indietro dalla sala. Verso mezzanotte Vanessa e Sid si congedarono, lasciandoli soli.
«Se aspetti un secondo, mi infilo la giacca e ti accompagno a casa.» gli disse Loran. John rimase fermo in piedi in mezzo alla sala, mentre Loran si dirigeva nel reparto notte.
«Perché io? Perché vuoi che diventi il tuo sub?» Loran si bloccò davanti alla porta, ma non si voltò.
«Non ti ho chiesto nulla, mi sembra. Tu vorresti diventare il mio Sub?» John era sull’orlo del precipizio, compiere quel passo poteva spalancargli le porte del paradiso o portarlo dritto all’inferno.
«Prima, Vanessa ha detto che, questo tipo di rapporto, può funzionare solo se esiste una forte attrazione e non solo fisica…» Loran respirava lentamente, ad occhi chiusi. Stava per varcare di nuovo quella porta, che aveva chiuso dieci anni prima. Mille sensazioni, sopite dentro la sua anima, spingevano prepotenti per uscire.
«Tu sei bellissimo, il tuo corpo, il tuo sapore, tutto di te mi eccita. Ma la strada per il mio cuore non la conosco neppure io.» era stato sincero, non era pronto ad amare ancora, ma aveva deciso che se fosse successo, sarebbe stato senza compromessi. Il silenzio riempiva lo spazio tra loro.
«Niente fruste che rompono la pelle.» Loran prese un lungo sorso di ossigeno.
«Voglio rispetto, affetto, stima e… in cambio ti darò me stesso.» Loran aprì gli occhi, la porta era stata varcata.
«Limiti? Nulla oltre le fruste?» chiese Loran girandosi. John scosse la testa.
«Safeword.» non ci aveva ancora pensato, nella lunga chiacchierata con Sid non ne avevano neppure parlato.
«Fenice.» Loran si avvicinò, lentamente. I passi rimbombavano dentro il cuore di John, facendolo fremere.
«Da questo istante sei mio. Non devi guardare nessun’altro che non sia io. Lo puoi fare, se vuoi, ma io lo saprò e ti punirò. D’ora in poi dovrai dirmi dove vai e cosa fai, e io ti controllerò. Potrai decidere di non dirmelo, ma io lo saprò e ti punirò. E soprattutto, non dovrai più ignorarmi, come hai fatto ieri, perché sarò costretto a punirti.» mentre gli parlava gli girava intorno, avvicinandosi per fargli sentire la sua voce, calda, roca, perentoria. Gli annusò il collo, senza sfiorarlo, iniziando a spogliarlo. John tremava, ogni volta che sentiva le sue mani addosso, era come se un flusso di corrente elettrica lo attraversasse da capo a piedi.
«Fermo, non muovere un muscolo. Questa notte, ti farò provare qualcosa che non dimenticherai.» era rimasto solo con i boxer, immobile in mezzo alla stanza.
«Vai nella mia stanza, ti voglio nudo al centro del letto.» John aveva il fiato corto e l’uccello duro come una pietra. Non riusciva più a coordinare un pensiero di senso compiuto, quell’uomo, senza fargli nulla, gli aveva appena mandato in pappa il cervello. Dieci minuti dopo Loran entrò, completamente nudo e con qualcosa in mano.
«Sai cos’è questo?» gli chiese il capitano, porgendogli ciò che aveva in mano.
«Una patata a forma di cazzo?» Loran sorrise, persino con quella tensione, il suo carattere prendeva il sopravvento, questo gli faceva pregustare ancora di più il momento in cui lo avrebbe dominato, facendogli perdere tutte le sue sicurezze, per ridargliele centuplicate con un solo suo gesto. Riprese in mano ciò che gli aveva dato, salì a cavalcioni su di lui e gli mise l’oggetto davanti alla bocca.
«Lecca.» il sapore, inizialmente amaro, si sparse sul suo palato, pensando che fosse un qualche giochino perverso, John la prese tutta in bocca, come se al suo posto ci fosse stato l’uccello di Loran, che sorrise malizioso. Un paio di minuti dopo, la sua intera bocca e la gola stavano ardendo.
«Ma che c…» Loran sfregò la punta del tubero sulle sue labbra, interrompendolo.
«Zenzero. Questa è la tua punizione. Questa pratica si chiama Figging.» John realizzò le sue intenzioni, dopo la bocca, quel grosso pezzo di zenzero, sarebbe finito dentro il suo culo.
«Io… non…» Loran si sdraiò su di lui, invadendogli la bocca con la lingua, succhiando, leccando, mordendo. E allora John capì, la sensazione della lingua di Loran che invadeva la sua bocca, era stata amplificata diecimila volte dall’azione del gingerolo. Nello stesso istante che capì, Loran iniziò a strusciare lo zenzero sul suo glande, da lì a pochi minuti anche il suo uccello sarebbe diventato una torcia umana.
«Oddiooooo!» guardò Loran mentre lo prendeva completamente in bocca, e contemporaneamente infilava lo zenzero a fondo dentro la sua fessura, muovendolo ritmicamente. Si rese conto di stare tremando, ma anche di quanto fosse eccitato. Sentì i primi effetti del gingerolo provocargli spasmi incontrollabili all’interno.
«Basta! Ti prego, sto prendendo fuoco.» Loran prese un preservativo e se l’infilò.
«Supplicami.» John, nelle condizioni in cui l’aveva ridotto, avrebbe pure detto un rosario per farsi scopare.
«Ti prego!» Loran lo schiacciò con il suo peso, puntando il suo cazzo sull’apertura, senza spingere.
«Puoi fare di meglio…» gli disse mentre gli dava generose lappate sul collo.
«Ti supplico Loran, fottimi!» Loran gli catturò la bocca con un bacio che gli tolse in respiro, e lo penetrò, fino in fondo. Sapeva che John lo stava sentendo come mai gli era successo in tutta la sua vita. Quel fuoco incendiava ancora di più il desiderio che gli aveva provocato. Gli leccò le lacrime che scendevano dai lati degli occhi. Quelle lacrime erano sue, quel corpo era suo. Voleva sentirlo urlare, gridare il suo nome. Pompò dentro di lui, sentendosi stringere come in una morsa infernale, lottando per non godere.
«Ahhhhhhh…» estasiato dalla visione di John che godeva, rilasciando caldi fiotti di sperma sulla pancia, si spinse ancora più forte dentro di lui, scaricando tutto il suo sperma dentro il preservativo.
Mark e Jake, erano tornati a casa dopo la mezzanotte, ritrovandosi poi nell’appartamento di Mark per dormire. Erano da poco passate le tre di notte quando, il telefono di Jake squillò. Ci mise un po’ a rispondere, sul display il nome Harper lo costrinse a svegliarsi.
«Ci siamo, so dove li tengono! Ma dovete fare presto, hanno intenzione di spostarli, lo fanno ciclicamente.» Mark guardava il suo poliziotto.
«Devo andare, almeno ho dormito un paio d’ore. Tu continua a dormire.» ma fu come se non avesse detto nulla, Mark iniziò a vestirsi.
«Non ti lascio solo, ci siamo dentro in due in questa storia, ricordi?» Jake scosse il capo, sapeva ormai che sarebbe stato totalmente inutile insistere.
Dopo la prima sessione di sesso allo zenzero, Loran lo aveva scopato contro la parete della doccia. Lo aveva dovuto portare in camera in braccio, le gambe non lo reggevano.
«Dobbiamo fare qualcosa per la resistenza.» gli disse, mentre lo attirava a sé per baciarlo. Facendolo sistemare poi con la testa sul suo torace.
«È stato… incredibile.» Loran sorrise, quello era un buon punto di partenza. Sul fatto che fossero altamente compatibili ormai non c’era alcun dubbio. Ora doveva solo capire quale fossero i sui limiti, sarebbe stato capace di camminare al suo fianco? Mentre entrambi stavano scivolando nel sonno, il telefono di Loran suonò.
«Loran, ci siamo, so dove li tengono, Jake e Mark stanno andando all’appartamento, e anche io. In quanto sei lì?» non avrebbe dormito.
«Io sono già qui, e anche John.» Harper bofonchiò qualcosa che non capì.
«Dieci minuti e siamo lì anche noi.» fece scivolare il braccio da sotto John, spostandolo delicatamente, attento a non svegliarlo, si vestì e andò in cucina a preparare una brocca di caffè.
I primi ad arrivare furono Mark e Jake, che, lasciata da parte la prudenza, avevano deciso di prendere l’auto di Mark, ed erano arrivati insieme. Mentre si stavano sistemando e prendendo il caffè che Mark aveva preparato, arrivò Harper.
«Cerchiamo di parlare piano, non vorrei svegliare il mio ospite.» disse il capitano, mentre sistemavano sul tavolo l’attrezzatura di Harper. Nessuno chiese di chi si trattasse, era palese per tutti.
«Venite intorno a me. Ecco, questo è lo stabile dove li tengono.» mentre Harper ingrandiva la mappa, cercavano di visualizzare la zona. Era Cold Spring precisamente a Putnam County.
«Ecco questa è la casa. È vicino al fiume, essendo una vecchia casa di campagna ha sicuramente delle cantine, posso immaginare che li tengano lì.» nell’altro computer stava caricando un video.
«E questa è la registrazione del satellite, ora la ingrandisco.» un po’ nascoste si vedevano tre auto, e davanti alla casa c’erano degli uomini armati.
«Bingo.» Loran prese in mano il telefono e Jake lo seguì a ruota facendo altrettanto.
«Loran io mi occupo della casa e dei bambini e tu di Svetlana e Vinnie.» poi fu il delirio fino alle sei di mattina. Quando finirono di organizzare il tutto Loran andò a cambiarsi.
«John…» si era chinato su di lui e gli stava sussurrando all’orecchio.
«Mmmmmh, che ore sono?» Loran ebbe la prepotente voglia di scoprirlo e girarlo supino, per poi piombargli sopra e infilargli l’uccello mentre era ancora tra la veglia e il sonno. Sospirò, promettendo a sé stesso di farlo il prima possibile.
«Sono quasi le otto, quando ti sveglierai, vai ad aiutare Harper, è di là che ti aspetta. Noi ci vediamo domani mattina, ti spiegherà tutto lei. Non muoverti da qui, chiaro?» John aprì gli occhi assonnati girandosi per guardare in faccia Loran.
«Non so se riuscirò ad alzarmi…» Loran si morse il labbro.
«Non vorrai perderti il gusto di vedermi in azione?» Loran si alzò e aprì l’anta dell’armadio che conteneva i fucili e le pistole.
«Merda! Harper li ha trovati!» esclamò, mettendosi seduto su letto.
«Fatti trovare qui, quando torno.» gli disse avvicinandosi, per poi bloccargli la mandibola, costringendolo ad aprire la bocca per infilare la sua lingua profondamente.
«Dopo un azione, sono molto carico di adrenalina, non ti conviene provare una punizione quando sono in quelle condizioni.» un brivido percorse la schiena di John, provocandogli un’erezione di proporzioni gigantesche.
«Tu pensa a tornare…» prese la borsa piena di armi e ritornò in sala.
«Jake, sincronizziamo gli orologi. L’azione sarà per le 21.00, dovremo agire simultaneamente.» Mark era diventato silenzioso, sotto richiesta di Jake, avrebbe chiesto un incontro urgente ad entrambi i soci presso la loro sede, adducendo come scusa di avere ricevuto un’ingiunzione per tasse non pagate, ma a quell’incontro ci sarebbe andato solo il suo Jake. Era un fascio di nervi, sapeva che cosa faceva Jake, ma un conto era saperlo, un conto era realizzare che, quella sera stessa, se qualcosa fosse andato storto, poteva perderlo.
«Jake, voglio venire con te.» Jake era impegnato a scrivere una mail alla sua squadra. Aveva appena ricevuto la pianta dell’appartamento, che era la sede della società di Vinnie e Svetlana, e stava coprendo ogni possibile via di fuga.
«Scusa, cos’hai detto?» gli chiese, tornando a rivolgere la sua attenzione allo schermo.
«Ho detto…» gli rispose chiudendo lo schermo del portatile «che vengo con te.» Jake non poteva permetterlo, era pur sempre un civile.
«No. Te ne starai all’appartamento insieme a Harper e John. Ho bisogno di saperti al sicuro, se venissi con me saresti il mio unico pensiero e questo, potrebbe farmi commettere errori che non posso permettermi.» Mark emise un urlo e scaraventò la prima cosa che gli capitò tra le mani per terra.
«Cristo santo Jake! Non capisci come mi sento!» Jake si gratto la testa, lo capiva perfettamente, ma non poteva cedere. Si alzò e lo abbracciò da terga.
«So esattamente come ti senti, ma ti giuro che riporterò a casa il mio culetto sano e salvo. Non succederà più, non ti lascio solo.» Mark ricacciò indietro le lacrime, si voltò e lo abbracciò forte.
«Se dovesse accaderti qualcosa io potrei impazzire.» il telefono di Mark vibrò, lo prese in mano girando lo schermo verso Jake. Svetlana confermava l’appuntamento.
Erano quasi le venti, entrambe le squadre erano già appostate, Mark e John, insieme a Harper, erano in ascolto, anche se non potevano parlare.
La squadra di Loran aveva valutato che, fuori dalla casa, c’erano tre guardie armate, si aspettavano di trovarne altrettante all’interno. Erano in inferiorità numerica, ma avevano dalla loro l’effetto sorpresa e un intero arsenale.
La squadra di Jake aveva già circondato lo stabile, appena entrambi fossero entrati nell’appartamento, avrebbero fatto irruzione. Svetlana aveva una sola guardia del corpo e Vinnie, non si era mai preoccupato di averne una.
«Ci siamo ragazzi.» l’enorme Mercedes di Svetlana era arrivata, e l’autista l’aveva appena fatta scendere insieme alla sua guardia del corpo. Dallo sportello della parte opposta scese qualcun altro, qualcuno che Jake non si aspettava proprio cadesse nella loro rete. Vincent Accardo.
«Al mio via, tutti in azione.» attese ancora i cinque minuti più lunghi della sua vita.
«5,4,3,2,1 GO.» si mossero all’unisono. Jake suonò il campanello pronto a far partire la registrazione della voce di Mark.
«Mark?» la voce registrata recitava “Sono Mark.”
«Sali.» la porta si aprì e lentamente la squadra iniziò a salire le scale. Qualcosa mise in allerta Mark. Quando era venuto in quell’appartamento, la prima volta, c’era chiasso, gente che saliva e scendeva. C’era troppo silenzio. Stoppò la squadra e fece segno al miglior tiratore di avanzare. Il primo sparo li raggiunse scalfendo lo scalino sotto di loro. Salirono le scale cercando di rimanere sempre nei punti ciechi, rispondendo al fuoco, solo quando scorgevano l’ombra della figura che si affacciava dalla tromba delle scale. Quando mancava poco più di una rampa, il loro aggressore si rifugiò nell’appartamento. Jake fece andare davanti la porta due della squadra con gli scudi e l’ariete, pronto, insieme al suo collega, a buttare dentro l’appartamento i fumogeni. La porta venne giù facilmente, e altrettanto facilmente catturarono Svetlana e Vinnie, ma di Vincent nessuna traccia.
«Uomo in fuga, uomo in fuga! Attenti alle uscite!» aveva agenti in tutte le uscite, non poteva sfuggirgli.
Loran aveva sotto tiro una delle guardie e attendeva che anche gli altri due tiratori scelti dessero il via, dovevano ucciderli contemporaneamente e senza fare rumore. Finalmente, tutti e tre diedero il segnale e, contemporaneamente, spararono, mentre gli altri due agenti si fiondavano verso le guardie cadute a terra, per verificarne lo stato. Rese innocue le guardie, si appostarono davanti la porta e la sfondarono. Trovarono le altre guardie sedute al tavolo della cucina, tale fu la sorpresa che non fecero alcuna resistenza. Presero una di loro facendosi portare dove venivano tenuti i bambini, lo spettacolo che trovarono davanti ai loro occhi, fu quanto di peggio avessero visto nell’intera vita. Venivano tenuti come bestie, incatenati al muro, alcuni di loro non dovevano avere più di quattro o cinque anni. L’odore delle feci si mescolava ai pianti.
«Agente Silver, porti la sua squadra, con molte tenaglie. Porti anche delle coperte, e chiami tutte le ambulanze che riesce a trovare.» più si addentravano nella cantina e più ragazzini trovavano.
«Signore, signore!» un ragazzino, di poco più di dieci anni, si era alzato dal suo posto e l’aveva raggiunto tirandolo per la giacca.
«Dimmi piccolo.» il ragazzino con un sorriso impaurito abbassò lo sguardo.
«Ci riportate dalle nostre famiglie?» Loran si piegò per mettersi alla sua altezza.
«Adesso vi portiamo all’ospedale per curarvi e, nel frattempo, qualcuno si occuperà di avvertire le vostre famiglie. Come ti chiami?» il ragazzino gli sorrise.
«Mi chiamo Angel, e ho undici anni. Grazie.» Loran non poté fare a meno di commuoversi. Il telefono vibrò nella sua tasca, era Jake.
«Abbiamo arrestato Svetlana e Vinnie, ma con loro c’era anche Vincent Accardo che ci è sfuggito. Ci vediamo dopo all’appartamento. Lì com’è andata?» Loran digrignò i denti.
«Li abbiamo liberati, tutti.» chiuse la chiamata, appena vide che la polizia locale aveva la situazione sotto controllo e che, la maggior parte dei bambini, era già stata inviata agli ospedali disponibili, si ritirò insieme alla squadra, mettendo i sigilli alla casa, sarebbero tornati per documentare e cercare nuove prove il giorno successivo.
Mark era stato molto vicino all’infarto, quando aveva visto che stavano sparando addosso al suo uomo, ora si stava godendo un caffè insieme a John che, viste le immagini che aveva inviato Loran, non riusciva a smettere di piangere. Mandò un messaggio a Jake, nel quale diceva che sarebbe andato a casa a mettere in fresco lo champagne.
Uscito dall’appartamento si avviò all’auto, che era parcheggiata poco lontano, era quasi mattino, le strade erano ancora deserte. Fece scattare le sicure dell’auto e salì.
«Mani sul volante, una mossa sbagliata e il tuo cervello finisce spiaccicato contro il vetro. Accendi l’auto e parti.» sentì il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni, il suo aggressore, di cui non era riuscito a vedere il volto, glielo sfilò.
JAKE – Rimani lì! Non ti muovere! Ti spiego tutto quando arrivo. – era Jake.
AGGRESSORE – Troppo tardi…Amber, il tuo fidanzato viene con me. – Vincent inviò il messaggio e spense il telefono.
Copyright © 2020 Veronica Reburn
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Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Bellissimo, vivrò con l'ansia l'arrivo del prossimo capitolo !!!!!
RispondiEliminapensa mi mette l'ansia pure scriverlo
EliminaHahahaahaa
EliminaEhhhhhh
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