domenica 4 ottobre 2020


 Another Door 

Ottavo capitolo 



Mark era uscito da pochi minuti e John, che finalmente si era calmato, decise di andare a fumare una sigaretta e fare due passi. Mentre camminava, gustandosi la sua bionda, in lontananza vide salire Mark nell’auto, stava per fargli un cenno, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un’auto si era appena parcheggiata dietro quella di Mark, e un uomo ne era sceso appoggiandosi poi all’auto stessa. D’istinto si nascose tra due auto, non poteva vedere perfettamente, visto che si trovava dall’altro lato della strada, ma avrebbe giurato che Mark non fosse solo all’interno dell’abitacolo. Prese il telefono e si segnò il numero di targa e il modello dell’altra automobile, era una Ford Mustang, la targa era di New York, non era sicuro del colore, era ancora troppo buio, ma di certo era scura. L’uomo che pareva stare di guardia risalì sull’auto, Mark uscì dal parcheggio e si mise in strada, seminascosto lo vide sfrecciare a tutta velocità, ma fece in tempo a vedere che, sul sedile di dietro, c’era sicuramente qualcuno e che la Mustang, li aveva seguiti subito dopo. Tentò di chiamare Mark al telefono, ma la voce di servizio ripeteva monotona il suo messaggio: “l’utente non è al momento disponibile.” Preso dal panico decise di chiamare Loran.

«Tra circa un’ora sono di ritorno.» gli rispose senza neppure lasciarlo parlare. Non sapeva come dirglielo, anche perché, in quel momento si era reso conto di una cosa, era uscito dall’appartamento.

«Loran, credo che abbiano appena rapito Mark…» ora non solo era entrato nel panico per ciò che aveva visto, ma anche per ciò che sicuramente avrebbe dovuto ammettere.

«Spiegati.» vuotò il sacco, spiegando per filo e per segno a Loran cosa fosse successo.

«Ascoltami attentamente, torna all’appartamento e appena sei dentro richiamami.» John chiuse la chiamata e, cercando di non mettersi a correre, riguadagnò la strada del ritorno. Entrò nell’appartamento con il cuore in gola e la faccia stravolta. Compose il numero di Loran.

«Sono dentro.» Loran si sentì immediatamente sollevato.

«Ora scrivi esattamente quello che hai visto, ogni particolare, anche il più insignificante. Dai la targa del veicolo a Harper e chiedile di fare delle ricerche e… John sai cos’hai fatto vero?» John, che fino a quel momento credeva di averla scampata, si rese conto che non era affatto così.

«Lo so ma…» Loran collegò senza dargli modo di aggiungere altro, non riuscì a godersi fino in fondo quel momento, ma lo avrebbe fatto a tempo debito, ora c’era qualcuno da salvare. La chiamata di Jake non tardò ad arrivare.

«Dimmi dove sei!» Loran era ormai a pochi isolati dall’appartamento.

«Tra al massimo dieci minuti sono al nido.» Jake, dopo avere lasciato Svetlana e Vinnie alla centrale, aveva compilato con il cuore in gola tutti i documenti per il giudice che, quella stessa mattina avrebbe autorizzato la carcerazione di entrambi, senza consentire la liberazione su cauzione. Se non l’avesse fatto sarebbe stato tutto vano.

«Sono uscito ora dalla centrale, ci vediamo lì, credo che abbiano rapito Mark, ho ricevuto una telefonata. Loran, ho paura.» il capitano non poteva rassicurarlo, sapevano entrambi in che mani fosse finito.

«Ti aspetto lì. Ne usciremo.» parcheggiò l’auto davanti all’entrata, non c’erano più motivi per essere prudenti.

«Loran!» John, fino a quel momento non si era reso conto di quanto avesse bisogno di rivederlo, era un centrifugato di emozioni. Si gettò tra le sue braccia, ma trovò il gelo.

«Dobbiamo concentrarci su Mark, fammi leggere la tua relazione, Jake sta arrivando.» in maniera delicata ma ferma, lo scostò da lui. Loran si sedette concentrandosi sulla relazione. Prese il computer di John per verificare i possibili tragitti.

«Harper, ti mando alcune coordinate, ho bisogno di entrare nelle registrazioni delle telecamere di una banca, di un fast food e di quelle della polizia stradale. Vediamo se sono passati di lì. John si sedette poco distante, completamente ignorato. Fu lieto di sentire il campanello della porta, almeno si sarebbe sentito in qualche modo utile.

«Jake, entra.» Jake gli diede una pacca sulla spalla e si precipitò in sala.

«Qualche idea?» disse lanciando la giacca sul divano, mentre camminava verso Loran e Harper.

«Più di un idea, abbiamo una targa, l’auto è intestata a una società, la Samar Enterprise, riconducibile alla famiglia Gentile.» Jake rabbrividì, sentiva che il panico stava cercando di impadronirsi di lui. Loran si girò verso John.

«Potresti andare a preparare caffè e qualcosa di dolce per tutti?» non attese neppure la risposta di John, si voltò rimettendosi al lavoro. Stizzito John, senza neppure emettere un suono, andò in cucina.

«Ragazzi, ci siamo, le due auto si sono dirette sulla 9-A.» esclamò Harper. Loran si collegò con la centrale del traffico della 9-A.

«Harper occupati delle uscite con il numero dispari, io guardo quelle pari. Jake, metti insieme una squadra.» Jake doveva ancora riferire la cosa più importante al capitano.

«Loran, Vincent Accardo, è fuggito grazie alla disattenzione di Ron.» gli disse mettendogli tra le mani una pen-drive.

«Guarda, ho la registrazione che ha fatto Jessica.» ogni volta che svolgevano un’azione di quella importanza, una o più persone tra loro riprendeva tutto con la telecamera. Loran corrugò le sopracciglia e inserì la pen-drive nel computer. La scena era piuttosto chiara, R.J., si allontanava proprio nel momento in cui vedeva scendere dalla scala antincendio Vincent.

«Jessica ha l’originale?» Jake annuì. Loran si stava domandando quale fosse la mossa migliore, quella più giusta sarebbe stata arrestarlo e lasciarlo marcire in galera, ma non sarebbe stata la mossa più furba.

«Usiamolo.» era ciò che sperava Jake e, quando l’avesse avuto tra le mani, nessuno, saputo quanto fosse stato infame, avrebbe visto nulla quando l’avesse pestato a sangue. Loran si concentrò di nuovo sulla telecamera della centrale del traffico. Jake si mise al telefono per organizzare un'altra squadra d’assalto.

La squadra che organizzò comprendeva anche R.J., ma, aveva messo al corrente il resto dei ragazzi di quanto accaduto, tutti dovevano tenerlo d’occhio. Il suono del telefono di Jake paralizzò il lavoro di tutti. Lo raccolse dal tavolo, sullo schermo non compariva il numero. Harper, che nel frattempo aveva collegato il suo computer allo smartphone di Jake, iniziò il conto a rovescio. Arrivata a zero, gli diede l’ok per rispondere.

«Parla Jake.» dall’altra parte non si sentiva nulla, se non fosse stato per un respiro regolare, Jake avrebbe pensato a uno stupido scherzo.

«Amber, Amber… una splendida puttana, perché questo sei. Ma veniamo a noi.» i secondi scorrevano, Harper gli aveva detto che, per arrivare ad individuare da dove chiamava, doveva tenerlo al telefono almeno per tre minuti.

«Che cazzo vuoi Vincent.» ancora qualche secondo di silenzio.

«Oh, io niente, sei tu che vuoi qualcosa da me. Il tuo fidanzatino ha una splendida voce quando urla per il dolore.» il battito cardiaco di Jake accelerò, facendo salire la carica di adrenalina nelle sue vene.

«Brutto figlio di puttana, non osare torcergli un capello, o te ne pentirai per il resto della tua vita!» una grassa risata fu la risposta di Vincent.

«Voglio che liberiate Svetlana e Vinnie, e voglio che tu venga a riprenderti il tuo prezioso fidanzatino. Oppure, te lo farò recapitare io…un pezzo per volta. A partire da ora, hai quattro ore.» la telefonata s’interruppe.

«CAZZOOO!» Harper urlò, la telefonata non era durata quanto sarebbe servito per individuare il luogo esatto. Ma almeno era riuscita a isolare la cella da cui era partita.

«Così riesco a dirvi solo che la chiamata è partita dalla contea di Westchester.» John, che fino a quel momento aveva fatto da tappezzeria, si mise al computer, aveva in mente di avere letto qualcosa, nei giorni precedenti e, il nome della contea gli stava girando in testa.

«Loran, cosa facciamo…» Jake lo stava guardando con tutta la disperazione che aveva in corpo, ma anche Loran, in quel momento non trovava nessun appiglio per riuscire a rassicurarlo, e ancora meno gli veniva in mente cosa fare.

«Bingo!» la voce di John risuonò nella stanza, assolutamente inattesa e fuori luogo, nella sua allegria.

«Io… io penso di sapere dove sono.» ora sì che aveva catturato l’attenzione di tutti.

«Parla.» John non poté fare a meno di pensare che l’aveva costretto a rivolgergli la parola, provando una sottile soddisfazione.

«Quando ho sentito da quale contea proveniva la chiamata, mi si è accesa una lampadina, ero sicuro di avere letto qualcosa, in un articolo di giornale riguardante la famiglia Gentile. E infatti, eccolo qui: The Wall Street Journal, una settimana fa.» portò il suo pc a fianco di Loran.

«”La famiglia Gentile si è assicurata un lotto di terreno edificabile dove sorgerà un complesso abitativo.” La notizia è stata riportata perché il progetto è stato bloccato da un giudice della zona, che ritiene che le antiche fattorie non possano essere rase al suolo inquanto abitazioni storiche.» Loran sogghignò, poteva essere, potevano davvero averlo portato li.

«Al lavoro, abbiamo bisogno del nome di quel giudice e dobbiamo chiamarlo immediatamente. Voglio sapere quante fattorie ci sono su quel terreno e voglio la piantina del territorio, Harper.» mezz’ora dopo avevano il nome del giudice e Loran si era già messo in contatto con lui che, poco dopo, gli aveva inviato la lista delle fattorie. Erano tre, aveva le coordinate, che diede subito a Harper, avrebbero guardato dal satellite, come prima cosa. Jake intanto aveva allertato la squadra e si stava preparando all’azione.

«Jake, non pensarci neppure.» Loran si era alzato, per andare a prepararsi a sua volta.

«Tu non parteciperai all’azione.» Jake continuò a prepararsi, armato fino ai denti. A passo deciso ritornò nella sala.

«Fermami…» rispose a Loran incenerendolo.

«Ok, ma comando io la squadra.» era inutile insistere, non lo avrebbe ascoltato, del resto, anche il capitano, se si fosse trattato di qualcuno che amava, si sarebbe comportato allo stesso modo. Senza pensarci alzò lo sguardo incrociando quello di John. Aveva risposto bene alle sue sollecitazioni, ma quella che aveva provato con lui non era una vera scena, ci stava andando piano con lui. Ma se fosse tornato intero dalla missione, gli avrebbe fatto capire esattamente a cosa andava incontro. Non voleva più scendere a compromessi. Non voleva più andare in qualche club, per ritrovarsi a sottomettere qualcuno che non sapeva se avrebbe rivisto la volta successiva. Voleva una relazione, voleva un sub tutto suo. John gli piaceva, davvero tanto, ma lo voleva alle sue condizioni, se non avesse retto la prossima scena non l’avrebbe più rivisto, era stanco di dover essere lui quello che si adattava.

«Loran! Qui, in questa fattoria, c’è del movimento.» il capitano e Jake si precipitarono a fianco di Harper.

«Sì! Brutti figli di puttana, stiamo arrivando.» ringhiò. Con l’adrenalina a mille fece cenno a John di seguirlo in cucina.

«Dimmi Loran.» con una mossa repentina lo fece voltare e lo inchiodò al muro.

«Ascolta attentamente, non fare un passo fuori dall’appartamento, hai già guadagnato una punizione, la seconda non la reggeresti. Quando tornerò, e ti assicuro che lo farò, voglio trovarti in camera, nudo e in ginocchio, con le mani dietro la schiena. C’è qualcosa che non ti è chiaro puttanella?» non se l’aspettava, gli mancava l’aria, gli girava la testa e gli era diventato duro.

«Sì…» gli rispose con un filo di voce.

«Completa la frase, piccolo, una possibilità.» ora gli tremavano anche le gambe, il suo cervello stava per andare di nuovo in pappa.

«Sì, master.» la presa sul suo corpo si allentò di colpo. La mano di Loran si posò sul suo collo, lentamente e con dolcezza.

«Bravo ragazzo. Andava bene anche signore, ma master è ancora meglio.» gli diede una lunga lappata sul viso e uscì dalla porta della cucina. Loran fece cenno a Jake di andare, aveva il sorriso ancora stampato sulla faccia, l’addestramento del suo sub era appena iniziato.



“Wow, wow w ancora wow!” pensò John, che stava ancora combattendo con le palpitazioni che gli aveva provocato Loran. E quella carezza sulla sua gola, l’aveva fatto sentire… importante, non riusciva a trovare un altro aggettivo, che potesse spiegare la sensazione intensa che gli aveva provocato. Bevve un lungo sorso di acqua gelata, era estremamente combattuto, quell’uomo riusciva a fargli perdere il controllo con un singolo sguardo. Ma dentro di lui, qualcosa lo stava ancora trattenendo. Ma ora non era il momento di pensarci, erano i loro occhi, doveva rimanere concentrato.



Era ormai pomeriggio inoltrato, quando Jake e Loran montarono sul Suv di quest’ultimo; Loran attaccò la sirena lampeggiante al tetto dell’auto, dovevano fare in fretta, ormai mancava meno di un’ora al termine dell’ultimatum di Vincent. Mentre si dirigevano in centrale Jake, con il telefono di Loran, si era messo in contatto con l’ufficio del giudice, doveva mandare qualcosa a Vincent che gli permettesse di guadagnare almeno un'altra ora. Il giudice gli inviò un documento, con il quale lo autorizzava a trasportare entrambi gli imputati per interrogarli, ma solo dopo che fossero state espletate tutte le pratiche che riguardavano il loro arresto. Con questo sperava ardentemente di poter chiedere a Vincent una proroga. La squadra li stava aspettando con altri due Suv, di fronte alla centrale.

Loran scese dal Suv e si diresse dritto verso R.J.

«Ron, dammi il tuo telefono.» Ron, preso alla sprovvista, rimase immobile.

«Perché capitano?» Loran tirò fuori dalla tasca il suo.

«Il mio è scarico, e a te non serve mentre sei in missione, invece per me è indispensabile. Muoviti!» R.J. sbiancò, ma non poté fare altro che consegnarlo al capitano.

«Grazie R.J., non preoccuparti, lo tratterò con amore.» con il telefono di R.J. tra le mani si sentì subito più tranquillo, per poter avvertire qualcuno avrebbe dovuto chiederne uno in prestito, e nessuno della squadra gliel’avrebbe prestato. L’unico peccato era non poter guardare i suoi messaggi, ma lo avrebbe consegnato come prova appena lo avessero arrestato.

Partirono alla volta di Sleepy Hollow, anche guidando come pazzi, ci sarebbe voluta almeno un’ora per raggiungere la fattoria e, al termine dell’ultimatum mancava mezz’ora. A metà del percorso il telefono di Jake squillò.

«Allora, che notizie hai per me.» Jake si sarebbe giocato tutto in quel momento, la sua vita, il suo amore e probabilmente anche la sua carriera.

«Vincent, il giudice ha dato il consenso, potrò prelevare Vinnie e Svetlana, ma non prima che le pratiche dell’arresto siano state completate, il che significa che ho bisogno di almeno un'altra ora.» Vincent rimase in silenzio.

«Jake, Jake, Jake…mi deludi…pensavo ci tenessi di più al tuo Mark.» Jake rabbrividì.

«Ho il documento firmato dal giudice, dimmi dove te lo posso inviare, non ti sto mentendo!» Vincent sogghignò, provocando a Jake un'altra serie di brividi.

«Pensi che io sia stupido Jake? Non ti fornirò una cazzo di e-mail, non starò con te al telefono per più di tre cazzo di minuti e soprattutto, non ti darò nemmeno un fottuto minuto in più!» ma non terminò la telefonata, lo sentì camminare, cercò di chiamarlo ma sembrava che non tenesse il telefono vicino al viso. Sentiva dei rumori. Poi, improvviso e lancinante, un urlo, sordo e agghiacciante, era la voce di Mark. Il suo cuore si fermò.

«Spero che il tuo uomo ti piacerà ugualmente senza un dito. Hai ancora mezz’ora, poi ricomincerò a farlo a pezzi.» chiuse la chiamata. Jake era sotto choc.

«Jake! Parla! Parla cazzo!» Jake respirò a fondo, poi caricò il pugno scaricandolo sul cruscotto dell’auto. Mancò un soffio che Loran sbandasse.

«Maledizione Jake! Parla!» il dolore lancinante alla mano, gli provocò una scarica di adrenalina fortissima, quello che ci voleva per ritornare immediatamente in sé.

«Gli hanno appena amputato un dito, mentre eravamo al telefono. Vincent si è appena guadagnato un posto all’inferno, e se serve glielo porterò personalmente. Abbiamo solo mezz’ora in più, comunque.» Loran comunicò con la squadra che avevano a due macchine di distanza.

«Jessica, dobbiamo sbrigarci, di’ all’autista di darci dentro.» senza attendere risposta pigiò sull’acceleratore, deciso a battere tutti i record di percorrenza. E lo fece, arrivarono nei pressi della fattoria ben cinque minuti prima che l’ultimatum scadesse.

Erano stati costretti a parcheggiare i Suv dietro a gli ultimi alberi che costeggiavano la strada, che li avrebbe portati alla fattoria, per proseguire a piedi praticamente allo scoperto. Quando erano arrivati abbastanza vicini per poter valutare la situazione, mandarono Jessica e Joy in avanscoperta.

«Cinque uomini, due mezzi. Gli edifici sono tre, un granaio, la casa principale e quello che sembra un pollaio. Tutti in muratura.» dalla piantina che avevano c’era una cantina, grande come la pianta della casa e un piccolo bunker anti tornado.

«Non possiamo muoverci se non viene buio… cazzo!» sibilò tra i denti Jake. Il suo telefono vibrò, sapeva che era Vincent, quello che non sapeva era come poteva mantenerlo calmo.

«Jake, hai qualche novità per me? Il tuo amichetto qui ci sta sperando…» Jake doveva decidere se tenere una linea dura o se tentare un'altra strada.

«Vincent, mi sembrava di essere stato chiaro prima, ma evidentemente tu non hai abbastanza cervello per comprendere! Cercherò di spiegarmi meglio, ho bisogno di ancora una mezz’ora, prima non mi possono consegnare Vinnie e Svetlana. Perciò tagliare Cook a pezzettini, non sveltirà questa pratica. Ora hai due scelte, taglia un altro pezzettino di Cook, e prima di ridarti quei due, casualmente, anche alcuni pezzettini di loro, verranno persi per strada, oppure, ti metti calmo e aspetti ancora mezz’ora. Pensi che al tuo capo farebbe piacere se gli facessi recapitare un dito di Svetlana? Come lo spiegherete alla mafia russa?» un grugnito uscì dalla bocca di Vincent.

«Sei un poliziotto, non lo faresti mai.» sentiva di essere a un passo dal cavarsela, doveva solo rimanere calmo e convincente.

«Vincent, Vincent, Vincent. Sottovaluti il fatto che saranno sotto la mia sorveglianza, i miei ragazzi mi sono fedeli, sanno voltarsi dall’altra parte.» il grugnito di Vincent lo convinse di averlo in pugno.

«La mia pazienza finirà esattamente tra mezz’ora, dopo di che ti chiamerò e se non mi farai sentire la voce dei miei amici, puoi salutare mister Cook.» ancora dieci minuti e sarebbe stato sufficientemente buio per poter entrare in azione. I minuti passavano lenti, nessuno parlava, Loran fissava il suo orologio, come se fissandolo potesse far passare più velocemente il tempo.

«Jessica tu e R.J. ai furgoni, in contatto con la base, tu Jay, insieme a R.J., andate, ora.» rimasero in quattro.

«Jake, tu e Oscar lato destro, io e Lewis lato sinistro, veloci e silenziosi.» montarono velocemente il silenziatore alle pistole e si avvicinarono alle costruzioni. Il compagno di Jake era un ex marines, truppe d’assalto, era un piacere per lui partecipare a quel tipo di azioni, non era la prima volta che si trovava a lavorare con lui. Poche brevi istruzioni visive, ed entrambi avevano neutralizzato gli uomini che sorvegliavano la parte di perimetro a loro assegnata. Altrettanto avevano fatto Loran e Oscar. Entrare nella casa era la parte più difficile. Non sapevano in quanti fossero lì dentro, né di quali armi disponessero. Usare i fumogeni l’avevano escluso, avrebbe tolto la visuale anche a loro. La pianta che il giudice gli aveva fornito era chiara, al piano terreno c’erano due stanze, una a destra e una a sinistra, in mezzo la scala che portava al piano superiore, dove c’erano altre tre stanze, e sopra il sottotetto. Loran diede istruzioni visive a Jake, sarebbe entrato lui insieme a Lewis, loro si sarebbero divisi le stanze a pian terreno, mentre Jake e Oscar sarebbero entrati dietro di loro, per salire direttamente al piano superiore. Iniziò il conto a rovescio con la mano, quando la chiuse a pugno scattò insieme al compagno verso la porta principale, Jake e Oscar erano dietro di loro pronti ad entrare. Lewis fece saltare la serratura, in un attimo furono dentro e avevano spalancato le due porte, mentre Jake e Oscar avevano già imboccato la scala che li avrebbe portati al piano superiore. Nelle stanze al piano terra però non trovarono nessuno. Rimasero in fondo alla scala, in attesa di sapere se a Jake e Oscar era andata meglio, ma pochi minuti dopo li videro scendere.

«Loran, ho paura che questo fosse uno specchietto per le allodole…» gli disse Jake con il terrore negli occhi,

«Io e Lewis andiamo al granaio, tu e Oscar cercate la cantina, ci ritroviamo qui.» secondo quanto indicato nella piantina della casa, alla cantina si accedeva da una porta della cucina. Jake e Oscar indossarono l’apparato per la visione notturna. Lentamente Oscar aprì la porta che li avrebbe fatti arrivare alla cantina, la scala era ripida e buia, iniziarono a scendere.



Loran e Lewis trovarono la porta del granaio parzialmente aperta. S’infilarono all’interno indossando anche loro gli apparati per la visione notturna, era un ambiente unico, completamente vuoto. Di fatto non c’era neppure il soppalco, o meglio ne era rimasto solo una piccola parte. Loran fece segno a Oscar di uscire e lo seguì all’aperto. Rimaneva solo il pollaio, che era accanto al granaio, e li si diressero.



La cantina era divisa in due, altre due porte da aprire. Ma anche lì nessuna traccia né di Mark né di Vincent. Ritornarono al piano superiore, dove Loran e Lewis li stavano aspettando.

«Niente.» sentì vibrare il telefono e guardò il display, era un messaggio… di Mark. D’istinto si rimise il telefono nel taschino senza riferire la cosa ai compagni.

«Ok, ritorniamo ai furgoni e facciamo venire gli spazzini.» Jake li lasciò passare avanti, senza dare nell’occhio, appena furono sufficientemente lontani guardò il messaggio.

«Pensavi di fottermi vero Jake? Adesso i piani cambiano, vieni a riprenderti il tuo Mark da solo, basta che cerchi bene, un'altra porta, ancora. Tic tac… ti do dieci minuti e poi gli faccio saltare la testa.» Jake rallentò ancora l’andatura, appena le figure davanti a lui scomparirono dalla sua vista, si voltò e iniziò a correre verso la fattoria. Sapeva dove andare.

Con il cuore che gli martellava nella testa arrivò di nuovo nello spiazzo di fronte alla casa principale, indossò di nuovo l’apparato per la visione notturna e, lentamente si diresse in cucina. Spostò il mobile che si trovava a destra della porta della cantina, mentre lo spostava, dietro al mobile un’altra porta si aprì.

«Vincent! Vieni fuori e affrontami da uomo e non dal codardo che sei!» l’eco di una grossa risata lo raggiunse. S’infilò dietro il mobile e, lentamente iniziò a scendere. Bastarono pochi gradini e nel buio gli apparve il viso tumefatto e quasi irriconoscibile di Mark. Aveva una pistola puntata alla tempia e saliva le scale con fatica, dietro di lui c’era Vincent. D’istinto puntò la pistola.

«Meglio che la metti giù, e sbrigati a ritornare fuori da qui.» Jake ripercorse quei pochi scalini senza dargli le spalle, con gli occhi puntati sul suo uomo.

«Appoggia le armi su quel tavolo e precedici.» eseguì l’ordine, non poteva fare altrimenti.

«Ok, Vincent, ma tu lascia andare Mark. Se prendi me lui non ti serve.» Vincent fece una smorfia.

«Non vuoi stare con il tuo ragazzo? Preferisci rimanere da solo con me per finire il discorso che avevamo iniziato in quel Hotel vero?» Mark parve risvegliarsi.

«Jake…no.» il suo volto oltre ad essere tumefatto era privo di colore, doveva avere perso parecchio sangue.

«Lascialo.andare.» Vincent rise.

«Ammanettati.» Jake prese le manette e si bloccò i polsi.

«Dammi le chiavi.» Jake gli consegnò le chiavi, e in quel momento Vincent gettò Mark per terra prendendo per la gola Jake.

«Ora io e te ce ne andiamo in un posto tranquillo, ad aspettare che i tuoi colleghi liberino Vinnie e Svetlana. Vedrai, non ti farò annoiare.» con Mark steso per terra quasi incosciente, Jake seguì Vincent fuori dalla casa. Lo scaraventò dietro all’auto, immobilizzandogli anche le gambe e partì a tutta velocità verso lo sterrato.



«Oscar e Lewis, al furgone di Jessica, Jake, con me.» i primi due risposero al comando ma Jake no. Loran si bloccò, aveva un brutto presentimento. Si girò e non vide Jake.

«Oscar dov’è Jake?!» Oscar scosse il capo.

«Signore, era dietro di me, Signore!» Loran emise un grugnito e iniziò a correre di nuovo verso la casa seguito dai suoi agenti.

«Occhi aperti, deve essere tornato indietro.» con il cuore a mille Loran arrivò davanti alla casa e per poco l’auto di Vincent non li investì. Loran si mise immediatamente in contatto con Jessica, ma la radio non funzionava, perciò si precipitò correndo verso i Suv parcheggiati.

«Signore! Dobbiamo tornare alla casa per vedere se hanno lasciato tracce!» Loran non aveva nessuna intenzione di tornare indietro, voleva inseguire quell’auto.

«Tu e Lewis, tornate indietro, io mi prendo Jessica e li inseguo.» gli disse continuando a correre. Ma anche se in pochi minuti si misero all’inseguimento, non furono in grado di intercettarli. Quando ritornarono indietro, le luci blu di un’ambulanza non gli fecero presagire nulla di buono.

«Capitano, l’abbiamo trovato sdraiato a terra nella cucina.» Loran riconobbe a stento Mark.

«Hey Mark! Hai davvero una brutta cera.» Mark gli catturò il braccio spingendolo ad abbassarsi.

«Riportamelo a casa, ti prego Loran, riportalo a…» perse di nuovo conoscenza, i paramedici si sbrigarono a infilarlo nell’ambulanza, per portarlo al pronto soccorso più vicino. Loran doveva tornare a casa, aveva bisogno di dormire e doveva scaricare tutta quella adrenalina che aveva accumulato.

«Ragazzi, ora non possiamo fare più di tanto, purtroppo. Dobbiamo riposare almeno quattro ore, perciò ci ritroviamo alla centrale alle 5.00, ma prima…» salì sul Suv di Jessica e andò alla radio, i cavi erano stati tagliati. Scese dirigendosi da R.J., senza dire una parola gli piazzò un diretto al viso facendogli esplodere il naso.

«Ammanettatelo, prima di andare a casa lasciatelo in centrale. Se succede qualcosa, qualsiasi cosa a Jake, la tua accusa non sarà più di tradimento, ma di associazione a delinquere, e ti assicuro che ti farò mettere in una cella con i peggiori figli di puttana. Sei peggio di loro.» salì sul suo Suv e inviò un messaggio a John.

LORAN – John, entro un’ora sarò all’appartamento, di a Harper di andare a casa a riposare, dille di tornare entro le 5.

JOHN – Ok.



Quando John rimase solo, venne preso dal panico, aveva seguito l’azione dal vivo. Con Mark all’ospedale e Jake nelle mani di Vincent, Loran doveva essere un fascio di nervi. Si domandò se anche lui avesse dovuto sparire, forse a Loran non avrebbe fatto piacere trovarlo lì. Inoltre se anche fosse rimasto, si chiese se sarebbe stato il caso di eseguire il suo ordine. Non sapeva davvero come comportarsi. Cosa avrebbe fatto un sub? La domanda aveva solo una risposta, un bravo sub avrebbe eseguito l’ordine, senza discutere. Ma lui non era ancora il suo sub, almeno non si sentiva ancora tale. Fino a quel momento non si era sottomesso. Doveva decidersi, tra pochi minuti Loran sarebbe rientrato. Scosse la testa. Andò in camera e si spogliò mettendosi seduto sui talloni, con le braccia dietro la schiena e attese.

Quando Loran arrivò all’appartamento, notò che l’unica luce accesa proveniva dal reparto notte. A passi decisi si diresse nella sua stanza e lo vide. Era ai piedi del letto, nudo, seduto sui talloni con le braccia dietro la schiena, una visione celestiale per lui. Lo aveva visualizzato in quella posizione dalla prima volta che lo aveva sbattuto al muro rifiutandolo.

«John, alzati vestiti e tornatene a casa.» mentre tornava all’appartamento, aveva pensato a cosa avrebbe fatto, rendendosi conto che, difficilmente sarebbe riuscito a mantenere sotto controllo la sua rabbia; avrebbe finito per fare del male a John e questo non lo voleva. John non era pronto, fino a quel momento aveva avuto solo un assaggio di quello che poteva succedere durante una scena. Non gliene sarebbe fregato nulla se fosse stato un ragazzo incontrato al club. Quelli sapevano a cosa andavano incontro quando entravano in un Dungeon con un Dom. No John era un diamante grezzo, e non aveva nessuna intenzione di romperlo, voleva forgiarlo, sfaccettarlo in modo che gli calzasse perfettamente. Fare una sessione con lui in questo momento sarebbe stato un errore, non voleva perderlo. Una consapevolezza che gli era costata parecchio, ma come in tutte le cose della sua vita, la verità vinceva su tutto, provava qualcosa per lui, qualcosa di più di semplice attrazione.

«Master, ho aspettato che tornasse e ora mi manda via?» Loran si stava liberando delle armi. Andò verso di lui, fermandosi di fronte.

«John, ti pentiresti di essere rimasto. Vai via, prima che sia troppo tardi.» neppure John capiva quale fosse l’impulso che lo spingeva ad insistere, di sicuro in questo giocava la sua testardaggine, ma c’era anche qualcos’altro, qualcosa di impalpabile eppure così giusto!

«Io penso di essere pronto Master, a meno che non voglia più che sia il suo sub, nel qual caso…» Loran pensò alle parole di Vanessa, lei era convinta che potesse essere quello giusto. Era rischioso, ma in effetti, forse era meglio che capisse ora, ora che lui non si sentiva ancora coinvolto, per lo meno non completamente.

«Occhi bassi puttanella.» John abbassò il capo istantaneamente.

«Perfetto, questa è la posizione in cui dovrai metterti ogni volta che mi aspetterai. Bellissimo e umile.» Loran si avvicinò di un paio di passi, portando le sue scarpe nel raggio di visione dei sui occhi bassi.

«Ti fidi di me?» John prese un sospiro prima di rispondere.

«Sì Master.» nella testa di Loran la scena stava prendendo forma velocemente.

«Rinunci al controllo?» un fremito percorse la schiena di John.

«Sì Master.» Loran sorrise soddisfatto.

«Mettiti al centro del letto, prono. Qual è la safeword?» John salì carponi sul letto mettendosi in posizione. Il capitano voleva che ripetesse la safeword, la sua paura più grande era che un pivellino come lui, se si fosse trovato al limite, non se ne ricordasse.

«Fenice.» Loran si tolse velocemente la parte superiore dei vestiti, rimanendo scalzo e con il torace nudo.

«Allarga braccia e gambe.» John non se lo fece ripetere. Loran prese cavigliere e polsiere dall’armadio e le pose ai polsi e alle caviglie di John, beandosi della sua vista e dell’evidente stato di agitazione che gli stava creando. Con sottili catene, che fece passare dagli anelli delle costrizioni, lo bloccò alla testiera e ai bordi del letto. Si sistemò dietro di lui per ammirare la scena.

«Perfetto, vergognosamente esposto.» si spostò verso la testiera, abbassandosi per guardarlo in volto.

«Sei comodo, seacláid?» John aveva il cuore a mille, non sapeva cosa un sub dovesse o meno dire, perciò si affidò all’istinto.

«Sarei io il cioccolatino Master?» il capitano non si aspettava certo che lo avesse capito, visto che aveva parlato in Irlandese.

«Il tuo master è piacevolmente stupito, parli irlandese?» John si sentì incredibilmente soddisfatto di averlo compiaciuto.

«Ho frequentato un ragazzo irlandese che mi ha insegnato qualche parola.» la sculacciata che piombò sulla sua natica sinistra, rimbombò nella stanza.

«AHHHH!» Loran guardò affiorare l’impronta della sua mano dalla natica, visione che il suo uccello gradì notevolmente, passando da semirigido a duro in un batter di ciglia.

«Piccola puttanella, parli dei tuoi amanti mentre sei con me pensando di passarla liscia?» John sentiva la natica bruciare come l’inferno, avrebbe dovuto smorzare la sua eccitazione, invece si trovava a fare i conti con il suo uccello, che sembrava voler scoppiare da un momento all’altro.

«Perdono Master, non succederà più.» gli rispose ansimando, sentendo ancora bruciare la sua natica. Loran si spostò di nuovo verso l’armadio, portando con sé alcune candele.

«Sai cosa sono queste?» gli chiese passandogli alcune delle candele sotto il naso.

«Ohhh… sono candele?» Loran sorrise.

«Non muoverti.» lo sentì uscire dalla camera, da lontano gli arrivarono dei rumori indefinibili. Ritornò quasi subito con un secchiello di ghiaccio.

«Ricorda, non puoi venire.» accese la prima candela, un inebriante profumo di vaniglia intrise la stanza. Guardandolo ansimare si mise a cavalcioni su di lui.

«Non ti muovere.» John affondò la faccia sul cuscino, sapeva cosa sarebbe successo. La prima goccia cadde sulla sua scapola sinistra, facendogli tendere tutto il corpo. Poi una seconda fino a che smise di contare, mentre la sua schiena andava completamente a fuoco, ma l’unica cosa che sentiva era la pressione del corpo di Loran seduto comodamente sul suo culo. Il ghiaccio arrivò ancora più inaspettato.

«AHHHH Master brucia!» Loran sorrise notando la lacrima che vide uscire dalle sue ciglia. Era così preso il suo cioccolatino.

«Vuoi che mi fermi?» la sua mente era un po’ confusa, ma di una sola cosa era certo, non voleva che si fermasse.

«No, io …no…» Loran scese da lui mettendosi al suo fianco in ginocchio.

«Allora chiedilo educatamente puttanella.» un'altra sculacciata, questa volta sull’altra natica, lo fece inarcare.

«AHHH, per favore Master, ancora con le candele…» a Loran salì un verso roco, si stava eccitando sempre di più, l’adrenalina che aveva accumulato era tanta, ma finalmente la sua mente e il suo corpo erano focalizzati in un unico sforzo, appagare il suo sub. Prese le altre due candele accendendole con le prime.

«Immobile.» John trattenne il respiro. La cera delle due candele invase entrambe le natiche, bruciava ancora di più, sulla carne già provata da quelle sculacciate così violente. Sentì Loran spostarsi in mezzo alle sue gambe e, subito dopo un'altra dose di cera colò sul suo culo.

«Porca puttana Master, oddio!» le mani di Loran si posarono sui suoi fianchi obbligandolo ad alzare il culo.

«Ora ci divertiamo, visto che sei stato bravo.» le ultime candele che aveva usato erano quelle che preferiva, la cera scaldandosi rilasciava olio che ora stava colando caldo e lussurioso sui genitali del suo sub. Appoggiò le mani sulla cera, riempendole dell’olio che avevano rilasciato e scese lentamente con una mano a stimolare il cazzo di John, che era duro e pulsante. Lo accarezzò lentamente, gustandosi la sua espressione estasiata, mentre con l’altra mano scendeva sul perineo. Andò avanti per qualche minuto, appena vide che le palle di John stavano per ritrarsi si fermò e lo sculacciò.

«Non.ti.ho.dato.il.permesso.per venire. Rifallo un'altra volta e ti negherò l’orgasmo.» John si chiese come avesse fatto ad accorgersene, ma aveva ragione, era a un soffio dal non ritorno.

«Non succederà più signore…ma la prego, la prego non smetta.» riprese a massaggiargli l’asta turgida con un movimento lento, soffermandosi sempre più spesso sulla punta. Ma non contento iniziò a giocare con il suo buchetto con movimenti lenti e circolari.

«Oddio Master, ti prego…» il dito si bloccò sull’entrata.

«Spingi.» John si spinse sul dito lasciandolo entrare fino in fondo. Ben presto Loran trovò la sua prostata che accarezzò arricciando il dito dentro di lui.

«Master ahh posso?» Loran sorrise.

«No. Trattienilo.» lo portò al limite di nuovo, poi si fermò. Vedeva la frustrazione crescere in John, così come l’eccitazione. Infilò altre due dita, ma cambiò il ritmo, assicurandosi di toccare la sua prostata ogni volta che entrava e usciva. Non sarebbe arrivato nel subspace questa volta, ma questa esperienza l’avrebbe ricordata per sempre. John stava perdendo la testa, ormai non ricordava più quante volte l’aveva portato sull’orlo del precipizio. Il chiaro rumore di una zip che veniva aperta attirò la sua attenzione.

«Se potessi vedere che disastro ho fatto qui dietro…lo senti il rumore osceno che fa il tuo buco mentre prende tre dita…sei così lascivo cioccolatino.» con uno schiocco ritirò le dita. John provò la sensazione sgradevole di sentirsi abbandonato e mugugnò parole sconnesse.

«Qualcosa non va puttanella?» gli chiese mentre strusciava il suo uccello sulla sua entrata.

«Io credo che impazzirò Master, maledizione ah ah» gli rispose spingendo il bacino verso di lui.

«Posso fare qualcosa per farti impazzire ancora di più?» con una piccola spinta fece pressione sul suo buco ritirandosi subito dopo.

«Io…io credo che sì Master può fare qualcosa per me, per piacere?» Loran continuò a ripetere lo stesso movimento tormentandolo.

«Volentieri, cosa posso fare per te cioccolatino?» John sentiva che se non l’avesse preso subito sarebbe davvero impazzito.

«Ti prego Master, scopami, ti prego. Ah ahhh» Loran gli bloccò le anche artigliando i suoi fianchi.

«Non.puoi.godere.» e con un unico affondo lo prese, iniziando a muoversi con esasperante lentezza. Il rumore delle catene che tintinnavano tirate dalle braccia di John, i suoi ansiti, le sue grida di piacere, la sua pelle il suo odore, sapeva che non avrebbe resistito ancora molto.

«Non resisto Master, io devo… ti prego!» si fermò piegandosi sulla sua schiena.

«Ora puoi venire, vieni per me cioccolatino.» si rialzò afferrandolo di nuovo per le anche e aumentò il ritmo dei suoi affondi. La potenza con cui lo possedeva era devastante per John, sentiva che l’avrebbe rotto, ma anche così l’unica cosa che voleva era che affondasse sempre di più. La mano di Loran si posò sulla sua erezione prendendola saldamente, e masturbandolo velocemente.

«Porco cazzo, ahhh godoooooo!» urlò John buttando la testa indietro. I suoi occhi erano rovesciati. Loran fece in tempo a pensare, che il suo viso nell’estasi fosse la cosa più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita, che venne copiosamente scaricandosi dentro di lui.

Lentamente, dopo averlo accarezzato sulla schiena, uscì da lui. Si sbarazzò del preservativo e slegò John. Sparì nel bagno e ritornò con un asciugamano bagnato, con il quale si mise a pulire minuziosamente John, che non si mosse godendo delle sue deliziose attenzioni. Prese due bottigliette d’acqua e gliene porse una.

«Bevi, è fresca.» John non riusciva a smettere di tremare, si vergognò, perché anche mentre cercava di bere, la bottiglia non ne voleva sapere di stare ferma. Loran vedendolo in difficoltà si distese accanto a lui e lo prese tra le braccia.

«Stai bene?» John lo guardò alzando leggermente la testa.

«Io…non credevo che fosse così…» Loran alzò un sopracciglio.

«Beh, allora è meglio se ci pensi ancora un po’, perché oggi ci sono andato davvero leggero con te.» John si accoccolò tra le sue braccia, e lui lo accolse mentre sentiva che le sue palpebre si facevano sempre più pesanti, grato di poter avere quella tregua che anelava.

«Forse non mi sono spiegato bene Loran, so benissimo che ci stai andando piano con me. Quello che spero è che la prossima volta tu non ci vada così piano, perché se quello che ho provato non è il subspace, cristo santo, non oso immaginare come potrei sentirmi.» Loran spalancò gli occhi, il suo uccello fece altrettanto, mettendosi quasi sull’attenti.

«John, non provocarmi. Ora devo dormire, svegliami tra un paio d’ore.» la strada da percorrere con John, non sarebbe stata facile. Sperò di non lasciarci un altro pezzo di cuore.



Vincent aveva percorso molti chilometri, Jake dalla sua posizione però, non era riuscito a capire dove fossero finiti. Albeggiava quando finalmente lo fece uscire dall’auto. Ma prima di farlo gli bendò gli occhi. Quando gli venne tolta la benda si ritrovò in una stanza con le finestre sbarrate, un piccolo bagno e null’altro. Vincent gli slegò i polsi.

«Hai dieci minuti per andare in bagno, con la porta aperta, ovviamente.» Jake andò nel bagno, la vescica gli stava per scoppiare, non poteva farne a meno. Si lavò le mani e il viso, mentre fotografava l’intera stanza per cercare qualcosa da poter trasformare in un’arma. Uscì dal bagno porgendo a Vincent le sue mani per farsele nuovamente legare.

«No, sul letto.» ubbidientemente si stese supino.

«Stendi le braccia sopra la testa.» Vincent gli legò i polsi alla testiera.

«Dormi, e non provare a fare qualche stronzata se non vuoi che ti ficchi una pallottola in testa.» uscì dalla stanza chiudendolo dentro. Dopo qualche minuto di completo silenzio, nel buio della stanza, ripensò alla maschera di dolore di Mark. Avrebbe dovuto essere con lui in quel momento, e non legato in quella stanza. Lacrime di rabbia iniziarono a solcargli il viso. La consapevolezza di non poter sapere in che condizioni versava, lo faceva sentire così male. Si domandò se lo avessero trovato, e al pensiero che non fosse stato così dovette trattenere un urlo. Ragionandoci razionalmente non era possibile, dovevano essere per forza entrati a vedere se avessero lasciato delle tracce e Mark era lì, in bella vista, impossibile non vederlo. Per una frazione di secondo pensò anche all’eventualità che Mark fosse morto. Ma scacciò dalla sua mente quel pensiero perché non era un’opzione, Mark doveva essere vivo. Si permise anche di pensare a sé stesso, chissà cosa gli riservava quel mafioso pervertito?

Vincent aveva agito d’istinto, l’incolumità di Svetlana era stata affidata a lui dalla famiglia Gentile, e lui aveva combinato un bel casino, proprio un bel casino. Doveva mettersi in contatto con Rocco, il suo padrino. Ma prima aveva bisogno di dormire, erano secoli che non chiudeva occhio.



Mark riprese conoscenza il mattino successivo. Quando aprì gli occhi ebbe un attimo di smarrimento, ma quasi subito ricordò ciò che era successo. Esplorò visivamente l’ambiente attorno a lui. Aveva delle cannule nasali per l’ossigeno, una flebo attaccata all’infusore e vari sensori piazzati qua e la sul suo corpo martoriato. Non sentiva gran che dolore, sicuramente l’avevano imbottito di antidolorifici e questi stavano facendo il loro lavoro egregiamente. Alzò la mano sinistra, la fasciatura gli ricordò che un pezzo del suo dito indice non c’era più. Ma quello che gli stava facendo più male era il ricordo del viso di Jake, quando si era offerto come ostaggio al posto suo. Il suo Jake, il suo bellissimo Jake. Doveva mettersi in contatto con Loran il prima possibile, si mosse per individuare dove potessero essere i suoi effetti personali. Cercò di mettersi seduto ma il corpo non gli rispose.



«Loran…» erano almeno dieci minuti che John tentava di svegliarlo, senza successo. Allora decise di svegliarlo con il metodo che usava sua madre con lui quando era ragazzino; gli tappò le narici.

Gli occhi di Loran si spalancarono, e la sua mano si abbatté sul suo polso stringendolo come se lo volesse spezzare.

«Hai voglia di morire?» John sorrise, come un bambino scoperto a rubare le caramelle dal cesto, ottenendo che la mano di Loran allargasse un po’ la presa.

«Giuro che ho provato di tutto ma tu non volevi svegliarti!» il capitano gli lasciò definitivamente il polso.

«Caffè, subito.» gli disse mentre allungava gli arti sbadigliando sonoramente. John gli fece il saluto militare e corse in cucina. Quando ritornò Loran era già vestito.

Loran bevve il caffè, assaporandone ogni goccia,

«Tra poco arriverà Harper, cosa possiamo fare per renderci utili?» Loran si allacciò la fondina ascellare.

«Per ora nulla, ma rimanete in ascolto. Vado da Mark, spero che possa ricordare qualcosa che ci aiuti a capire dove potrebbe avere portato Jake. Fai il bravo, vedi di non uscire da quella porta.» mentre gli diceva quell’ultima frase camminava verso di lui costringendolo al muro.

«E quando tutto questo sarà finito, andremo in un posto tranquillo, e metteremo in chiaro un paio di cosette.» John si morse il labbro inferiore, Loran gli strinse le guance, facendo in modo che lo lasciasse per poi morderlo nello stesso punto con forza.

«Anche questo è mio, solo io posso morderlo.» Loran lo guardò, le sue pupille stavano già reagendo dilatandosi, e le sue labbra erano in attesa di ricevere un bacio.

«A dopo cioccolatino.» ma non lo baciò, abbandonò le sue guance e si avviò all’uscita.



Loran si precipitò all’ospedale da Mark, pregava che gli potesse fornire qualche indizio su dove avevano portato Jake, cercava di allontanare dalla sua testa i possibili scenari, aveva paura che gli facessero del male. Teneva a lui, anche se non ne era più innamorato, continuava ad essere una delle persone più importanti della sua vita. Le immagini di John legato al letto erano ancora vive nella sua mente, per la prima volta dopo dieci lunghi anni aveva riprovato quelle sensazioni a lui così famigliari, ma anche qualcosa di diverso, qualcosa di più coinvolgente. Lo sconcertava il modo in cui si era abbandonato a lui completamente, non conosceva la paura. Questo aspetto lo preoccupava, se i rapporti vaniglia erano fragili all’inizio, un rapporto come il loro lo era ancora di più, doveva chiarirsi, perché, accidenti, voleva che il loro rapporto crescesse, gli piaceva il suo seacláid. Non si ricordava di aver avuto una sintonia fisica così intensa, non avrebbe rovinato tutto. Parcheggiò di fronte all’entrata dell’ospedale, presentò le sue credenziali alla guardia e si fece indicare la stanza di Mark. Lo trovò seduto che guardava fuori dalla finestra.

«Hey, come stai?» si voltò verso Loran, riconoscendone la voce.

«Non sapevo come fare a contattarti, non so dove sono le mie cose…Loran…» l’angoscia era stampata sul suo volto.

«Lo riporto da te, ma tu devi aiutarmi.» Mark annuì. Loran prese una sedia e si mise accanto al suo letto.

«Ora voglio che tu chiuda gli occhi e torni in quello scantinato, ogni cosa che ti viene in mente dilla.» Mark si appoggiò al cuscino e chiuse gli occhi ripercorrendo l’incubo.

«Ha iniziato a picchiarmi quasi subito. Non sempre capivo ciò che diceva, perdevo conoscenza, spesso. Una sola volta ho sentito che parlava con qualcuno al telefono, diceva “Mary, stai tranquilla, ne verrò fuori. Tu non dire nulla a tuo padre, so quello che faccio, li libereranno.” Loran prese in mano il telefono e andò a guardare la scheda di Vincent. Mary Gentile, la moglie di Vincent, la figlia di Rocco, il boss. Perché non avrebbe dovuto dire nulla a suo padre? Vincent stava agendo da solo! Un sorriso illuminò il viso di Loran.

«Mi basta, credo che tu abbia appena salvato la vita al tuo compagno. Ti spiego appena posso, vado a fare una visita a Rocco Gentile.» Mark non gli chiese nulla, qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente andava bene, se fosse servita a riportargli il suo amore.



Copyright © 2020 Veronica Reburn 

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Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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