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domenica 26 luglio 2020




Another Door 

Quarto capitolo 



Era sabato mattina, Mark, provato dagli ultimi eventi, non aveva la minima intenzione di svegliarsi presto, né di svegliare presto Ethan, vista l’ora in cui era rientrato. Perciò si crogiolò nel dormiveglia, fino a che, ormai del tutto sveglio, decise di guardare l’ora. Erano da poco passate le dieci, si alzò andando direttamente in doccia, dove si lasciò accarezzare dall’acqua bollente. Uscito dalla doccia si dedicò alla sua barba e si rivestì con la sua tuta preferita. Scalzo raggiunse la cucina, dove si attardò fino alle undici, preparando una sostanziosa colazione per due. Riempì le ciotole di cibo per Minù che, da quando si era alzato, non gli stava dando tregua e, appoggiata la colazione su un vassoio abbastanza capiente per contenerla, prese le chiavi e suonò il campanello di Ethan. Sentì in lontananza la sua voce che urlava “arrivo!”, così si mise ad aspettare che gli venisse aperta la porta. Ethan aprì la porta con addosso solo i pantaloni della tuta e una salvietta tra le mani, con la quale si stava frizionando i capelli gocciolanti.

«Ohh!» esclamò, guardando il grande vassoio, nel quale svettavano almeno trenta pancake affogati da abbondante sciroppo d’acero.

«Buongiorno! Pancake con sciroppo d’acero, spremuta di arance siciliane e caffè, mi merito di entrare o mi lasci qui con il vassoio in mano?» Ethan gli fece spazio indicandogli la cucina, se mai non si ricordasse dov’era, seguendolo dopo aver richiuso la porta alle sue spalle.

«Dove trovo le forchette, tovagliette, bicchieri e quant’altro?» Ethan lo mise a sedere sfiorandogli la guancia con un bacio leggero.

«Hai fatto anche troppo, al resto ci penso io…» gli sussurrò nell’orecchio, facendolo rabbrividire di piacere. Apparecchiata la tavola, si misero a mangiare lentamente parlando del più e del meno.

«HAAA, sono davvero pieno! Potrei abituarmi velocemente a tutto questo.» Mark si alzò portandosi alle sue spalle, che nel frattempo erano state coperte da una felpa leggera.

«Io voglio che ti abitui a tutto questo, voglio che tu non possa più fare a meno dei miei pancake, e di me.» Ethan buttò la testa all’indietro regalandogli un sorriso dolcissimo, che metteva in risalto le sue fossette.

«Com’è possibile che basti un sorriso da parte tua per accendere in me le peggiori intenzioni?!» gli disse Mark, stringendo gli occhi per sottolineare quali fossero i pensieri che gli provocava.

«Vorresti per caso dirmi che non sei venuto qui con la sola intenzione di nutrirmi?» Mark si chinò catturandogli il labbro inferiore per succhiarlo.

«Mi hai stregato, anche se parto con le intenzioni più pure, appena ti vedo, non posso far altro che immaginare il tuo corpo nudo, e il tuo viso stravolto dal piacere che io riesco a darti.» il cuore di Ethan accelerò, provavano le stesse cose, anche se ormai lui era oltre il semplice desiderio, lui aveva capito di provare qualcosa di più profondo, anche se non poteva ancora permetterselo, non fino a quando avrebbe, finalmente, potuto svelare tutto di se.

«Hai da fare per questo fine settimana signor Cook?» Mark finse di pensarci su.

«Mmmmh, vediamo… ho un unico impegno, tu.» Ethan si alzò in piedi e, senza dire una sola parola, ammiccando verso Mark, si diresse in camera. Mark lo seguì. Ethan si tolse la felpa mentre camminava, lasciandola cadere a terra e, arrivato in camera, fece scendere i pantaloni della tuta, rimanendo nudo davanti a Mark, che si fermò all’entrata della stanza, appoggiato sullo stipite della porta.

«Non ti eri messo i boxer sotto.» Ethan lo guardò arrossendo.

«Qualcuno stava suonando insistentemente alla mia porta, non li trovavo e così mi sono infilato direttamente i pantaloni della tuta.» Mark sembrava non volersi muovere di un millimetro dalla porta, tanto che Ethan iniziava a sentirsi in imbarazzo.

«Per fortuna non me n’ero accorto, altrimenti non avresti fatto neppure colazione. Sai cosa vorrei?» se non fosse che era completamente nudo, avrebbe pensato che lo stesse spogliando con lo sguardo, ma più di così di sicuro non poteva.

«Cosa?» gli chiese Ethan, ormai visibilmente eccitato.

«Vorrei tornare a casa tutte le sere e trovarti nudo sul letto, oppure vestito solo con un grembiule da cucina, o sotto la doccia, comunque nudo e pronto per me. E sai perché?» Ethan si era pietrificato al centro della stanza, nudo e con un’erezione che ormai svettava oltre ogni immaginazione.

«Perché?» faticava persino a parlare, era privo di saliva.

«Perché per me sei bellissimo.» Mark si tolse la felpa avvicinandosi lentamente «Perché la tua pelle odora di buono e di sesso.» si fermò e si tolse i pantaloni e l’intimo.

«Perché ogni volta che ti penso, e ti assicuro che capita sempre più spesso, sento il calore delle tue labbra, il sapore della tua bocca.» gli disse, passando le dita sulle sue labbra, infilandole infine nella sua bocca, per poi toglierle e succhiarle a sua volta, facendo gemere il suo amante.

«Credo di avere perso la testa per te Ethan Johnson.» Ethan rimase a bocca aperta per qualche secondo, il cuore gli stava scoppiando nel petto.

«Era una dichiarazione, credo…» gli disse Mark notando la sua espressione. Ethan avrebbe voluto gridargli che non era il momento, che lui non poteva, che era tutto sbagliato, ma lo voleva, Dio solo sa quanto lo voleva, quindi fece l’unica cosa che poteva fare, per fargli capire ciò che provava. Si lanciò su di lui catturando la sua bocca disperatamente, con una foga e una passione che non aveva mai sentito.

«Dovrò cambiare il tuo nome sul cellulare…» Ethan lo aveva fatto cadere sul letto e gli si era spalmato sopra, la sua bocca lo stava già esplorando ovunque.

«E come pensi di rinominarmi?» gli chiese Mark, mentre Ethan si stava dedicando con passione ai suoi capezzoli.

«Ancora non lo so, ma se continui così credo che lo farò…» non gli diede tempo di fargli altre domande perché, arrivato su suo inguine prese in mano la sua asta turgida e, dopo un rapido movimento con la mano la inglobò interamente in bocca, strappando a Mark un suono gutturale. Lo succhiò prendendolo in bocca profondamente, per poi fermarsi per leccarlo guardandolo negli occhi. Mentre lo guardava si inumidì le dita con la sua stessa saliva. Sapeva che Mark lo stava osservando, riprese a succhiare la sua erezione durissima, mentre portava le dita nella sua apertura, preparandosi per lui.

«Vuoi farmi impazzire Ethan? Perché ci stai riuscendo!» gli disse, alzandosi sugli avambracci per godersi lo spettacolo.

«Non ti muovere!» gli disse Ethan perentorio, mentre si spostava verso il comodino per prendere i preservativi. Velocemente ne scartò uno, che sistemò sul suo uccello con la bocca, mettendosi poi a cavalcioni su di lui.

«Oggi comando io…» lentamente si impalò, si sentì riempire fino in fondo, era durissimo. Mark lo guardava con un misto di adorazione e di frustrazione. Lo accarezzava sulle cosce, sul torace, gli pizzicava i capezzoli, per poi tornare ad accarezzarlo, mentre si sentiva stringere a ondate dentro di lui. Ethan iniziò a muoversi lentamente, ma durò poco. Le mani di Mark scesero sui suoi fianchi prendendone possesso e, con un deciso colpo di reni, lo penetrò fino in fondo trattenendolo, per poi dare il suo ritmo alla cavalcata, facendo urlare Ethan di piacere.

«O mio Dio Mark Mark! Ahhh» Ethan non si aspettava questo cambio di ritmo, Mark si era spinto profondamente dentro di lui, trovando quasi immediatamente il suo punto. S’inarcò spargendo il suo sperma caldo sul ventre del compagno, arrivando a sporcargli persino il viso. D’impulso si piegò in avanti e lo pulì con la lingua. Quel gesto fece perdere la ragione a Mark che, con un paio di stoccate dure e decise, riempì il preservativo urlando il suo nome. Ethan crollò su di lui che gli catturò le labbra, baciandolo come se volesse divorarlo.

«Non voglio uscire, voglio rimanere dentro di te, per sempre.» Ethan lo baciò dolcemente.

«Credo sia meglio di no, altrimenti faremo un disastro in questo letto.» malvolentieri Ethan si sollevò da lui, buttandosi supino al suo fianco. Fu un weekend di passione, non si lasciarono neppure un attimo, passando da un appartamento all’altro.



I soldi del suo ultimo incontro nel privè del club, sarebbero stati accreditati la settimana successiva, Loran non gli aveva fornito altri elementi su cui lavorare, perciò la sua mente non aveva divagato neppure un secondo, aveva potuto dedicarsi interamente al suo uomo, si sentiva leggero, pienamente consapevole delle meravigliose sensazioni che solo lui riusciva a dargli. Fu persino spiacevole doversi svegliare per ricominciare la vita di sempre, vederlo uscire dal suo letto gli diede una sensazione sgradevole, anche se sapeva che quella sera stessa si sarebbero visti, si sentì abbandonato dal suo bel contabile. Si costrinse a prepararsi per andare in ambulatorio, quando uscì dalla doccia controllò i messaggi, ce n’era uno appena ricevuto da Loran.

Loran – Jake, cambio di programma, devi raggiungermi all’appartamento, oggi alle dieci e mezza, ho già avvertito io Kayden che non andrai al lavoro.

Jake – Che succede?

Loran – Lo sviluppo di cui ti avevo accennato, sarebbe meglio che mi chiamassi.

Jake – Ok, ci sarò. – provò una sgradevole sensazione, che ricondusse al fatto di non voler rivedere il suo capo, dopo quello che era successo nell’ultimo incontro.



Mark fece un salto in ufficio per organizzare il lavoro per la giornata, avrebbe girato i suoi appuntamenti a Telma, l’avrebbe maledetto perché a sua volta, visto che non le aveva accennato nulla, avrebbe dovuto riempire di lavoro i suoi colleghi, addossando loro il proprio. Scese in strada e bloccò il primo taxi che passava, voleva cercare di lasciare meno tracce possibili, aveva con sé tutti i documenti richiesti. Alle dieci pigiò il campanello indicato. Entrò nell’appartamento, ad accoglierlo trovò un uomo; era vestito total black, jeans e maglietta a maniche corte e stivali, un paio di occhiali da lettura poggiati bassi sul naso. Il viso di quell’uomo era molto duro, se avesse dovuto definirlo in poche parole avrebbe detto “arma letale”, tanta era l’aura di autorevolezza che emanava.

«Capitano O'Reilly» gli disse tendendogli la mano.

«Signor Cook. Prego si accomodi.» gli fece spazio facendolo entrare. Era un appartamento che sembrava realmente abitato, pensò che di sicuro era stato arredato e pensato per dare quell’impressione.

«Posso offrirle qualcosa? Un te, un caffè?» Mark lo osservò meglio, ora che si era tolto gli occhiali, e poteva guardare meglio il suo viso, notò che aveva degli occhi di un azzurro devastante, la sua carnagione scura, segnata dalle prime rughe, e la barba di qualche giorno, gli davano un’aria vissuta. Non sapeva di stare subendo un altrettanto minuzioso esame da parte del capitano. La differenza era che il capitano era avvantaggiato, sapeva che quello che aveva di fronte a lui, oltre ad essere l’aggancio che gli avrebbe quasi sicuramente fatto risolvere il caso, era anche l’ostacolo che non lo faceva più avvicinare a quello che era stato il suo amante per anni. Capiva di avere di fronte un rivale di valore, non potevano essere più diversi loro due, la cosa che li univa era sicuramente il carattere forte, lo percepiva che quello che aveva di fronte era un uomo sicuro di sé. Non gli era parsa vera la telefonata che aveva ricevuto qualche giorno prima dal generale Holden, amico di vecchia data del capo ed ex suocero di Cook. Gliel’avevano servita su un piatto d’argento quell’opportunità! Ora avrebbe tirato i fili che fino a pochi giorni prima gli era impossibile tirare. Tra meno di mezz’ora avrebbe smascherato Jake, e come colpo finale gli avrebbe fatto sapere che, nella sua copertura era compreso il fatto di diventare un escort. Jake sarebbe ritornato nel suo letto entro poche settimane e, questa volta non se lo sarebbe fatto scappare. Aveva capito troppo tardi quanto Jake fosse diventato importante nella sua vita, lo avrebbe riconquistato. Sapeva che le armi che stava usando non erano pulite, ma, come si dice, in guerra e in amore…

«Un bicchiere d’acqua andrà benissimo, grazie.» Loran andò in cucina ritornando con in mano un bicchiere d’acqua e un piattino con dei pezzi di limone. Dopo avere servito il suo ospite, si sedette nella poltrona di fronte.

«Mark, posso chiamarti per nome e darti del tu, ci dovremo interfacciare parecchio nelle prossime settimane e renderebbe più semplici le cose per entrambi.» Mark annuì.

«Hai portato i documenti che avevo chiesto?» Mark aprì lo zaino che aveva con sé, estraendo una grossa cartella piena di fogli.

«È tutto qui, se hai bisogno di qualche spiegazione non c’è problema.» Loran aprì la cartella e sfogliò minuziosamente il contenuto, leggendo ciò che riteneva più importante. Quando pensò di avere più chiara la situazione, la richiuse trattenendosi dal parlare ancora per qualche minuto, per raccogliere i pensieri. Mark attendeva il suo responso.

«Mark, penso che abbiamo l’occasione di danneggiare, se non di annientare, due grandi organizzazioni mafiose. Ma abbiamo bisogno anche del vostro aiuto. Ora… non posso certamente obbligarti a collaborare fattivamente, visto che sei un civile, ma ti chiedo di pensarci e farmi sapere qualcosa velocemente. Ho un piano in testa, ma se non sarai della partita, non sarà possibile metterlo in pratica e dovrò cambiare completamente direzione.» gli occhi cerulei di Loran lo stavano scandagliando, ma quel gioco lo conosceva bene anche Mark, non gli avrebbe fatto capire nulla, fino a che non avesse avuto chiaro cosa volesse fare.

«Se vuoi che io possa decidere cosa fare, dovrai essere un po’ più specifico su quale ruolo dovrei ricoprire.» Loran osservò l’orologio attaccato alla parete, a minuti sarebbe arrivato Jake, solo allora avrebbe scoperto le sue carte.

«Tra poco potrò esserlo, sono in attesa che arrivi l’agente che ho infiltrato da alcuni mesi nell’organizzazione. J.J. è uno dei miei migliori elementi, ma purtroppo, malgrado si sia prestato anche a diventare uno degli escort di Vinnie Rivera, ancora non siamo arrivati a nulla. Sappiamo tutto, ma non riusciamo a trovare uno straccio di prova.» il campanello suonò per tre volte consecutive, era il “loro” segnale, Jake era finalmente arrivato.

«Mi perdoni, vado ad aprire a Jake.» Loran era combattuto, da un lato gli dispiaceva di fare soffrire di nuovo il suo Jake, ma non aveva alternative, se lo rivoleva doveva crearsi un varco, in quella che stava diventando per lui una storia importante.

«Capitano…» Jake entrò dalla porta appoggiando la giacca all’entrata.

«Jake, non ho avuto alternativa...» Mark aveva riconosciuto la voce di Ethan, appena era entrato dalla porta salutando Loran, le sue gambe erano scattate senza che se ne rendesse conto, catapultandolo verso l’ingresso. Jake alzò gli occhi, trovandosi davanti Mark con la faccia sconvolta. Gli mancò la terra sotto i piedi.

«Ethan?! O dovrei chiamarti… mi scusi capitano come l’ha chiamato?» Ethan era pietrificato, non riusciva a muovere un passo, li ascoltava senza realmente capire cosa stessero dicendo.

«Signor Cook, le presento l’agente speciale Jake Johnson. Vi lascio un attimo da soli, devo occuparmi di alcune cose, ci vediamo tra poco in sala.» Jake sentiva il peso della colpa schiacciarlo, come se un’intera montagna gli fosse franata addosso. Doveva cercare di reagire, di spiegargli altrimenti, ne era certo, l’avrebbe perso, per sempre. Faticosamente portò un piede avanti all’altro, fino ad arrivare a un passo da Mark.

«Mark, io… mi dispiace, davvero. Cerca di capire, essere sotto copertura è difficile e molte vite dipendono dal mio silenzio, non potevo dirtelo, davvero.» non aveva mai visto quello sguardo tagliente negli occhi del suo amante, neppure quando l’aveva fatto arrabbiare.

«Sapevi che mi avresti visto oggi? Vediamo, l’hai saputo prima o dopo che ti dicessi quanto eri bello? Lo sapevi già quando ti ho detto che non riuscivo più a fare a meno di te? Dimmi in quale fottuto maledetto momento sapevi e non mi hai preparato?» ogni parola arrivava a Jake come una pugnalata.

«Ti giuro che non lo sapevo, magari l’avessi saputo, te l’avrei detto subito!» gli disse, cercando di avvicinarsi, provocando uno scatto all’indietro nell’altro. Ora era disgusto quello che leggeva sul viso di Mark.

«Escort… chissà quanto sarai richiesto vero? E dimmi, quanto vuoi per un servizio completo?» Loran, che fino a quel momento era rimasto distante, ma guardingo rispetto a quello che sarebbe potuto succedere, a quel punto decise che era necessario il suo intervento.

«Se non vi dispiace io tra un paio d’ore dovrei andare alla centrale, per raccogliere una deposizione importante, perciò, se voleste seguirmi in salotto…» Gli aveva appena dato della puttana… pensava che fosse una puttana!!! Jake ebbe la certezza di sentire il rumore del suo cuore mentre veniva ridotto a pezzi piccolissimi. Fu grato di potersi mettere a sedere, la testa gli girava vorticosamente, se fosse rimasto in piedi, sicuramente sarebbe stramazzato al suolo di lì a poco.

«Ora vi esporrò il mio piano. Vi prego di mantenere l’attenzione e di riservare eventuali domande a dopo. Mark, accetterai di occuparti della società in questione, ma solo a patto di poter incontrare tutti i soci. Quando incontrerai Svetlana Popov dovrai dare il meglio di te, dovrai farle capire che, dalle tue fonti, tu sai che la torta è molto più grande di quanto vogliono farla apparire, e che se vogliono che vi occupiate di rendere la loro facciata pulita, la tua fetta dovrà essere molto, molto più grande. Dobbiamo arrivare al cuore di questa organizzazione. La seconda richiesta che dovrai fare è per questo cliente speciale. Il Signor Nox. Nox è un pedofilo che si è dichiarato disponibile ad aiutarci, se la sua pena potrà essere commutata in arresto domiciliare. Dovrai chiedere per questo tuo “cliente”, che risulterà tale dal tuo schedario, posso provvedere nel giro di un paio d’ore a farlo, un ragazzo di meno di diciotto anni. Il ragazzo che gli manderanno non gli piacerà, allora dovrai chiederle di farti avere accesso al catalogo. Nel frattempo Jake, venerdì prossimo avrà un incontro importante, con uno dei clienti di riguardo, stiamo aspettando che Vinnie ci mandi la scheda, ma se non ci sbagliamo, questo incontro, insieme a quello che farai tu, ci porterà a una spanna dalla risoluzione del caso. Sono stato chiaro?» Mark, aveva capito tutto, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che, il venerdì successivo, qualcuno avrebbe messo le mani addosso a Ethan, la sua mente ancora rifiutava di effettuare quel cambio di nome, anzi odiava quel nome, che gli aveva sbattuto davanti agli occhi una realtà agghiacciante, era stato usato.

«Mark… vuoi pensarci un attimo?» Mark cercò di svuotare la sua mente, doveva capire se questa opportunità avrebbe potuto essere la via di uscita per la loro società.

«Non ho bisogno di pensarci, Loran. Accetto. Ma abbiamo delle condizioni.» Loran se l’aspettava, sapeva che non tutti gli affari della società per cui lavorava Mark, erano così puliti come volevano far credere.

«Ti ascolto.» Loran intanto non si perdeva un battito di ciglia di Jake, che, per ora, aveva occhi solo per Mark, il quale a sua volta, non lo degnava neppure di uno sguardo.

«Immunità totale, per la società in cui lavoro. Per cose successe e per il futuro.» Loran non aveva un mandato che gli permettesse di sbilanciarsi così tanto, ma poteva trattare.

«Immunità totale, per tutto ciò che avete fatto fino ad oggi e per i prossimi cinque anni. Sempre che non siano cose che ledano le leggi federali.» Mark pensava che fosse un buon compromesso, doveva però parlarne con Art, prima di dare una risposta definitiva.

«Faccio una telefonata, scusatemi.» si alzò portandosi nella stanza attigua. Jake attese che si chiudesse la porta alle spalle, poi si rivolse a Loran.

«Brutto figlio di puttana! Sarebbe questo il tuo modo di chiedermi un'altra possibilità? Pensi che rompere con l’uomo di cui mi sono innamorato mi riporterà da te? E per fare cosa sentiamo? Per ricominciare a farmi scopare da te tra un’avventura e l’altra? Poteva funzionare se non avessi incontrato lui, ma ora che ho capito cosa significa avere un rapporto vero, non tornerei con te nemmeno se il tuo fosse l’unico uccello rimasto sulla faccia della terra. Che pezzo di merda!» aveva sputato tutto quello che aveva dentro, e ora la disperazione lo stava di nuovo assalendo. Si lasciò cadere sulla poltrona coprendosi il viso con le mani, se fosse stato solo avrebbe pianto.

«Ascoltami attentamente Jake, ti avevo espressamente chiesto di chiamarmi nel mio messaggio. Se tu l’avessi fatto ti avrei avvertito. Sai bene che queste cose non le posso scrivere. Inoltre l’ho saputo anche io quando ti ho inviato il messaggio. È stata una coincidenza, io non c’entro con tutto questo. Farò qualsiasi cosa per mettere a posto le cose tra di voi. Ti prego di credermi, non ho bisogno di certi mezzucci squallidi per farti cambiare idea.» a Jake sembrava quasi sincero, ma ora non era sufficientemente lucido per poter analizzare la situazione. Ora doveva recuperare il suo Mark. Come se si fosse sentito evocato, in quel momento Mark rientrò nella stanza, rimettendosi a sedere nel posto che occupava prima.

«Accettiamo. Aspettiamo la bozza dell’accordo.» gli porse un bigliettino da visita. «questa è la mia mail personale, potrai inviare lì i documenti dell’accordo. Non appena li avremo firmati, mi dirai dettagliatamente come procedere.» Loran mise il suo biglietto dentro il portafogli.

«Non sarà necessario inviare i documenti alla tua mail, ti farò avere la bozza dell’accordo tramite J.J., sarà più semplice e sicuro. Sarà sempre J.J. la persona a cui dovrai fare riferimento per l’organizzazione del resto dell’operazione.» Mark guardò Ethan/Jake per la prima volta, il viso di lui era una maschera di dolore e paura, ma Mark era troppo arrabbiato e deluso per farsi toccare da quello che vedeva, lo aveva ingannato fino a quel momento, si convinse che anche quella fosse una perfetta attuazione.

«Attenderò con ansia che bussi alla mia porta allora.» ancora un colpo al cuore, non poteva finire così, no! Avrebbe fatto qualsiasi cosa, lo avrebbe ascoltato.

«Bene signori. A questo punto vi lascio, anch’io ho degli appuntamenti nel pomeriggio a cui non posso proprio mancare. Oggi stesso telefonerò al signor Rivera per fissare un appuntamento, appena avrò risposta la riferirò al suo agente.» Mark si alzò e tese la mano a Loran. Senza degnare di uno sguardo Jake si avviò verso la porta e uscì.

«Vai a casa Jake. Vedrai che domani riuscirete a chiarirvi.» Jake fissò il suo capo, in cuor suo, aveva già capito che non aveva fatto altro che approfittare della succulenta opportunità che gli si era presentata, per poter spazzare via l’unica cosa bella che gli era capitata nella sua vita. Sicuramente l’aveva fatto credendo di provare per lui un sentimento, ma lui sapeva bene che di qualsiasi cosa si fosse trattato quello non era amore. L’amore era qualcosa di completamente diverso, ora lui lo sapeva.

«Loran, io ti voglio bene, davvero. Sei stato e sei importante per me. Mi hai sollevato, sostenuto e in parte hai fatto di me l’uomo che sono. Ma non ti ho mai amato. Ora lo so.» si alzò, sentiva le gambe pesanti, come il suo cuore. Loran fece per avvicinarsi, ma Jake alzò un braccio, mettendo di fronte a lui la mano aperta per fermarlo. Scosse il capo e uscì dalla porta dell’appartamento.

L’aria fredda gl’invase le narici, bruciando quando arrivò nei suoi polmoni. Il telefono emise un trillo che gli fece balzare il cuore nelle orecchie, guardò la notifica, era Vinnie.



Mark prese la metropolitana, seduto in uno scompartimento discretamente pieno, si perse ad osservare l’umanità che lo popolava. Di fronte a lui, una giovane donna afroamericana, con il suo bambino di poco più di tre anni, guardavano commentandolo un cartone animato sullo smartphone, il piccolo rideva e gesticolava, provocando nella giovane donna sorrisi aperti e sinceri. Un paio di sedute più avanti, un anziano signore stava leggendo un quotidiano, ignorando la coppia di ragazzine che, in piedi di fianco a lui, parlavano fitto fitto con le loro voci stridule adolescenziali. Una donna di mezz’età, osservava, come lui, quello che stava accadendole intorno. Jake gli aveva mentito. Chissà se gli aveva detto solo menzogne o, se qualcosa di ciò che gli aveva raccontato, era vero? Chiuse gli occhi, lasciando che il suo capo poggiasse sul finestrino dietro le sue spalle. Che stupido era stato, doveva già avere capito quando, quella notte, annusò l’odore della polvere da sparo nelle sue mani…le sue mani, delicate su di lui. Quelle stesse mani che chissà quante volte avevano sparato, ucciso, ferito o colpito. Quelle stesse mani che ogni venerdì toccavano un uomo diverso. Aveva una gran voglia di picchiare qualcuno.



Jake lesse il messaggio di Vinnie sospirando, l’uomo che aveva richiesto i suoi “servigi” era chi si aspettavano, Vincent Accardo, lo avevano intercettato nella lista dei clienti, che Jake era riuscito a scaricare entrando nel server. Vincent Accardo era uno dei tirapiedi di Rocco Gentile, avevano notato che spesso usufruiva del servizio di accompagnatori della società di Vinnie, era un uomo giovane, bello e con una facciata etero invidiabile. Aveva sposato una delle sorelle di Rocco, aveva due figli e questo “vizietto”. Vinnie si era raccomandato di essere “disponibile” e, questa volta, davvero non riusciva a trovare via di scampo. Fino a che punto sarebbe riuscito a spingersi per risolvere quel caso? Aveva una dannata voglia di dare le dimissioni e sparire. Tornò a casa tardi, sicuramente Mark era in casa, ma non aveva il coraggio di bussare, ancora meno di guardarlo negli occhi. Si rifugiò nel suo appartamento. Più e più volte controllò se Mark fosse on-line, e lo era sempre, ma non gli mandò nessun messaggio. Mercoledì Loran passò dall’ambulatorio per lasciargli l’accordo da far firmare a Mark, anche se voleva parlargli, Jake non gliene diede occasione. Era un fascio di nervi, non una parola da parte di Mark, niente. Quella sera doveva comunque incontrarlo per fargli firmare i documenti, per la prima volta nella sua vita capì cos’era la paura. Ritornò a casa presto, attendendo con ansia di sentire qualche movimento nell’appartamento a fianco. Quando lo sentì ritornare a casa, gli lasciò giusto il tempo per una doccia, poi, dopo essersi sistemato davanti allo specchio per l’ennesima volta, prese la busta con i documenti e suonò alla sua porta.

«Arrivo!» udì la sua voce in lontananza e sentì venir meno la forza nelle gambe. La porta si aprì ed entrambi si guardarono per un tempo infinito. Mark interruppe l’incanto.

«Agente Johnson.» Jake sollevò un sopracciglio.

«Mark, ho i documenti, dovremmo leggerli, così se dovesse esserci qualcosa da aggiustare, lo potremmo fare subito, e firmarli prima che tu abbia l’incontro con la signora Popov.» Mark non accennava per nulla a farlo entrare.

«Ti spiacerebbe lasciarli? Li leggo subito e se c’è qualcosa appongo le modifiche, poi passo io da te per firmarli, diciamo tra un’oretta al massimo.» Jake glieli porse.

«Ok, ti aspetto.» gli chiuse la porta in faccia. Jake attese ancora qualche istante, prima di ritornare sui suoi passi e ritirarsi nel suo appartamento. Cos’era appena successo? Se c’era una cosa che proprio lui non riusciva ad affrontare era l’indifferenza, e Mark non solo gliene aveva mostrato un esempio perfetto, ma era stato ancora peggio, era freddo, non sembrava neppure lo stesso uomo che aveva imparato a conoscere ed apprezzare. Attese con ansia crescente che venisse a riportargli i documenti, era una pentola a pressione, sarebbe bastato davvero poco per esplodere. Quando finalmente sentì bussare, dovette resistere per non mettersi a correre.

«Hai già fatto?» gli chiese, mentre con un gesto lo invitava ad entrare, precedendolo poi in cucina.

«Sì, Loran sa il fatto suo, non ho dovuto modificare nulla.» appoggiò i documenti sul tavolo della cucina, ed iniziò a firmarli su ogni foglio, porgendoli, appena finito, a Jake.

«Bene, visto che abbiamo finito…» Mark si alzò, gli diede le spalle e si avviò verso l’uscita.

«Abbiamo finito? Davvero è finito tutto?» Jake non poteva crederci, solo lui sapeva quanto gli stesse costando, ma avrebbe preferito di gran lunga che lo avesse picchiato, piuttosto che subire in quel modo la sua indifferenza. Mark si voltò e finalmente Jake rivide quella scintilla nei suoi occhi.

«Forse non è mai iniziata. Dimmelo tu Ethan/Jake agente speciale veterinario e accompagnatore di uomini soli.» Jake si costrinse a non abbassare lo sguardo e si avvicinò.

«Non potevo dirtelo. Sei sufficientemente intelligente per capirlo. La vita di…» Mark lo interruppe con un cenno della mano.

«Non ti ho chiesto spiegazioni, non servono Jake. Ho sudato per dare di nuovo fiducia a qualcuno, ho solo sbagliato nello scegliere quel qualcuno. Ci siamo divertiti, ma no grazie, non mi interessa proseguire.» Jake smise di respirare, era finita, Mark non l’avrebbe perdonato. Abbassò il capo, rialzandolo solo dopo che la porta venne richiusa, si toccò il viso bagnandosi le mani, stava piangendo.



Per Mark fu uno scherzo riuscire ad ottenere un colloquio con Svetlana Popov, senza insospettire minimamente l’altro socio, avendo preso in mano totalmente la contabilità della società, organizzò una riunione del consiglio di amministrazione, a cui i soci avrebbero dovuto necessariamente presenziare, sarebbe avvenuta il martedì successivo, nella sala riunioni della sua società. Quello che invece non gli stava riuscendo per niente bene, era non pensare a Jake/Ethan, appena restava senza nulla da fare, la sua mente tornava inesorabilmente a lui. Sbollita la rabbia, gli restava il dolore e la consapevolezza di avere lasciato qualcosa di sospeso. Oltre a questo, c’era la questione dell’incontro che avrebbe avuto quel venerdì, il giorno dopo qualcuno avrebbe violato quel corpo che ormai considerava come l’estensione del suo. No, doveva fare qualcosa. L’unico che avrebbe potuto aiutarlo era Akashi, non l’aveva mai contattato direttamente, ma sapeva come fare, gliel’aveva spiegato lui stesso, come gli aveva detto che non doveva farlo se non per emergenza e questa, era sicuramente un’emergenza. Si registrò velocemente come nuovo utente, nel sito di programmatori con il nickname che gli aveva indicato, ed entrò nella chat. La domanda che doveva porre era una richiesta di soluzione su un bug di un programma obsoleto, lui l’avrebbe letta, perché aveva caricato un trojan che reagiva a quella particolare parola, e lo avrebbe chiamato nel giro di pochi minuti. E così fu. Il telefono di Mark squillò.

«A che cosa devo il disturbo?» Mark doveva cercare di essere il più convincente possibile.

«Sono innamorato, ho bisogno di te.» dopo qualche istante di silenzio, sentì che Akashi si schiariva la voce.

«Ti ringrazio ma non sei il mio tipo…» Mark capì di non essersi decisamente espresso bene.

«L’agente che si occupa di questo caso, di lui sono innamorato. Venerdì avrà un incontro con una persona pericolosa, ho bisogno che mi aiuti.» Akashi chiuse la telefonata. Per Mark era la sola speranza di riuscire a fare qualcosa.



Venerdì arrivò anche troppo in fretta, Jake si preparò con cura, anche se i suoi occhi sembravano quelli di un pugile, qualche giorno dopo un incontro finito male. Dall’appartamento di Mark non si sentiva nessun rumore, questo era un bene, non avrebbe retto il suo sguardo, che gli ricordava quanto fosse schifoso il suo lavoro. L’incontro con Vincent Accardo era al Martinique, l’unica nota buona era quella, si sarebbe fatto scopare in un hotel di lusso, perché ormai l’aveva messo in conto, quello non era uno con cui potevi giocare al gatto con il topo. Si sentiva già sporco ancora prima di varcare la soglia di quell’hotel, gli dissero che Vincent lo aspettava al tavolo. Il Maître lo accompagnò, due tavoli più in là le sue guardie del corpo stavano già cenando. Appena lo vide arrivare Vincent si alzò in piedi, era una montagna di muscoli e lo sovrastava in altezza di almeno dieci centimetri, neppure nei suoi sogni avrebbe potuto avere ragione di lui in un corpo a corpo. Era il classico italiano, moro, occhi scuri, barba e sguardo duro. Gli tese la mano e come si aspettava gliela stritolò.

«Accomodati Amber, mamma mia! Che si deve fare per avere un appuntamento con te!?» cercò di sorridergli senza apparire falso o intimidito.

«Mi lusinghi Vincent. Questo posto è magnifico!» sorrise, cercando di essere convincente.

«È il mio preferito, pensa, ho una stanza sempre a mia disposizione qui.» a Jake si gelò il sangue nelle vene. Sorrise, ma era certo che il suo sguardo lo stesse tradendo, quel tipo gli faceva venire il voltastomaco.

«Allora, cosa vuoi mangiare? Non trattenerti prendi pure ciò che preferisci.» ordinò una bistecca e verdure alla griglia.

«Amber, sai che di persona sei davvero molto più bello? È da molto che lavori per Vinnie?» Jake si pulì la bocca, il gesto doveva avere acceso Vincent, perché lo guardò con una luce diversa negli occhi.

«No, è da poco, un paio di mesi, e tu usufruisci spesso dell’agenzia?» doveva entrare in azione, voleva almeno che, tutto quello schifo, potesse portargli finalmente dei risultati importanti.

«Praticamente da quando ha aperto. Diciamo che “i bei bocconcini passano sempre sotto Vincent”, come dice Vinnie.» Jake rise, avrebbero dovuto dargli l’oscar per quell’interpretazione. Si sporse sul tavolo.

«Così io sarei il prossimo bocconcino? Sai, mi avevano detto che ti piacevano più giovani, ma invece scopro piacevolmente che non è così.» Vincent, si avvicinò.

«Anche se potrei permettermi il servizio extra che offre Vinnie, io preferisco di gran lunga avere dei giovani uomini come te, anche perché, con quello che mi ritrovo in mezzo alle gambe, non sarebbe per nulla divertente.» un brivido di paura percorse la schiena di Jake.

«Allora non è una leggenda, Vinnie ha un servizio extra! Ho uno dei miei clienti che sarebbe interessato, dovrò parlarne con Vinnie.» gli disse passandogli il pollice sul contorno delle labbra.

«Certo, basta che glielo dici e lui, dopo aver controllato il tuo cliente, gli darà i codici di accesso.» la voce di Vincent si era abbassata di un tono.

«Mi sa che dovrò spiegargli io come si fa, lui non ci capisce nulla di tecnologia.» Vincent gli aveva bloccato il polso e gli stava succhiando il pollice.

«Ci riuscirebbe anche un bambino con i codici, è un sito criptato, si accede da un’icona nascosta del sito principale. Di al tuo amico di preparare un sacco di bitcoin, facciamo pagare cari certi servizi. Ora, che ne dici se il dolce lo andiamo a consumare in camera?» Jake aveva avuto le informazioni che voleva, ora gli toccava la parte più dura. Si alzò preceduto da Vincent. L’ascensore li portò alla stanza 214. Non fece neppure in tempo a chiudere la porta, che Vincent gli fu addosso. Più che un bacio quello gli sembrò uno scambio di saliva a buon mercato. Faticosamente si staccò.

«Piano cowboy, abbiamo tutto il tempo no? Mi fai fare una doccia?» Vincent si appoggiò su di lui, facendogli sentire quanto era duro e grosso.

«Potrai fare la doccia dopo che avrai fatto quello che ti dico io. Mi hanno detto che balli molto bene, voglio che ti spogli, completamente, e che balli per me, mentre io mi meno il cazzo.» chissà perché, ma Jake aveva l’impressione che non gli sarebbe bastato masturbarsi mentre lo guardava, ma poteva fare in modo che la cosa andasse per le lunghe. Mise della musica dance dalla sua playlist dello smartphone, e iniziò il suo show. Vincent si era sistemato sul letto, si era calato i pantaloni e aveva preso ad accarezzarsi il sesso già in tiro, non scherzava, quanto gli aveva detto prima era vero, in mezzo alle gambe aveva un bambino. Jake ascoltava i suoi mugugni e i suoi apprezzamenti, che aumentavano man mano che i suoi indumenti venivano tolti.

«Sei bellissimo, appoggiati alla sedia e fammi vedere bene cos’hai in mezzo alle chiappe.» Jake eseguì quanto gli aveva richiesto, temendo che quello fosse l’inizio della fine, quando sentì che Vincent si stava alzando dal letto.

«Voglio infilartelo fino in gola…» Jake prese un grande respiro e cercò di rilassare i muscoli al massimo, in quel momento l’allarme antincendio si mise a suonare, così come il telefono della stanza.

«Che cazzo succede?!» Vincent alzò la cornetta del telefono della stanza.

«Signore, c’è un principio d’incendio al vostro piano, siete pregati di uscire dalla stanza e scendere dalle scale, Vi preghiamo di non prendere l’ascensore. I vigili del fuoco stanno arrivando.» Vincent si rivestì in fretta e Jake lo imitò.

«Andiamo, cerchiamo un altro hotel.» lo trascinò per le scale, ma appena giunsero nella hall, lo lasciò improvvisamente andare, come se la sua mano scottasse.

«Vincent! Che sorpresa ritrovarti qui! Carmen dov’è?» una delle guardie del corpo di Vincent lo allontanò in fretta e furia mettendogli alcune banconote in mano, mentre Vincent abbracciava la donna che l’aveva riconosciuto.

«Per stasera è meglio che te ne torni da dove sei venuto.» a Jake non sembrò vero di essere riuscito a scamparla. S’incamminò nella fredda notte newyorkese, respirando a pieni polmoni. Una ragazza lo fermò a pochi metri dal hotel.

«Ciao, scusa, sei Ethan?» lui la guardò un po’ stranito.

«Ci conosciamo?» la ragazza gli sorrise.

«No, ma quel signore laggiù mi ha detto di darti questo biglietto.» Jake alzò lo sguardo nella direzione indicata dalla ragazza, ma non vide nessuno. Aprì il biglietto. “Se non è successo niente, è grazie a Mark.»



Akashi non l’aveva abbandonato ma, visto che la telefonata si era protratta per più di due minuti, voleva essere sicuro che non fosse rintracciabile, perciò aveva dovuto prendere tutte le precauzioni del caso. Lo richiamò dopo pochi minuti, facendosi spiegare per filo e per segno di cosa si trattava.

«Avevi qualcosa in mente Mark?» e Mark gli espose il suo piano.

«Per prima cosa ho bisogno di sapere chi l’ha prenotato. Non posso far sì che l’incontro non avvenga, ma posso interromperlo sul più bello. Ho bisogno di avere un complice alla reception dell’hotel, e quello posso ottenerlo elargendo una lauta mancia, per farmi dire quando andranno in camera. Quando saranno in camera entri in gioco tu, devi violare i loro sistemi di sicurezza e far scattare l’allarme antincendio al piano dove si trovano. Quando si troveranno nella hall dell’hotel dovrò trovare un diversivo per far mollare l’osso al cliente.» Mark sentiva che Akashi stava digitando febbrilmente sulla tastiera.

«L’ha prenotato un certo Vincent Accardo.» quel nome gli diceva qualcosa.

«Pensi di riuscire a fare quello che ti ho chiesto?» Akashi sorrise.

«Sì, e vista la motivazione, questa volta offre la casa.» Mark pensò che un giorno avrebbe voluto davvero conoscerlo.

«Allora appena mi avvertiranno ti chiamo ok?» “Vincent Accardo”, si stava spremendo le meningi, sapeva di averlo conosciuto… improvvisamente ricordò. Gli era stato presentato da un’amica comune a una delle sue feste, ricordava una donna al suo fianco. Sofia gli doveva un grosso favore, era venuto il momento di riscuotere. La chiamò.

«Sofia, sono Mark, ho bisogno di un grande favore.» Sofia era una donna di circa una sessantina d’anni, aveva una piccola azienda di prodotti per la bellezza che vendeva on-line, aveva fatto una piccola fortuna ma, qualche anno prima, per uno sbaglio del suo vecchio commercialista, quasi stava per chiudere. Grazie a lui, era riuscita a venirne fuori pulita, e ora la contabilità veniva seguita dallo studio di Mark.

«Dimmi solo cosa devo fare.» Mark le chiese di prenotare un tavolo per lei e il marito al Martinique, ma dovevano entrare solo quando gliel’avesse detto lui. Lì avrebbero incontrato Vincent Accardo e lei avrebbe dovuto semplicemente salutarlo e chiedergli come stesse la moglie.

«Tutto qui?» gli chiese lei stupita.

«Non chiedermi perché, ma per me significherebbe tanto.» chiuse la chiamata e si lasciò andare sulla sedia, pregava solo di non arrivare troppo tardi.



«Akashi, sono entrati nell’ascensore, fai presto.» Mark aveva appena ricevuto la chiamata dalla receptionist del Martinique, era una ragazza molto carina, l’aveva agganciata appena uscita dal lavoro, inizialmente doveva essergli sembrato un maniaco, ma poi aveva capito che la sua supplica era dettata dalla gelosia e si era quasi commossa, ancora di più quando cinquecento dollari erano finiti nelle sue mani per il disturbo che si sarebbe presa. Il tempo non passava mai, e Akashi non chiamava. Era rimasto in ufficio, non voleva vederlo uscire di casa pensando a ciò che sarebbe potuto succedere. Quando il telefono squillò, finalmente, e Akashi gli confermò che Mark era libero si sentì sollevato, non poteva permettere che succedesse ancora, nessuno doveva toccarlo. Si sarebbe impegnato lui a trovare le prove di cui avevano bisogno, tutto purché Jake non dovesse trovarsi più in una situazione del genere. E appena fosse finita quella storia lui e Jake… si accasciò sulla sedia, neppure sapeva se Jake l’avesse mai voluto davvero, e di certo non sarebbe stato lui a fare il primo passo.



Jake arrivò a casa piuttosto provato, ma la cosa che l’aveva sconvolto di più, non era quello che era successo con Vincent, ma quel bigliettino che gli aveva consegnato quella ragazzina per strada. Mark non era ancora rientrato, avrebbe fatto in modo di domandarglielo il giorno successivo. Entrò in casa ma subito si accorse che qualcosa non andava, nel buio, filtrava la luce sotto la porta chiusa della cucina, e lui era sicuro di avere spento tutte le luci in casa prima di uscire. Senza fare il minimo rumore, recuperò la sua GLOCK 17 Parabellum, che aveva nascosto all’ingresso dentro un vaso. Era carica, tolse la sicura e si avvicinò alla porta. La spalancò mettendosi a lato.

«Pensavo che avresti avuto bisogno di un po’ di compagnia.» con il cuore che stava per esplodergli, lentamente abbassò l’arma, rimettendo la sicura.

«Cristo santo Loran! Stavo per farti saltare il cervello!» il capitano si voltò con in mano due tazze di caffè fumanti.

«Confido molto nei tuoi riflessi.» gli rispose appoggiando le tazze sul tavolo. Jake si passò le mani tra i capelli, non aveva la minima voglia di parlare, e ancora meno di parlare con lui.

«Sto bene, voglio solo farmi una doccia e andare a dormire.» Loran, incurante delle sue affermazioni si sedette, incominciando a sorseggiare il caffè.

«Non mi dici neppure com’è andata?» Jake sospirò e si sedette, prendendo la tazza che gli porgeva.

«Vuoi sapere se sono riuscito a capirci qualcosa? Oppure vuoi sapere fino a dove mi sono dovuto spingere per farlo sbottonare?» il capitano lo guardò senza lasciare trapelare alcun sentimento.

«Entrambe le cose.» Jake sorrise amaramente.

«Domani avrai il mio rapporto. Come ti ho già detto sono esausto, vorrei che mi lasciassi solo, ora.» Loran si alzò andando a posizionarsi dietro di lui. Lentamente le sue mani si posarono sul trapezio delle sue spalle, massaggiandolo lentamente.

«Ok, me ne vado. Ma se dovessi avere bisogno di parlarne chiamami a qualsiasi ora.» mai come in quel momento avrebbe voluto che quelle mani fossero di qualcun altro. Attese di sentire il rumore della porta che si chiudeva, poi prese in mano il telefono, le sue mani si mossero veloci sulla tastiera.

Jake – Mark, ho bisogno di parlarti, urgentemente. – si pentì nello stesso istante in cui inviò il messaggio. Probabilmente era con qualcuno, forse stava trascorrendo una piacevole serata con i suoi colleghi, oppure era in compagnia di un’avventura occasionale e stava scopando. Il solo pensiero lo mise di malumore.

Mark – Mi dispiace, non sono a casa. – era sicuramente con qualcuno, il sangue gli pulsava velocemente delle vene.

Jake – Questo lo so. Sei occupato? – si maledì per la domanda stupida che aveva fatto, ovvio che lo fosse!

Mark – No, ma non penso tornerò a casa. – Jake si chiese cosa volesse dire, non era occupato, ma non sarebbe ritornato a casa?

Jake – Dormi da qualcuno? – Mark sorrise, evidentemente non era l’unico geloso.

Mark – Ti interessa? – Jake si rese conto che non riusciva più a fermarsi, a quel punto doveva giocarsi il tutto per tutto.

Jake – Dimmelo, perché se sei con qualcuno io… non ti disturberò più. – i secondi passavano, ma Mark non rispondeva, Jake aveva voglia di prendere a pugni il muro.

Mark – Sono in ufficio, buonanotte Jake. – Jake s’infilò la giacca e si precipitò in strada, era da poco passata la mezzanotte, fermò un taxi e gli diede la direzione. Forse era una pazzia, probabilmente l’avrebbe respinto, di nuovo, ma doveva tentare. Doveva dirgli quello che provava o sarebbe impazzito. Suonò il campanello, senza lasciarlo andare fino a che sentì la voce di Mark.

«Chi è?» Mark in cuor suo sperava che fosse Jake, voleva che fosse lui.

«Sono io, a che piano?» chiese Jake, temendo che neppure lo facesse salire.

«Diciassettesimo.» Jake inforcò l’ascensore quasi correndo, batteva il tempo con i piedi in attesa che le porte si riaprissero sul piano richiesto. Si fiondò all’esterno, cercando di orientarsi, era tutto buio, l’unica luce proveniva da una stanza in fondo al corridoio, alla sua sinistra. Si lasciò guidare dalla luce. Aprì la porta, Mark era in piedi, davanti all’enorme finestra, gli dava le spalle.

«Mark…» Jake era immobile all’entrata dell’ufficio. Mark non accennava neppure a voltarsi.

«Qualche mese fa ho perso il mio compagno di lavoro, Steven, in un’imboscata. Non è stata colpa mia ma, per la maggior parte dei miei colleghi, sono diventato il capo espiatorio di ciò che era accaduto. Pochi giorni dopo, ho praticamente obbligato il mio capitano e amante, Loran, ad affidarmi questo caso, prima di entrare sotto copertura l’ho lasciato, anche se non si può realmente dire che io e lui fossimo in una vera relazione. Non stavo cercando un’avventura, ma è successo. Non volevo innamorarmi di te, ma è successo. Non volevo ferirti, però è successo e ora ho paura che…» un nodo alla gola gli impedì di proseguire. Mark non accennava a voltarsi, lui gli aveva aperto il suo cuore, come non era mai accaduto con nessun’altro al mondo.

«Mi dispiace Mark.» si girò lentamente per andarsene, ma non riuscì a fare che pochi passi, le braccia di Mark lo avvolsero da terga fermandolo.

«Ripetilo.» Jake chiuse gli occhi, tentò di voltarsi, ma la presa di Mark non accennava a diminuire.

«Mi sono innamorato di te.» Mark si abbassò sul suo collo e gli sussurrò.

«Non mentirmi mai più, se lo farai e me ne dovessi accorgere, non provare neppure a cercarmi.» lo voltò con un movimento secco e, dopo averlo guardato negli occhi per stamparlo nella sua mente, lo baciò esplorando la sua bocca lentamente per assaporare la sua essenza.

«Mi sei mancato…sei stato tu vero? L’allarme…all’hotel…» ormai Jake si era spogliato di ogni pudore sentimentale e le parole gli uscivano libere come farfalle.

«Sono arrivato in tempo?» gli chiese Mark, affondando il viso nell’incavo del suo collo.

«Se ti riferisci a Vincent, c’è mancato poco che…» Jake lo sentì irrigidirsi.

«Voglio che mi racconti cos’è successo, dal momento in cui siete entrati in quell’ascensore…» una fitta dolorosa raggiunse Jake alla bocca dello stomaco.

«Non penso che sia una buona idea…» Mark abbandonò la stretta e lo prese per mano, facendolo rientrare nel suo ufficio, lo lasciò al centro della stanza e si mise seduto sulla scrivania.

«Io devo saperlo. Devo, capisci? Non posso far finta che non sia accaduto.» Jake si passò le mani sul viso, non voleva ricordare, si sarebbe sentito ancora più sporco.

«Mark… ti prego…» la sua reazione non gli diede scelta.

«Cosa ti ho detto prima? Niente segreti, niente bugie oppure quella è la porta, scegli.» Jake aveva già scelto, aveva scelto nel momento in cui aveva suonato il campanello del suo ufficio.

«Siamo saliti con l’ascensore, e non è successo nulla fino a che non siamo arrivati in camera.» non riusciva a guardarlo negli occhi, temeva di leggere in essi il disgusto e non l’avrebbe sopportato.

«Continua.» eppure il tono della sua voce era morbido, quasi una carezza consolatoria.

«Appena entrati mi ha sbattuto contro la parete e mi ha baciato.» sentì i passi di Mark mentre si avvicinava, in un attimo lo spinse contro la parete e lo baciò, con lentezza, duellando dolcemente contro la sua lingua, un bacio lungo e passionale.

«Continua…» Jake ancora non capiva cosa volesse fare Mark, ma capiva che doveva assecondarlo, perciò continuò.

«Mentre mi baciava il collo strusciava il suo sesso duro su di me, a quel punto ho tentato di prendere tempo e gli ho chiesto di poter fare una doccia.» Mark ripeteva ogni gesto che Vincent aveva fatto su di lui, come se stesse seguendo il copione che Jake gli stava dettando. Ma la sensazione che provò Jake sentendo la sua erezione che si strusciava addosso, non fu certo di disgusto.

«Lui mi ha detto che non era necessario che mi facessi una doccia, ma che mi sarei dovuto spogliare e ballare nudo per lui, mentre si masturbava guardandomi.» Mark lo costrinse a guardarlo negli occhi.

«Spogliati, e balla nudo per me.» Jake si sentì andare a fuoco le guance, forse stava iniziando a capire quale fosse l’intenzione del suo amante, che lo lasciò di nuovo solo in mezzo alla stanza e si mise seduto di fronte a lui. Jake mise la stessa musica che aveva usato con Vincent e, si spogliò ballando per lui. Dopo poco si accorse che Mark si era abbassato i pantaloni, si stava toccando mentre lo guardava ballare. Ma non c’era vergogna dentro il suo cuore, e negli occhi di Mark riuscì a vedere solo desiderio.

«Poco prima che l’allarme suonasse, mi aveva chiesto di fermarmi e mettermi giù aprendogli le natiche.» aveva il fiatone, non capiva più se per l’impegno che ci aveva messo in quello spettacolo, o se per l’enorme eccitazione che gli aveva dato guardare Mark mentre lo osservava.

«Fallo per me.» Jake si avvicinò alla scrivania appoggiandosi sopra con il torace, portò entrambe le mani sulle natiche e le divaricò.

«Sei bellissimo Jake.» le mani di Mark percorsero la sua schiena, per poi appoggiarsi sulle sue. Mark appoggiò in mezzo alle natiche il suo cazzo durissimo, togliendo le mani di Jake.

«Voglio fare l’amore con te Jake, senza nulla che ci divida. Ti fidi di me?» gli chiese mentre un dito andava ad insinuarsi a fondo dentro di lui.

«Io non l’ho mai fatto senza protezione, mai…» Mark gli morse un gluteo facendolo sobbalzare, mentre infilava un altro dito e lo allargava velocemente.

«Io solo con Brian. E ora con te.» tolse le dita e allineò il glande sull’apertura, spingendo lentamente. Jake sentì la carne calda e pulsante unirsi alla sua, lo accolse emettendo un grido roco. Mark si spinse completamente in lui, e si appoggiò sulla sua schiena girandogli il volto per poterlo baciare.

«Sei mio, ti amo Jake.» Jake non riuscì a dire nulla, perché le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. Mark iniziò a muoversi impossessandosi dei suoi fianchi, fino a che lo sentì urlare di piacere e lo riempì completamente con il suo seme. Appena riprese fiato, senza dire nulla, andò in bagno e ritornò con una salvietta per pulirlo accuratamente. Lo sollevò abbracciandolo.

«Quando ripenserai a quanto è accaduto questa notte, ricorderai che questa è stata la notte che ci ha unito. Questo sarà l’unico ricordo che avrai nel tuo cuore.» Jake scoppiò a piangere tra le sue braccia. Per la prima volta nella sua vita si sentiva a casa.



Copyright © 2020 Veronica Reburn 

Tutti i diritti riservati 



Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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