Cerca nel blog

domenica 30 agosto 2020

 

Another Door

Sesto capitolo

 

Non ci volle molto perché Loran si accorgesse di essere seguito, decise di allungare la strada che normalmente percorreva, per averne la certezza e per darsi il tempo necessario di decidere come agire. Poteva essere chiunque; da uno scagnozzo di Svetlana a un amante geloso, anche se erano mesi che non frequentava nessuno, perciò questa eventualità gli risultava pressoché improbabile. Decise di fermarsi in un locale non tanto distante da casa sua, quel locale aveva un’uscita sul retro, ne avrebbe approfittato per uscire e prendere alle spalle il suo inseguitore. Parcheggiò in un punto che gli dava un’ampia visuale, notò che la macchina che lo seguiva aveva spento i fari molto prima di fermarsi, doveva essere un professionista, era prudente. Però Loran lo era di più, focalizzò il punto dove aveva parcheggiato il suo inseguitore e entrò nel bar. Ordinò un caffè e attese, dopo dieci minuti non era ancora entrato nessuno sconosciuto, pagò il caffè e si diresse al bagno, ma invece di entrare nel bagno, uscì dal retro, dirigendosi dalla parte opposta al parcheggio. Arrivò dietro al veicolo che lo stava seguendo, nascosto verificò, per quanto potesse vedere, quante persone ci fossero all’interno. Quando si convinse che c’era solo una persona ed era al volante, prese la pistola e si avvicinò come un’ombra. Spalancò la portiera puntandogli l’arma addosso.

«Mani sopra al volante, una mossa e ti faccio saltare la testa. Chi cazzo sei?» il giovane ragazzo di colore sgranò gli occhi.

«Io…sto solo facendo il mio lavoro, solo facendo il mio lavoro.» con lo sguardo indicò a Loran la tasca della sua giacca. Loran allungò la mano e tolse il documento che si trovava al suo interno.

«Silver investigation. John Several.» gli restituì il tesserino e rinfoderò la pistola.

«Signorsì, signore.» Loran non si aspettava certo di avere un detective privato alle costole e, soprattutto, non aveva la più pallida idea di chi gliel’avesse messo.

«John, abbiamo due possibilità. O ti porto in centrale e mi dirai in qualche modo chi ti ha ingaggiato oppure, me lo dici qui ora e io ti faccio andare a casa.» John si grattò la testa rasata.

«Io…non conosco il suo nome. Non l’ho neppure mai visto di persona. Mi ha saldato tutto in contanti, la busta mi è stata consegnata da un corriere.» Loran gli fece cenno di proseguire.

«Mi ha chiesto di seguirla e di consegnargli il dettaglio dei suoi spostamenti di una settimana, nient’altro.» John gli mostrò i suoi appunti, lo seguiva già da qualche giorno, quel ragazzo era davvero bravo.

«Dove gli consegnerai la relazione?» il ragazzo sorrise.

«Mi ha detto che me l’avrebbe fatto sapere finito il lavoro, ma…mi aveva anche avvertito che probabilmente non sarei riuscito a completarlo. E mi ha dato questa per te, qualora mi avessi beccato.» gli consegnò una busta chiusa.

«Ti ha detto anche cosa fare se ti avessi beccato?» John annuì.

«Sì. Il mio lavoro termina qui. Non devo neppure consegnargli la relazione. Mi dispiace, non so altro.» Loran prese la lettera e la infilò nella tasca.

«Hai un biglietto da visita?» John glielo porse.

«Sei parecchio bravo per essere così giovane, e piuttosto carino.» John gli sorrise, facendogli capire che non si era sbagliato.

«Anche tu non sei affatto male, per essere un bianco.» Loran resistette alla voglia di scaricarsi che ormai era piuttosto forte, ma si tenne una porta aperta, quel ragazzo era davvero il suo tipo.

«Ci sentiamo detective.» il ragazzo gli sorrise e gli strinse l’occhio.

«Ci conto capitano.» giunto a casa, Loran, con tutte le cautele del caso, aprì la busta e ne estrasse una breve lettera.

 

“Capitano O'Reilly, se stai leggendo questa lettera significa che hai beccato il mio detective, come mi aspettavo. Mi chiamo Akashi, ovviamente questo non è il mio vero nome, e sono un amico di Mark. Lo state mettendo in pericolo, non sai quanto, e questo non lo posso davvero permettere. Anche se ho detto a Mark che non avrei indagato oltre, ho continuato a farlo per conto mio. Ho scoperto parecchie cose. Cose che vi possono servire per chiudere il caso, ma non possono essere usate in tribunale, visto che le ho “rubate”. Ma se sarai furbo, riuscirai a trovare le prove e potrai fermare questo traffico immondo. Ti chiedo un'unica cosa, se queste informazioni ti serviranno, vorrei poter lasciare finalmente la clandestinità, sono stanco di nascondermi. Attendo una tua chiamata dopo che avrai guardato il mio fascicolo. Lo puoi trovare negli archivi dell’FBI sotto il nome “HARPER FR case 2684”. Spero di sentirti presto e, fai attenzione, c’è una talpa nel tuo gruppo.”

 

Il primo impulso che ebbe Loran, fu quello di chiamare Jake e Mark per chiedere spiegazioni. Decise di versarsi uno scotch, mentre rileggeva la lettera. Era molto tardi, appena si fosse svegliato, il mattino dopo, avrebbe chiamato un suo amico dell’FBI, gli doveva un grande favore, gli avrebbe dato l’occasione di sdebitarsi. Farsi un’idea di chi fosse questo Akashi era la prima cosa che doveva fare, anche per capire se davvero avrebbe potuto accontentarlo, per quanto potere avesse, dipendeva da cosa aveva combinato.

 

Anche Jake aveva continuato a indagare e, finalmente aveva trovato qualcosa. Si era ricordato che Mark gli aveva detto che Akashi e Brian si conoscevano dai tempi dell’università. Una violazione come quella che aveva fatto Akashi, ai tempi, non poteva passare inosservata. Approfittando del fatto che Mark avrebbe fatto tardi, e si sarebbero visti solo la sera successiva, decise di darsi da fare. Fece una ricerca, partendo dai due anni precedenti l’iscrizione di Mark al Queens college, su tutte le principali testate giornalistiche dell’epoca. Ma non trovò nulla. Decise infine di fare un ultimo tentativo, passando in rassegna il giornale dell’università. E fu lì che incontrò le sue prime risposte. Un articolo firmato proprio da Brian.

 

“Questo mese dobbiamo registrare un fatto gravissimo. L’FBI ha spiccato un mandato di cattura su H.L. Questo ha creato non pochi disagi a tutti noi. Conoscendolo da tempo, crediamo che le sue intenzioni non fossero di danneggiare nessuno in alcun modo, ma la violazione di un sito federale rimane un grave delitto. L’intera università si dissocia da quanto accaduto. Caldeggiamo ogni notizia che possa aiutare a ritrovarlo, ci rivolgiamo soprattutto ai suoi compagni di facoltà e a quelli che frequentavano il laboratorio di informatica, da lui gestito, la vostra collaborazione con gli agenti federali deve essere incondizionata.”

 

Si collegò al sito dell’università e iniziò a sfogliare gli annuari, con quelle iniziali trovò sette persone. Cinque di loro frequentavano corsi che nulla avevano a che vedere con l’informatica, così le scartò. Ne rimanevano due, ed entrambi frequentavano matematica ed il laboratorio di informatica. A quel punto fu semplice scoprire chi di loro aveva continuato gli studi e chi no. Aveva il nome. Guardò la foto, non se lo sarebbe mai aspettato, ne avrebbe parlato il giorno dopo con Mark.

 

Appena sveglio, Loran tirò giù dal letto il suo collega dell’FBI, che fu ben lieto di potersi finalmente sdebitare. La copia del fascicolo arrivò sulla mail privata di Loran a metà mattina. Il reato era grave, ma il fatto che fosse successo così tanti anni prima e che, apparentemente, non vi fossero state conseguenze, lo avrebbe aiutato a convincere il giudice per fargli modificare la pena. Ora dipendeva tutto da cosa aveva da scambiare. Continuò a rigirare la foto tra le mani, chiedendosi se gli anni e la clandestinità lo avessero cambiato. Compose il numero di telefono che gli aveva dato.

«Capitano, così presto?» Loran rise.

«Veniamo al sodo, credo di poter fare qualcosa per te, ma prima devo vedere cos’hai in mano. Dobbiamo vederci.» sapeva che gliel’avrebbe chiesto, era preparato.

«259 della 136th street, suona il campanello di Ava Brown. Lunedì mattina alle undici, se non sarai solo, me ne accorgerò, se vieni per arrestarmi, non avrai nulla.» non aveva nessuna intenzione di perdere quell’opportunità, né di giocargli dei brutti scherzi.

 

Venerdì mattina Jake era agitatissimo, la sera si sarebbe visto con Mark, anzi, con il Signor Robert Sullivan. Era una cosa strana, in un certo qual modo lo eccitava. Avevano deciso di trovarsi direttamente al motel scelto da Mark. Era un motel di quelli in cui parcheggi direttamente davanti alla camera. Mark avrebbe fatto prendere le chiavi da un'altra persona, che avrebbe fatto registrare la stanza a nome di Robert Sullivan, gli avrebbe inviato un messaggio con il numero della camera. Attento come mai, Jake andò all’appuntamento con il suo texano. Parcheggiò di fronte alla camera 45, attese un po’ prima di scendere, voleva essere sicuro che nessuno lo seguisse, e che non ci fosse qualcosa di strano. Quando si convinse che tutto era a posto, scese dall’auto e bussò alla porta della camera.

«Vieni avanti Amber.» era la voce del suo Mark, ma aveva un forte accento texano, quasi scoppiò a ridere. Aprì la porta. Nulla l’avrebbe preparato a quanto vide davanti ai suoi occhi. Il suo compagno era nudo, steso sopra il letto, con le gambe aperte. Jake si appoggiò sulla porta.

«Cosa diavolo…?» Mark gli sorrise lascivo, mentre una mano scivolava verso la sua apertura stuzzicandola.

«Ho pensato che, l’unico modo di farti capire quanto tu sia importante per me sia questo, mi vuoi Jake?» mancò poco che Jake facesse esplodere la cerniera dei pantaloni. Mai si sarebbe aspettato questo da Mark, lui era l’attivo per eccellenza. Si vedeva da come si muoveva, da come faceva l’amore. C’aveva pensato? Oh, sì, un milione di volte!

«S-sei sicuro?» Mark gli buttò un tubetto di lubrificante alla ciliegia.

«Cazzo!» Jake chiuse la porta e si spogliò alla velocità della luce, buttandosi su di lui.

«Dovrai essere gentile Jake, non l’ho mai fatto, neppure con Brian.» quella confessione fece fermare Jake.

«Mark, non sei obbligato. Davvero, non è necessario che tu forzi la tua natura. Non devi dimostrarmi nulla.» Mark lo attirò a sé.

«Non mi sto forzando. So che lo desideri, lo sento. Ogni volta che facciamo l’amore cerchi sempre di toccarmi, ma non hai il coraggio di andare fino in fondo. Non voglio che ci siano barriere tra noi, tu sei mio come io sono tuo. Non pensavo che l’avrei mai detto a nessuno ma, ti desidero, voglio sentire le stesse cose che senti tu, e che anche tu possa sentirti come mi sento io.» Jake lo avrebbe penetrato in quello stesso istante tanto era carico. Ma non sarebbe stato bello per lui, e invece voleva che quella non fosse l’unica volta, perciò si prese tutto il tempo del mondo per prepararlo. Lo accarezzò, gli stuzzicò i capezzoli sia con le mani che con la lingua. Lentamente portò un dito sulla sua apertura, dopo averlo leccato per bene, e lo penetrò, mentre con l’altra mano si occupava della sua erezione. Mark sussultò quando sentì quella intrusione, era fastidioso, ma nulla che non si potesse sopportare, e poi, Jake lo stava stimolando ovunque, facendo sì che non ci pensasse più di tanto. Jake spremette un po’ di lubrificante sulla sua apertura e inserì un altro dito. Ora Mark sentiva che le dita di Jake stavano muovendosi al suo interno, poi accadde, le dita sfiorarono la sua prostata e sentì un’esplosione di piacere avvolgere i suoi lombi.

«O mio dio!» gridò, mentre Jake, inseriva un terzo dito allargando il suo buchetto.

«Bello eh?» gli disse soddisfatto, mentre gli mordeva il lobo dell’orecchio. Jake tolse le dita portandosi in ginocchio in mezzo alle sue gambe.

«Andrò lentamente, se vuoi che mi fermi dimmelo.» Mark fremeva, temeva il dolore, ma voleva riprovare quella sensazione pazzesca, provata poco prima con le sue dita. Jake gli alzò le gambe, e posizionò il suo membro durissimo davanti alla sua apertura, si spinse delicatamente dentro di lui, sentendosi avvolgere dalla sua carne calda.

«Cazzo, sei strettissimo amore.» il dolore paralizzò Mark. Ma Jake se ne accorse immediatamente.

«Respira, guardami e respira, lentamente. Ecco, così.» appena sentì che la stretta si allentava, si spinse dentro fino in fondo.

«Ecco, l’hai preso tutto amore.» il dolore era sempre presente, ma ora sentiva un calore e un senso di pienezza che non era per nulla spiacevole. Jake si stese su di lui e lo baciò senza muoversi.

«Muoviti, non vorrai stare così tutta la notte vero?» Jake sorrise, puntò le ginocchia e uscì per metà, per poi rientrare più velocemente. Stava scopando il suo Mark, l’eccitazione era al massimo, prese a muoversi con più decisione, trovando quasi subito il punto giusto.

«Oddio! Godoooooo!» Mark venne rilasciando caldi fiotti di sperma sul suo stesso ventre. Quella vista fece perdere completamente la testa a Jake, che lo riempì con il suo sperma profondamente.

«Oddio questo è il paradisooooo!» urlò Jake mentre ancora stava godendo dentro di lui. Si baciarono senza fiato, respirando l’uno l’aria dell’altro.

«Ora sei convinto?» Jake lo guardò a lungo negli occhi, perdendosi in quel mare profondo.

«Non ti azzardare a lasciarmi, questo è per sempre, lo capisci?» Mark lo abbracciò baciandolo su tutta la faccia.

«Ricordami che quando tutto questo sarà finito devo chiederti una cosa. Ma ora…» con una sola mossa ribaltò la situazione mettendosi sopra di lui.

«Ora torniamo alle origini, sono di nuovo duro e ora ti riempio io.» Jake si mise a ridere liberandosi di lui, lo immobilizzò con una sola mossa e si mise a cavalcioni.

«Stasera comando io, anche se a metterlo sei tu, chiaro.» mentre glielo stava dicendo, aveva già iniziato a spingersi sul suo cazzo.

«Certo, fai pure.» disse Mark, mentre gli allargava le natiche e, con un colpo di reni, lo penetrava fino in fondo.

«Cazzo Mark!» urlò Jake inarcandosi, sostenuto dalle sue mani.

«Quando scopo mi piace avere io il comando, dovresti averlo già imparato no?» gli disse, mentre pompava dentro con il solito ritmo infernale.

«Mark, Mark oddio vengooooo» gli impedì di toccarsi, voleva che venisse per lui, e Jake lo fece.

«Sì così amore, solo col tuo culo. Ti adorooooo» gli disse, mentre la stretta di Jake, lo stava portando all’orgasmo più velocemente di quello che avrebbe voluto. Crollarono sul letto, continuando a tenersi per mano, per non interrompere quel magico contatto.

«Mark… dobbiamo andare a lavarci, abbiamo fatto un completo disastro qua sopra.» Mark guardò il suo compagno, completamente impiastricciato di sperma, come lui, del resto.

«Mi sembra un ottima idea.» la doccia era piccola, ma fecero in modo di riuscire ad entrarci comunque insieme. Avevano ancora un paio d’ore da passare in quella stanza, ne approfittarono per parlare di quello che sarebbe accaduto il giorno successivo.

«Domani Nox si incontrerà con il ragazzino, la stanza è già stata riempita di telecamere, non vogliamo che possa fargli qualcosa. Certo dovrà per lo meno toccarlo, ma sa di doversi fermare e andarsene il prima possibile.» Jake parlava col il capo appoggiato sul torace del suo amante, gli piaceva ascoltare i battiti regolari del suo cuore.

«Lunedì, se non mi avrà contattato lei, chiamerò Svetlana, le chiederò di incontrarci e lì, spero di riuscire a farmi consegnare le chiavi di accesso, per poter accedere alla lista.» Jake si agitò, aveva rimandato anche troppo, doveva dirgli cosa aveva scoperto.

«Mark, mi hai detto che dovevamo essere sinceri l’uno con l’altro, giusto?» Mark corrugò le sopracciglia e lo costrinse ad alzare il viso verso di lui.

«Certo. Che c’è? Devi dirmi qualcosa?» Jake si mise seduto.

«Non esiste un modo giusto per dirtelo, perciò sarò diretto. Ho fatto delle indagini sul tuo hacker, so chi si nasconde dietro il nome di Akashi.» lo guardava di sbieco, attendendo con trepidazione una sua reazione.

«Era necessario?» Mark non sembrava essersi arrabbiato, perciò continuò.

«Sì, non potevo evitarlo. Lui sa tutto di questa indagine, dovevo sapere nelle mani di chi ti stavi mettendo. Stai già correndo parecchi rischi.» Mark sospirò.

«Capisco, e ora che sai chi è, lo denuncerai?» Jake, stupito, lo afferrò per un braccio.

«NO! Ma che stai dicendo! Non lo farei mai! Ho trattato questa cosa al di fuori dell’indagine, il suo nome non comparirà da nessuna parte, hai la mia parola!» Mark sorrise.

«Allora, chi è Akashi?» gli chiese infine, tornando a sdraiarsi su di lui.

«Non lo indovineresti in un milione di anni.» gli rispose mettendosi a ridere.

 

Loran, arrivato al 259 della 136th street, suonò il campanello di Ava Brown. Erano le undici spaccate, era solo, aveva in mano un accordo, strappato con le unghie e con i denti al giudice Jensen. La signora Brown gli venne ad aprire, era una donna di colore di mezz’età, gli occhi di quella donna gli diedero la sensazione di averli già visti.

«Salve Signora.» la signora Brown gli sorrise amabilmente.

«Lei dev’essere il signor O'Reilly, prego, entri, la stanno aspettando.» Loran entrò, un po’ interdetto dal fatto che la signora Brown avesse usato il plurale. La seguì in quella che doveva essere la sala da pranzo. Akashi, con il suo solito cappuccio calato fino agli occhi, era seduto all’estremità del tavolo. Loran sentì qualcosa di freddo appoggiarsi sulla sua nuca.

«Fai il bravo capitano, deve solo perquisirti.» gli disse Akashi ridendo. Due mani esperte iniziarono una minuziosa perquisizione, a tratti forse un po’ troppo minuziosa.

«È pulito.» la sensazione di freddo svanì. Loran si girò, trovandosi davanti gli stessi occhi della signora Brown.

«Ben trovato capitano, è stato un vero piacere poterti “perquisire”.» era il ragazzo che si era presentato come investigatore della Silver investigation.

«John, che sorpresa…» il ticchettio delle unghie, sbattute a ritmo costante sul tavolo, richiamò la loro attenzione.

«Fate pure con comodo…» Loran sorrise, avvicinandosi al tavolo e mettendosi a fianco di Akashi.

«Dimmi quello che sai, Harper, e togliti quel distorsore di voce dalla bocca, non serve più.» John si sedette di fronte a Loran, era evidente il suo interesse nei suoi confronti e non tentava neppure di nasconderlo. Harper fece scivolare il cappuccio dalla testa e, una folta chioma biondo cenere fuoriuscì, inondandole le spalle. Appoggiò il distorsore sul tavolo.

«Parlare con la mia voce mi fa effetto, quasi non la riconosco dopo tutto questo tempo. Allora capitano, sei riuscito a strappare un accordo ai federali?» Loran estrasse una busta dalla giacca e l’appoggiò sul tavolo. John se ne appropriò, iniziando a leggerne il contenuto.

«Posso portarvi un caffè?» chiese la signora Brown entrando nella stanza. Mentre silenziosamente sorseggiavano il caffè, John continuava a leggere e a prendere appunti. Loran lo osservava incuriosito.

«Non è un investigatore…» disse rivolto a Harper.

«John frequenta la New York University School of Law, è all’ultimo anno.» Loran annuì.

«È il tuo ragazzo?» John alzò per un attimo gli occhi dai fogli, per rivolgergli uno sguardo ironico.

«Oddio, assolutamente no! Lui è il nipote di Ava, diciamo che mi dà una mano per “certe cose”.» Loran sorrise alla volta di John, che era ritornato ad immergersi nella lettura.

«Allora Harper Lee, anni 40, mai laureata perché fuggita alla cattura, per ben sette volte! Perché proprio ora vuoi uscire dalla clandestinità?» Harper lo guardò, il suo viso era segnato dalla vita che aveva dovuto condurre, ma i suoi occhi erano lucenti.

«Alla mia età, diventa sempre più difficile restare nell’ombra. Voglio una casa, voglio poter tornare in un posto che possa chiamare mio. Voglio mettere a frutto la mia esperienza in qualche modo, e lavorare alla luce del sole. La galera non è contemplata. E neppure rimanere legata al governo e farmi usare per i loro sporchi giochi di potere. E qui entri in gioco tu.» John appoggiò il documento sul tavolo.

«Allora pulce, cosa ne pensi?» John le sorrise.

«L’unica cosa a cui è legata la tua immunità, in questo accordo, sono le informazioni che riuscirai a fornire per risolvere questo caso. Ma…dovrai continuare a collaborare se ce ne fosse bisogno, altrimenti l’accordo salterebbe.» Harper si portò le mani al viso. Lo aveva immaginato, ma sperava di poterne rimanere fuori.

«John, vai a prendere il fascicolo.» John si alzò camminando lentamente, mentre andava nella stanza a fianco. Loran si morse il labbro inferiore, quel culetto doveva essere deliziosamente morbido.

«È single, ha ventiquattro anni ed è tremendo. Non te lo consiglio.» esattamente la preda che adorava lui, giovane e indomabile. Peccato che appena domati diventassero insopportabili. Tornò con un fascicolo in mano, che mise direttamente nelle mani di Loran. All’interno c’era l’inferno in terra. Harper non scherzava quando aveva detto di avere trovato tutte le prove. Aveva filmati e foto, che ritraevano ragazzini, e persino bambini abusati. Aveva codici e siti da cui si poteva entrare in aste, il deep web per lei non aveva davvero segreti. Aveva le prove di tutta l’architettura che Svetlana aveva messo in piedi nel suo paese di origine e che, a quanto sembrava, stava organizzando anche qui.

«Sai dove tiene i bambini?» Harper chiuse gli occhi e respirò profondamente.

«Sono riuscita a mappare completamente i suoi traffici in Russia, ma qui, per ora, ho trovato solo i codici di accesso al catalogo. Sono sulle tracce delle aste, ma mi sono fermata, in attesa di avere in mano il tuo accordo.» doveva subito fare una riunione con Jake e Mark.

«Firmiamo l’accordo, da domani sarai libera di fare ciò che vuoi. Ma ti consiglio, fino a che il caso non sarà chiuso, di restare nascosta. Non credo ci vorrà ancora molto. Useremo John per tenerci in contatto.» non vedeva l’ora di usare John, in ogni modo possibile.

«Concordo, non cambierà nulla ricominciare a vivere tra qualche mese.» Harper iniziò a firmare i fogli dell’accordo poi li passò a Loran, che fece altrettanto.

«Continua ad indagare, dobbiamo scoprire dove tengono i bambini per poter agire.» Harper annuì.

«Questo è il mio biglietto da visita e dietro c’è il numero del mio cellulare privato. Appena avete qualcosa mettetevi in contatto solo con me. Il prima possibile farò vedere a Mark e Jake il fascicolo e, inevitabilmente dovrò dire loro chi sei. Con tutta probabilità organizzerò a breve un incontro.» si alzò.

«Ti accompagno alla porta.» disse prontamente John, quel ragazzo era di una sfacciataggine unica, gli faceva montare la voglia di togliergli da quella bocca carnosa quel sorrisetto sarcastico.

«Questo è il mio numero, chiamami quando vuoi.» Loran si guardò intorno, non c’era nessuno nelle vicinanze. Lo costrinse addosso al muro.

«Quindi, se ti chiamassi stasera…?» John, dopo un primo attimo di sorpresa, si riprese ritrovando la sua spavalderia.

«Non avrò delle novità stasera, perché dovresti chiamarmi capitano? Vuoi farmi vedere la tua pistola?» Loran si avvicinò al suo viso come per baciarlo, tanto che, John gli porse le labbra chiudendo gli occhi. Ma il bacio non arrivò.

«Io decido come e quando, non mi piacciono quelli che si offrono così apertamente. Mi tolgono il piacere della caccia.» gli piazzò una lunga lappata sul collo, facendolo rabbrividire. Si staccò da lui, mettendo la mano sul pomello della porta.

«Ti saluto John.» scendere le scale di fronte a casa fu un po' doloroso, il cazzo duro gli premeva sui jeans stretti, per la prima volta non aveva pensato a Jake.

 

Nox venne microfonato, la stanza era piena di telecamere, ma ugualmente, dentro il furgone, la tensione era a livelli altissimi. Il timore di dover intervenire, per salvare il ragazzo dalle sue grinfie, era alle stelle. Questo avrebbe mandato a puttane mesi e mesi di duro lavoro, oltre a vanificare tutti i loro sforzi per fermare quell’abominio. Loran gli aveva parlato molto chiaramente, una mossa falsa e lo avrebbe fatto incarcerare dentro una delle sezioni peggiori. Nox sembrava sotto controllo ma, con quel tipo di elementi deviati, non c’era da fidarsi. Lo videro entrare nella stanza, il ragazzino era seduto sul letto, nei suoi occhi non c’era terrore, solo tristezza.

«Alzati.» il ragazzino si alzò e Nox si avvicinò.

«Quanti anni hai?» Nox si scostò leggermente, rimanendogli di fronte.

«Ho quindici anni, quasi sedici.» Nox gli si avvicinò di nuovo. Gli prese il mento tra le mani, girandolo prima da un lato poi dall’altro.

«Hai la barba…» il ragazzino non disse nulla, più che una vera barba, era peluria.

«Mi dispiace, sei troppo sviluppato, non era ciò che avevo chiesto.» detto questo, uscì dalla porta e se ne andò. Un taxi si fermò ad un suo cenno, scaricandolo un paio di isolati più avanti, dove, pochi minuti dopo, il furgone lo raccolse.

«Bravo Nox. Continua così e potrai passare il resto della tua vacanza a casa.» era visibilmente eccitato, Jake venne preso dalla nausea.

«Ok, Jake, puoi chiamare Mark e dirgli di contattare Svetlana prima di sera?» voleva essere con lui quando la contattava.

«Lasciami qui, prendo la metro.» doveva dirgli di Akashi, ma non poteva farlo in presenza di altri.

«Stasera vi chiamo, devo a mettervi a conoscenza di una cosa.» Jake si chiese perché stesse usando il plurale. Ma non c’era più tempo per chiedere nulla, la porta del furgone si era aperta e lui doveva scendere.

Arrivò a casa, Mark lo aspettava ansioso, voleva sapere com’era andata. Suonò alla sua porta poco dopo il suo rientro.

«Hey, è andato tutto liscio?» gli chiese dandogli un bacio a stampo sulla bocca.

«Senza nessun intoppo. Ora tocca a te, devi chiamare Svetlana e dirgli che, il ragazzo che ti ha mandato non incontrava i gusti del tuo cliente.» Mark annuì, mentre si dirigeva in cucina.

«Ora?» Jake annuì.

«Prima lo facciamo e meglio è. Anche perché Loran ha bisogno di dirci qualcosa, telefonerà più tardi. Mi piacerebbe potergli confermare che tutto sta procedendo secondo i piani.» Mark si sedette, cercò sulla rubrica del telefono il numero di Svetlana.

«Da!» Mark porse uno dei suoi auricolari a Jake.

«Scusa se ti disturbo.» dall’altra parte si udiva una musica rilassante.

«Niente disturbo, in questo momento è molto rilassata, sono in mia spaa. Dimme signor Cook.» Mark quasi si mise a ridere, gli sembrava di trovarsi in un poliziesco degli anni quaranta.

«Abbiamo un problema, il ragazzo che hai mandato non andava bene, il signor Nox non l’ha neppure sfiorato, se n’è andato e mi ha chiamato. Era parecchio scontento.» Mark attese per parecchi secondi, ma sentiva solo la rilassante musica olistica provenire dall’altra parte.

«I cosa posso fare io se lui ha gusti così difficile! Cosa crede che io ha, supermarket di fanciullo?» se la faccenda non fosse stata così dannatamente seria, sarebbero scoppiati a ridere entrambi.

«Mi ha detto che è disposto a spendere qualsiasi cifra, per avere quello che ha chiesto.» Mark stava parlando in modo spontaneo e rilassato, come se avesse sempre dovuto fare quel genere di cose.

«Lui chiesto ragazzino di meno di diciotto e io mandato! Io no può fare altro per lui.» questa chiusura da parte della donna non se l’aspettava. Era come se fosse improvvisamente diventata guardinga nei suoi confronti.

«D’accordo, mi rivolgerò alla concorrenza. Mi hanno parlato di un sito internet, preferivo rivolgermi a te, mi sentivo più al sicuro, ma evidentemente mi avevano informato male. Grazie lo stesso Svetlana.» Mark sapeva di stare azzardando, ma era l’unica cosa che gli era venuta in mente per sbloccare quella situazione.

«Tu uomo senza pazienza. Dimmi nome di sitio.» Mark fu percorso da un brivido, a questo non aveva pensato. Gli venne in soccorso Jake, che, alzando il dito indice, gli fece capire che aveva bisogno di un attimo.

«Un attimo, vado a prendere l’agenda e ti dico il nome, così a memoria non lo ricordo.» appoggiò il telefono sul tavolo e attese con ansia che Jake ritornasse.

 

Jake era corso in bagno, chiudendosi all’interno. Aveva velocemente scorso la rubrica, trovando il numero di telefono della sua collega dell’anticrimine.

«Jake! Come stai è un sacco…» non aveva certo tempo per i convenevoli.

«Francine, scusami se ti interrompo, ma è una questione urgentissima. Ho bisogno del nome di uno di quei siti per pedofili dove fanno le aste, anche uno chiuso, non importa!» Francine, aveva già iniziato a digitare sulla tastiera, ancora prima che Jake smettesse di parlare.

«Sei mesi fa ne abbiamo bloccato uno, si chiamava “Pik it up”. Ti mando le coordinate. Chiamami appena hai un attimo.» Jake collegò senza neppure salutarla, si ripromise di scusarsi con lei appena avesse potuto. Corse in cucina, mettendo davanti agli occhi del suo amante il telefono con il nome e le coordinate.

«Eccomi Svetlana, scusa l’attesa. Il sito si chiama “Pik it up” e le coo…» Svetlana scoppiò in una sonora risata.

«No so chi ti ha dato te questo sitio, ma no consiglia di usare, polizia ha chiuso sei mesi indietro.» Mark imprecò.

«Cook, non disperare, io aiuta. Domani io manda codice e instruzione. Si tu dice a qualcuno quello che io ti da, io strappa tue palle e fa mangiare te.» c’era riuscito, finalmente avrebbero avuto l’accesso direttamente dalle sue sporche mani.

«Svetlana mi hai salvato, figurati se lo direi a qualcuno!» chiuse la chiamata e abbracciò Jake.

«Manca poco, non vedo l’ora che tutto questo finisca.» si baciarono perdendosi l’uno negli occhi dell’altro. Ma sul più bello il telefono di Jake squillò. Jake guardò lo schermo girandolo verso Mark, era Loran.

«Loran.» rispose Jake, mentre Mark si stava dedicando al suo collo.

«In viva voce, immagino che Mark sia lì con te.» Jake scostò Mark.

«Sì, un attimo.» mise l’apparecchio in viva voce.

«Puoi parlare.» Loran prese un lungo respiro.

«Nei giorni scorsi mi sono accorto di essere seguito, ma ho scoperto che non si trattava di nessuno che io conoscessi. La persona che mi aveva fatto seguire, Mark, tu la conosci con il nome di Akashi. L’ho incontrata e abbiamo raggiunto un accordo, mi ha dato una serie di tracce e prove, con cui possiamo inchiodare, non solo il traffico americano, ma anche quello russo. Il suo vero nome è…Harper Lee.» se avessero visto la faccia di Loran, nel momento in cui, mentre diceva il vero nome di Akashi, sentiva le loro voci fargli da coro, avrebbero riso fino alle lacrime.

«Ma come…» Mark fece cenno a Jake di spiegare.

«Non mi fidavo e ho indagato. Ma tu hai fatto molto di più, mi sembra!» Loran sapeva che Jake non stava mai fermo, non avrebbe dovuto stupirsi.

«Incontriamoci domani sera all’appartamento. Venite separati, a questo punto dobbiamo rischiare il meno possibile.»

 

Svetlana fu di parola, il giorno dopo, inviò un messaggio a Mark con le coordinate e le password per entrare nel sito nascosto. Verso sera entrambi si diressero all’appartamento, Jake con l’auto e Mark con la metropolitana. L’ultimo ad arrivare fu Mark, suonare quel campanello al 200 Brooklyn Ave, lo mise di malumore, non aveva nessun bel ricordo di quel posto. Gli venne ad aprire Jake, che lo accolse baciandolo profondamente.

«Ci sono stanze libere qui?» gli chiese Mark a fior di labbra, strusciando il naso sul suo.

«#Markbollorecook, calma i tuoi ormoni e seguimi, siamo in parecchi di là.» Mark si tolse il cappotto e gli diede una sonora sculacciata.

«Così impari a provocarmi #Jakeculosfacciato.» Mark entrò nella stanza, sul divano vide una donna e un ragazzo di colore, pochi istanti dopo, Loran spuntò dalla cucina con una caraffa di caffè appena fatto.

«Hai già fatto le presentazioni?» chiese rivolto a Jake.

«No, a te l’onore.» Loran appoggiò il vassoio sul tavolo.

«Mark, ho il piacere di presentarti Harper Lee, alias Akashi.» Mark scosse il capo, mentre Harper gli porgeva la mano.

«Dopo tanto tempo, non posso accontentarmi di una semplice stretta di mano, alzati.» Harper gli sorrise e si alzò. Fu un abbraccio pieno di cose non dette e di ricordi condivisi.

«Lui è John, il mio “braccio legale”.» Mark gli strinse la mano.

«Ho preparato un dossier nuovo, con tutte le belle cose che ci ha fatto scoprire Harper, vi invito a leggerlo sorseggiando il caffè. La serata sarà lunga, temo.» Loran si sedette, Mark notò che quel bellissimo ragazzo di colore non gli staccava gli occhi da dosso, anche se cercava di farlo in maniera discreta. Si scambiò un cenno d’intesa con Jake, che gli sorrise. Chissà perché Loran non sembrava per nulla interessato. Finirono di leggere il dossier un’oretta dopo, commentando alcuni passaggi.

«Hai idea di come procedere Loran?» gli chiese Jake.

«Visto che, Svetlana ci ha fornito in prima persona la chiave per entrare nel sito, direi intanto di aprire il vaso di Pandora tutti insieme qui e ora. Prenoteremo un ragazzino per Nox. Intanto Harper e John stanno indagando per scoprire dove li tengono e come si muovono. Potremo agire solo quando anche quest’ultimo tassello sarà andato al suo posto. Crediamo che, anche nel suo paese, abbia seguito lo stesso schema, i colleghi dell’Interpol ne sono convinti, siamo in stretto contatto con loro. Se abbiamo ragione, riusciremo a bloccare il tutto simultaneamente.» Harper si era seduta per terra, sistemando il computer, e altri aggeggi infernali, sul tavolino basso. Jake la stava aiutando a sistemarli, solo in quel momento, in cui era impegnato, Mark si accorse che Loran lo stava divorando con gli occhi, ne fu più che compiaciuto, così finalmente avrebbe lasciato in pace il suo Jake.

«Siamo pronti, credo che questa sarà roba per stomaci forti.» il catalogo era da brivido, ragazzi e persino bambini, mostrati come carne da macello. Nella stanza era calato un silenzio irreale.

«Qui c’è una specie di regolamento…» fece notare John. Harper aprì il documento, stava registrando tutto, le prove fioccavano come se fosse una nevicata natalizia.

«Qui… in questo punto!» Loran si andò a posizionare tra lui e Harper.

«Un asta?!» John si girò verso di lui, trovandosi a pochi centimetri dalla sua faccia. L’elettricità che ne scaturì, fu tale da far rizzare al ragazzo i peli delle braccia.

«Non capisci? Se riusciamo ad entrare in una delle aste…» Jake non lo fece finire, terminando la frase per lui.

«…possiamo individuare il luogo dove li tengono!!» John sorrise a Jake.

«Guardate come si fa a partecipare e quando faranno la prossima, li abbiamo in pugno!» continuarono a lavorare alacremente, prenotarono un ragazzino, che avrà avuto non più di quattordici anni, per il giorno dopo. L’appuntamento era nel solito hotel. Nox avrebbe dovuto rimandare al mittente anche quello, comunque.

«L’asta è fissata giovedì prossimo, per partecipare bisogna versare tre bitcoin, entro domani mattina alle nove…» Loran si portò una mano alla bocca.

«Cazzo! Non ho una cifra del genere a disposizione…oltretutto in bitcoin…» Loran iniziò a camminare avanti e indietro come un leone in gabbia.

«Loran quanto riesci a racimolare entro domani?» gli chiese Mark. Il capitano fece un rapido calcolo mentale.

«Non più di diecimila dollari…» Mark annuì.

«Io posso metterne altri diecimila, gli altri…» Harper e Jake si guardarono, capendosi al volo.

«Io arrivo a cinquemila.» disse Jake.

«Allora li abbiamo, gli altri cinquemila li metto io.» si aggiunse Harper.

«Io compro i bitcoin, ho un amico che me li può convertire in modo sicuro e immediato. Visto che soldi non ne ho, almeno mi rendo utile.» disse John.

«Fatemi un bonifico, così domani mattina John mi può dare le coordinate per comprarli, e Harper può fare il deposito in tempo.» raccolti i soldi ormai la mezzanotte era passata da un pezzo.

«Per ora abbiamo finito, con te Jake ci vediamo domani sera per seguire Nox. Con te Mark ci sentiamo domani mattina, così mi dici se l’operazione sta andando bene. Tu Harper mandami un messaggio appena fatto il deposito.» si vestirono, avviandosi, stanchi, all’uscita. Mentre Loran li accompagnava alla porta, John si sentì stringere il polso trattenendolo.

«Trova una scusa e torna qui, subito.» John si sentì mancare l’aria. Per un masochista come lui, sentire quel tono perentorio, equivaleva a raggiungere il paradiso. Mark si avviò alla macchina, seguito da Jake, che riprese la metro. Harper e John uscirono per ultimi, fermarono un taxi.

«Merda! Ho dimenticato il portafogli da Loran.» Harper mangiò subito la foglia.

«Ok baby, attento a non scottarti, quello è uno tosto, anche per te.» John le fece una smorfia, e la salutò, ritornando sui suoi passi.

 

Mentre percorreva la strada a ritroso, il cuore gli batteva vigorosamente, dalla notte in cui l’aveva conosciuto, in quel parcheggio buio, non aveva fatto che pensare a farsi scopare da lui. Di solito non ci voleva così tanto a farli capitolare, John sapeva di essere un bel ragazzo, i suoi occhi grigi, inusuali, erano dono del nonno materno, la sua pelle era color del cioccolato al latte. Ci teneva al suo aspetto, il suo pizzetto lo confermava, era tanto perfetto da sembrare disegnato. Lo teneva “a filo” per far risaltare le sue splendide labbra carnose. Si sentiva sicuro di sé, di come lo vedevano gli altri, sia per il suo aspetto che per le sue capacità intellettive. Frequentava con profitto l’università, aveva conosciuto Harper in rete, quando aveva messo in vendita un programma, che si era dilettato a fare tutto da solo, per hobby, aveva attirato la sua attenzione e, alla fine, erano diventati amici. Tanto che Harper aveva deciso di fidarsi di lui, e lui l’aveva aiutata in tutti i modi, era come se l’avesse adottata, anche se era decisamente più grande di lui, aveva colto quanta solitudine ci fosse dentro quella donna, apparentemente così forte e risoluta. La stessa solitudine, che aveva provato quando aveva deciso di non nascondere più la sua omosessualità, era stato isolato da tutti al liceo, poi lentamente le cose erano cambiate, ma non aveva dimenticato quella sensazione di devastante vuoto. Forse era quello il motivo che lo spingeva a cercare sempre uomini più grandi, il suo costante bisogno di sicurezza. Ma l’uomo dal quale stava tornando non era uguale a quelli a cui era abituato, quello poteva dominarlo con un solo sguardo, si accorse di tremare mentre premeva di nuovo il campanello. Il portone si aprì e, entrato nell’ingresso principale, si rese conto che la porta dell’appartamento era socchiusa. La luce soffusa, ben diversa da quella che inondava l’appartamento quando l’aveva lasciato, faceva intravedere la figura di Loran seduto sul divano.

«Regola numero uno. Non innamorarti di me, io non voglio impegni fissi. Regola numero due. Mi piace il sesso, non ho nessun limite nel praticare qualsiasi tipo di gioco, ma comando io, sempre. Regola numero tre. Portati sempre i preservativi, perché senza non ti scopo. Se ti vanno bene le mie regole, vieni avanti e succhiami l’uccello.» per la prima volta nella sua vita, John rimase un attimo senza parole e, per chi lo conosceva bene, questo era un evento universale. Per un secondo pensò anche di dirgli “grazie, non è quello che cerco”, ma fece l’errore di avvicinarsi. Loran era completamente nudo sul divano, si stava masturbando lentamente con le gambe spalancate. Si spogliò senza aggiungere una sola parola, ritrovandosi di fronte a lui completamente nudo. Loran si beò di quella visione, quel corpo perfetto, corredato di un carattere sfrontato, gli aveva fatto venire voglia di piegarlo.

«Vedo che sei piuttosto eccitato.» gli disse, sfiorandogli la punta del pene con un piede.

«In ginocchio, fammi vedere cosa sai fare con quelle belle labbra.» John si stava arrabbiando con sé stesso, dov’erano finite le sue risposte sagaci? Dov’era finita la sua proverbiale ironia? S’inginocchiò e prese tra le sue mani il grosso membro pulsante di Loran. Lo succhiò con tutta la passione di cui era capace, ma Loran non emetteva un suono. Tanto che dopo un po’ allentò il ritmo.

«Tutto…» Loran si spinse dentro la sua bocca fino in fondo, lo vide lottare contro lo spasmo esofageo che gli stava provocando, ma notò anche quanto il suo membro stesse bagnandosi di umore pre coito. Soddisfatto, Loran lo scostò, abbassandosi su di lui, per catturare quella bocca che l’aveva così ben servito. Loran si alzò continuando a baciarlo. Poi gli sussurrò:

«Sul divano, voglio un primo piano del tuo culo.» sarebbe stato scomodo, non era un divano grandissimo quello, pensò John.

«Perché non andiamo in camera, invece?» Loran sorrise di sbieco.

«Regola numero due. Comando io, sempre.» e lo spinse sul divano, sollevandogli le anche per avere completo accesso al suo culo. John non vide da dove, ma nelle mani di Loran si materializzò un Plug e, prima che potesse dire qualcosa, quello stesso plug era dentro al suo culo, vibrando alla massima potenza, urlò come non aveva mai fatto.

«Ma che cazzo…ahhhhh oddioooo» Loran gli bloccò l’eiaculazione, stringendo il suo cazzo alla base, mentre contemporaneamente, estraeva il plug dal suo buchetto.

«Decido io anche questo baby.» mentre giocava con lui, si era già infilato il preservativo, appena vide che John aveva ripreso il controllo, gli separò le natiche e scivolò dentro di lui.

«Lo sapevo, hai un culo favoloso, senti come mi stringe!» gli disse, mentre lo scopava, alternando il ritmo per non farlo godere.

«Ohhh ti prego, Loran, ti prego!» Loran sorrise soddisfatto.

«Vuoi godere? Allora ti faccio godere.» John tentò di alzarsi, ma un piede di Loran gli schiacciò il viso sul cuscino, mentre con l’altro si era puntato per spingersi con forza dentro di lui.

«Godi per me, puttanella.» John venne copiosamente, sotto le spinte sempre più veloci di Loran, che fece altrettanto riempiendo il preservativo dentro di lui. Tolse il piede dalla sua faccia, accompagnando le sue ultime lente spinte, trattenendolo dal bacino. Erano anni che non si sentiva così preso da qualcuno, e quel ragazzo non lo aveva deluso affatto. Si sfilò da lui e gettò il preservativo nel cestino della spazzatura.

«La doccia è la seconda porta a destra. Se vuoi puoi dormire qui, ci sono due stanze. Non è il caso che te ne torni a casa, visto che domani dovremo lavorare a stretto contatto.» l’aveva voluto lui, John lo sapeva che era solo sesso, ma dopo quell’amplesso incredibile, si sarebbe almeno aspettato un bacio, fece buon viso a cattivo gioco, ma dovette ammettere con sé stesso, che avrebbe tanto voluto risvegliarsi con lui.



Copyright © 2020 Veronica Reburn

Tutti i diritti riservati



Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale

Nessun commento:

Posta un commento