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martedì 1 dicembre 2020


«Domani mattina partiremo presto, voglio aprire le giostre nel primo pomeriggio. I ragazzi saranno qui tra meno di un’ora. Alcuni sono nuovi, teneteli d’occhio, poi ditemi chi vale la pena che venga con noi. E ora, diamoci una mossa.» Luka e i suoi sette fratelli scattarono in piedi dalle loro sedie, dovevano aiutare a caricare sui camion le loro giostre, era importante che partecipassero attivamente, se i pezzi venivano caricati male sarebbe diventato un incubo rimontarli, una volta arrivati.

«Luka, tu fermati un momento,» ritornò sui suoi passi. Suo padre gli aveva finalmente affidato una giostra tutta sua, gliel’aveva fatta fare su misura, spendendo una cifra astronomica. Quando l’aveva vista montata aveva pianto. Era identica al carillon della nonna, quello che custodiva gelosamente nel suo camper, suo padre gli aveva fatto un grande regalo, e lui voleva renderlo fiero.

«Finalmente hai la tua giostra eh?» gli sorrise, era il più piccolo ma anche il più amato e lo sapeva. Per fortuna era così, altrimenti la sua vita sarebbe diventata un inferno.

«Non ti ringrazierò mai abbastanza per averla fatta perfettamente uguale al carillon della nonna, Aerv,» la faccia di suo padre era un programma, tanto trasudava soddisfazione da ogni poro.

«E ora va! Datti da fare e tira su quei capelli!» Luka rise, mentre raccoglieva i capelli in una coda. Effettivamente suo padre aveva ragione, i suoi capelli, rosso Tiziano, gli arrivavano a metà schiena, erano d’impiccio quando doveva lavorare. Era una splendida giornata di marzo, l’ideale per spostarsi con la carovana e iniziare a girare le fiere. Non vedeva l’ora, finalmente nessuno dei suoi fratelli lo avrebbe comandato e, cosa più importante, non avrebbe sentito quando sottovoce lo chiamavano bujashi (frocio). Era vero, a lui piacevano i maschi, ma non l’avrebbe confessato neppure sotto tortura e, di sicuro non alla sua famiglia. Si limitava a ignorarli senza fare nessuna ammissione e, fino a che non fosse stato suo padre a metterlo alle strette, avrebbe continuato a far finta che il problema non esistesse.



Gioele era uscito di galera da meno di un mese e, da quel momento, stava cercando un lavoro. Era stanco di dormire in comunità, stanco di tutti quei no che aveva ricevuto quando si era presentato per chiedere a qualcuno di farlo lavorare. Un compagno di camerata gli aveva detto che i giostrai stavano cercando mano d’opera, si stava chiedendo se pure loro gli avrebbero detto di no. Il reato per il quale aveva scontato una pena di quattro anni che, con la condizionale, si erano ridotti a due, era di omicidio colposo. Una cazzo di rissa finita male e la sua vita era stata rovinata, per sempre. Arrivato davanti alla roulotte del capo carovana non si aspettava di trovare una fila di disperati come lui, scosse la testa e si accodò. Quando finalmente arrivò il suo turno, si sentiva già mentalmente sconfitto.

«Nome?» gli chiese l’uomo seduto di fronte.

«Gioele,» l’uomo lo scrutò.

«Hai già montato e smontato giostre nella tua vita?» scosse il capo sospirando.

«Perché dovrei darti il lavoro?» Gioele sogghignò.

«Perché è la mia ultima spiaggia. Sono uscito di galera da poco più di un mese, ormai le ho provate tutte e, davvero…» scrutò davanti a sé, l’uomo continuava a guardarlo senza che nessun segnale trasparisse.

«Domani, alle dieci di mattina, non ti prometto nulla, è solo una prova.» Gioele non poteva crederci, la prima possibilità di riscattare un po’ della sua nuova vita. Certo non era il lavoro dei suoi sogni, ma non poteva di sicuro permettersi di storcere il naso.



Luka raggiunse i ragazzi della squadra, che lo stavano aspettando per caricare i pezzi della sua giostra sul camion. Li conosceva tutti, a parte quei due che aveva messo alla prova suo padre.

«Hey rosso! Noi siamo pronti, pensavamo che non venissi più! Spiegaci come caricarla, non conosciamo i pezzi.» Luka si avvicinò a Rossano, era il capo squadra, lavorava per loro da una vita.

«Ciao Ros. Ora vi spiego, la mia ragazza è nuova, va trattata con i guanti,» alle spalle di Rossano spuntò un uomo. Era enorme, Rossano non era un gigante, ma quello era davvero mastodontico in confronto.

«Lui è Gioele e lui è Andrea, sono i ragazzi in prova,» Luka trattenne il fiato mentre si avvicinava a quella montagna d’uomo che lo guardava dall’alto.

«Ciao,» disse loro, mentre sentiva uno strano calore salire dalla base del collo. Da vicino l’uomo era ancora meglio, gli occhi neri come il carbone, la bocca imbronciata e la barba tenuta corta a incorniciare un viso squadrato, se non fosse stato per quel naso alla francese, il suo viso poteva sembrare scolpito nel granito. La camicia arrotolata fino al gomito, slacciata sul davanti, lasciava intravedere la notevole presenza di peli. Gioele distolse lo sguardo, quella visione lo aveva turbato in un modo a lui sconosciuto.

«Ok, ragazzi, incominciamo!» Luka tenne i due nuovi sott’occhio, come aveva chiesto suo padre, ed entrambi imparavano in fretta ed erano veloci e precisi, non avrebbe saputo chi scegliere.



«Luka, allora cosa ne pensi?» suo padre si era avvicinato. Ormai i camion erano pronti a partire.

«Per me puoi prenderli entrambi,» gli disse suo figlio, senza la minima titubanza.

«Abbiamo un problema però, non ci sono abbastanza posti per sistemarli. Dovrò rinunciare a uno dei due.» Luka agì senza pensarci.

«Uno può stare con me sul mio camper. Ho due camere, e non mi dispiacerebbe un cambio nelle trasferte più lunghe.» Suo padre lo guardò, ma Luka non fece trasparire nulla di ciò che stava pensando.

«Se per te va bene… ti mando quel Gioele, Andrea è amico di Ros, credo che preferirebbe dormire con loro.» Luka avrebbe voluto saltare da quanto era contento, almeno avrebbe avuto un gran bel pezzo di carne da guardare e questo, non gli era capitato spesso.



«Gioele, Andrea, siete dei nostri. Vi voglio qui entro un’ora, prima ci muoviamo e meglio è. Andrea tu ti sistemerai con i ragazzi e tu, Gioele, in camper con mio figlio Luka,» a Gioele prese un colpo. Avrebbe condiviso per mesi le notti con quel ragazzo la cui visione gli aveva procurato un’erezione qualche ora prima? Ma non disse nulla, oltretutto era il figlio del capo, non era proprio il caso di obiettare qualcosa.

Non doveva certo prendere grandi cose, la sua roba stava tutta dentro una sacca. Salutò Don Silvio, ringraziandolo per averlo ospitato, e tornò al campo. Bussò alla porta del camper.

«Avanti!» persino la voce del rosso gli piaceva. Salì i pochi gradini e se lo trovò davanti a torso nudo. Distolse lo sguardo.

«Vieni, accomodati, la tua stanza è a sinistra in fondo. Non è grande come la mia, ma vedrai che ti ci abituerai. Fuori dalla tua stanza c’è il bagno e, come puoi vedere, qui c’è la cucina.» Gioele gli rispondeva grugnendo. Sarebbe stata una dura convivenza quella, davvero dura, pensò.

«Sistemati con calma, tra dieci minuti partiamo,» vide il ragazzo infilarsi una maglia.

«Dove siamo diretti?» lo vide piegarsi in avanti per cercare qualcosa sotto un mobile. Aveva un corpo magnifico, sinuoso, con il culo più bello che avesse mai visto. Si morse il labbro per non lasciarsi sfuggire un mugolio di apprezzamento, per tutto quel ben di Dio che gli stava mostrando. Quando si alzò fece volare i capelli un po’ da tutte le parti. Poi gli sorrise e il mondo smise di girare, in quel preciso istante.

«Ferrara è la prima tappa, poi Bologna, Modena e dopo la Romagna.» Riabbassò lo sguardo, grato che il ragazzo stesse per prendere posto alla guida, perché si sarebbe sicuramente accorto, se rimaneva ancora lì con lui, che il cavallo dei suoi pantaloni non aveva più spazio per contenere il suo pacco.

Nei giorni a seguire Gioele si adattò a quella sua nuova vita. Era un lavoro faticoso, ma tutto sommato semplice. Dopo avere montato le giostre, il loro compito era quello di stare attenti che non ci fossero disordini, portare il caffè e il cibo a chi stava alla cassa delle attrazioni e dare loro il cambio, per permettergli di andare in bagno o a fumare una sigaretta. A mezzanotte coprivano le giostre, ed erano liberi fino all’orario di apertura, che avveniva di solito nella tarda mattinata.



Luka ormai se lo mangiava letteralmente con gli occhi. Lo aveva intravisto, il secondo giorno da che erano arrivati a Ferrara, che usciva dalla doccia del camper, completamente nudo. Da quel momento la sua immaginazione non aveva avuto più freni. Immaginava quelle grandi mani strizzargli le natiche, accarezzarlo ovunque. Non sapeva cosa avrebbe dato per potere accarezzare a sua volta quel largo petto villoso. Gli era sembrato, un paio di volte, di averlo beccato mentre lo guardava ma, Gioele evitava di incontrare il suo sguardo. Non era neppure più sicuro di che colore fossero i suoi occhi.

Nei suoi vent’anni non era mai andato fino in fondo con nessuno, anche perché le occasioni per incontrare altri ragazzi gay non erano tante. Essere figlio di giostrai, oltretutto, lo portava a frequentare anche la scuola in modo itinerante, e questo non lo aiutava di sicuro a creare nessun tipo di legame. Oltre a questo ormai erano quattro anni che non frequentava più la scuola e le occasioni anche di brevi avventure si erano azzerate.



Ormai erano dieci giorni che si trovavano a Ferrara, si chiedeva quando i ragazzi sarebbero usciti a fare baldoria, lo facevano sempre, anche se lui non era mai stato invitato a quelle serate. Non volevano con loro un bujashi, “andavano a figa”, loro.

Era ormai l’una quando si ritirò nel camper e incrociò Gioele che usciva.

«Ma vieni così? Non vai a cambiarti?» Luka sgranò gli occhi, cercando di capire a cosa si riferisse Gioele, mentre con lo sguardo si soffermava sui suoi jeans, che gli fasciavano le cosce e il bacino in un modo perfetto, poi capì.

«Non faccio mai parte di questo tipo di uscite. Non ti hanno informato?» Gioele lo stava fissando, ne era certo, anche se erano praticamente al buio.

«Cosa avrebbero dovuto dirmi?» Luka lo scansò, andando verso il suo camper.

«Che per loro sono un bujashi… un frocio…» sentì chiaramente Gioele sospirare.

«Non vedo quale sia il problema. Anche a me piacciono gli uomini, da sempre.» La notizia esplose nella mente di Luka come un fuoco artificiale, come tutte le implicazioni connesse.

«Beh, vedi di fare in modo che non se ne accorga nessuno o ti renderanno la vita un inferno,» gli rispose, controllando l’emozione nella sua voce.

«Tranquillo, vado a farmi una bella bevuta e torno.» Luka rientrò nel camper e si appoggiò alla porta. Gli piaceva Gioele e, sapere che era gay, lo aveva entusiasmato, fin troppo.



Gioele seguì i ragazzi, che lo portarono in un pub pieno di gente, fu piacevole finalmente bere e ascoltare musica. C’erano anche dei ragazzi niente male, ma di sicuro non poteva permettersi di imbarcarsi con uno di loro, vista la compagnia con cui era uscito. Ma la realtà era ben diversa, e lui ormai ne aveva la certezza, il rosso gli era entrato nelle vene. Si convinse che non era nella sua natura evitare i guai, perché era cosciente che, lasciarsi coinvolgere in una storia con Luka, lo avrebbe messo in pericolo.

Ritornò al camper verso le tre di mattina, aveva bevuto, ma si reggeva ancora bene sulle sue gambe.

«Hey! Tutto bene?» la voce di Luka lo colse di sorpresa.

«Che cosa ci fai ancora in piedi?» Luka lo raggiunse sulla porta.

«Temevo per la tua incolumità, Ruv.» lo vide avvicinarsi, aveva solo una maglietta addosso, le sue gambe smilze spiccavano, bianche come latte, rischiarate dalla luna.

«Ruv?» colpa della birra, Gioele era rimasto incantato sul posto, mentre Luka si avvicinava e ora si trovava davanti a lui. Era stretto tra la porta e il rosso.

«Significa Orso.» Gioele sentiva il suo profumo e, ora che era così vicino, non riusciva a togliergli gli occhi da dosso.

«Perché Orso?» la mano di Luka si posò sul suo avambraccio, accarezzandolo dolcemente.

«Perché sei peloso come un Orso!» Gioele respirò profondamente e chiuse gli occhi, ritrovandosi inaspettatamente le labbra carnose del rosso sulle sue. Reagì d’istinto, afferrandolo per i lunghi capelli per staccarlo da lui, lasciandolo andare immediatamente.

«Non ti piaccio neppure un po’?» non capì se fosse stato il tono del ragazzo o la troppa birra, ma catturò la sua nuca e depredò le sue labbra. Il sapore della sua bocca gli esplose dentro, ne voleva ancora e ancora. Salì l’ultimo scalino senza staccarsi da lui, che si avvinghiò alla sua cintura con le gambe. Lo appoggiò sul tavolo, schiacciandolo con il suo corpo. Le loro lingue insaziabili danzavano, era deliziosa la sensazione del corpo di Luka contro il suo.

«Dobbiamo andare a dormire, è tardi e domani rischio di farmi male,» gli stava costando parecchio ritirarsi in quel modo, ma non voleva che tutto si riducesse a un mero rapporto sessuale, consumato nella foga del momento, voleva assaporarlo con tutta calma. Se proprio doveva rischiare la lapidazione, almeno voleva che fosse per un buon motivo.



Luka non riusciva a parlare, quel bacio lo aveva reso ubriaco. Nessuno l’aveva mai baciato in quel modo. Per la prima volta nella sua vita si era sentito speciale, desiderato, accolto. Se non si fosse fermato, gli avrebbe aperto le gambe lì, sul tavolo, e al diavolo se fosse stata solo quella volta! Ma invece Gioele era stato gentile e l’aveva fatto sentire ancora più importante. Si rese conto che sarebbe stato davvero semplice perdere la testa per lui.



Le successive tappe furono Bologna e Modena. Luka e Gioele si ritagliavano momenti insieme, in cui si baciavano allo sfinimento, ma da quando Gioele aveva saputo che Luka non era mai andato fino in fondo, si era come frenato. Gioele era sempre stato un attivo e aveva avuto sempre amanti più o meno esperti e, soprattutto, non aveva mai provato qualcosa di così simile a un innamoramento. Aveva paura di rovinare tutto, quindi procrastinava il momento, con lunghe sessioni di baci e strusciamenti.

Luka era frustrato dalla piega che aveva preso il loro rapporto, ma non riusciva a prendere il comando quando era con lui, anche perché davvero non sapeva da dove iniziare.



Arrivarono a Rimini il quindici di Giugno, quella era una delle tappe più lunghe, sarebbero rimasti un mese intero. Fecero in tempo a montare le giostre e a coprirle, prima che un temporale catastrofico si abbattesse sul campo. Alle nove di sera si ritrovarono, completamente fradici, a rientrare nel camper.

«Oddio sono gelato!» Luka si stava svestendo velocemente, lasciando i vestiti fradici sulle scale, mentre Gioele faceva la stessa cosa. Luka alzò lo sguardo e lo vide davanti a sé, completamente nudo, rendendosi conto che anche lui lo era. Gioele gli tese la mano.

«Doccia, subito.» La doccia del camper era piuttosto piccola, due della stazza di Gioele, insieme, non ci sarebbero mai potuti entrare. Per fortuna Luka era magro ma, anche così, dovevano rimanere appiccicati. Gioele lo strofinò per bene e Luka smise quasi subito di tremare, per lo meno per il freddo, perché la vicinanza dei loro corpi nudi era terribilmente eccitante.

«Posso?» Luka si era insaponato le mani e aveva tutta l’intenzione di approfittare del momento per esplorare quel corpo. Lentamente le mani di Luka si posarono sul suo petto villoso per insaponarlo. Era magnifico potersi insinuare nella sua peluria e ben presto, Luka si accorse che anche per Gioele doveva essere piacevole, visto che la sua erezione svettava toccando la sua. Luka si fece coraggio e glielo prese in mano massaggiandolo, la mano di Gioele gli bloccò il polso.

«Luka, se continuiamo così io non riuscirò a trovare la forza per fermarmi.» Luka si alzò in punta di piedi per baciarlo dolcemente.

«Voglio fare l’amore con te, perché dovremmo fermarci?» Luka venne invaso dalla sua lingua, con un bacio che gli rubò il respiro, le mani di Gioele presero vita improvvisamente, e se le ritrovò dappertutto.

«Asciughiamoci e andiamo in camera tua, ricordiamoci di chiudere la porta.» Luka si asciugò velocemente, chiuse la porta, tirò tutte le tende e andò a stendersi sul letto.



Gioele sapeva che non avrebbe resistito ancora per molto, lo voleva così tanto. Si asciugò in un attimo e prese dalla borsa i preservativi e il gel che aveva comprato pochi giorni prima. Avevano tutto il tempo per fare le cose con calma, voleva che rimanesse un bellissimo ricordo per il suo angelo rosso. Percorse il camper, lieto che Luka avesse tirato tutte le tende, e lo trovò disteso sul letto, in una posizione che avrebbe dovuto risultare sexy, ma che decisamente non si addiceva a Luka. Trattenne a stento una risata e lo raggiunse.

«Non hai bisogno di sedurmi,» gli disse, portando la sua mano a contatto con il suo cazzo durissimo. Il rossore che gli partiva dal collo, invase le sue guance.

«Stenditi e lascia fare a me.» Si stese, Gioele lo ammirò, facendo passare il suo sguardo su ogni centimetro del suo corpo, beandosi dei suoi sospiri, adorando il modo in cui le sue guance diventavano sempre più rosse. Si avvicinò per baciarlo, mentre la sua mano si posava su uno dei capezzoli strizzandolo dolcemente. La risposta che ne ottenne fu incredibilmente sensuale. Si chinò sull’altro leccandolo con avidità. Era bellissimo mentre si contorceva.

«Ti piace?» era una domanda retorica, visto il modo in cui si inarcava ad ogni sua lappata. Aveva una voglia incredibile di sbatterlo fino a farlo gridare, ma doveva andare con calma. Scese lentamente, lasciando una scia di baci umidi sul suo ventre, fino ad arrivare al suo piccolo ombelico, per infilargli dentro la lingua ripetutamente.

«Credo che morirò!» Gioele lo ignorò e continuò a scendere, fino a raggiungere il suo membro eretto e bagnato di pre seme. Alla lappata che gli diede sul glande, Luka gridò selvaggiamente. Temette che quel grido potesse essere stato udito, ma non poteva esserci nessuno in giro con quel tempaccio e il loro camper era a parecchi metri di distanza dagli altri.

«Devi contenere un po’ la voce, ok?» gli disse sorridendo, per poi prenderglielo in bocca tutto fino alla radice, dove la peluria gli solleticò le narici.



Luka era in paradiso, mai nessuno gli aveva fatto un pompino, lui ne aveva fatti, ma mai ne aveva ricevuti, ed era qualcosa di incredibile. Il modo in cui lo succhiava e lo leccava era pazzesco. Ma proprio quando pensava che sarebbe venuto di lì a poco, qualcosa di viscoso e freddo gli solleticò il buco. Realizzò immediatamente che quello doveva essere il gel e si eccitò ancora di più. L’attesa era snervante, non temeva il dolore, sapeva che faceva parte del gioco, ma lo uccideva l’attesa. Quando sentì il dito di Gioele che premeva, istintivamente cercò di rilassarsi al massimo, poi lo sentì dentro. Era fastidioso, ma non doloroso, in più Gioele non la smetteva di succhiargli l’uccello ed era uno spettacolo anche guardarlo. Quando infilò il secondo dito, fu un po’ più doloroso, ma con l’aggiunta di altro gel e un bel po’ di pazienza da parte del suo partner, la cosa fu più che gestibile. Quando aggiunse il terzo, stava quasi per dirgli di smettere quando, improvvisamente, le dita di Gioele si posarono sulla sua prostata e la scarica lo raggiunse direttamente nelle palle, facendolo venire dentro la bocca di Gioele, gridando:

«Oh mio Dio!» intravide Gioele mettersi in ginocchio e srotolare il preservativo sulla sua asta, per poi sistemarsi in mezzo alle sue gambe. Ma era nel mondo degli unicorni e non realizzò che stava per essere penetrato.

«Fermami se è troppo, ok?» poi sentì premere contro il suo buco e, subito dopo, il dolore si propagò ovunque.

«Fa male!» Gioele lo baciò lentamente, cercando di farlo rilassare.

«Puoi resistere un po’, sì?» sentì che si stava spingendo lentamente dentro.

«Starò fermo fino a che non mi dirai tu di muovermi,» si baciarono dolcemente per un po’, poi Gioele ruotò i fianchi e sfregò sulla sua prostata.

«Oddio, sì!» lentamente Gioele iniziò a muoversi, mentre allo stesso ritmo lo masturbava.

«Sei bellissimo Luka, così dolce,» a ogni spinta la sua prostata faceva le fusa, si chiese se anche per gli altri era stata così la prima volta, perché per lui era davvero perfetta.

«Ora mi muovo, ho bisogno di venire Luka, altrimenti credo che sarò io a morire,» lo fece, ma non si dimenticò di lui e continuò a masturbarlo aumentando il ritmo, non gli ci volle molto per venire di nuovo.

«Ahhh, piccolo ci sono anch’io!» con un’ultima spinta vigorosa, Gioele si scaricò dentro di lui, crollandogli sopra. Appena ripresero un po’ di fiato, Gioele si sfilò da lui franando a fianco.

«Tutto ok? Stai bene?» Luka girò la testa per incontrare i suoi occhi.

«È stato…incredibilmente bello.» La mano di Gioele gli accarezzò la guancia.

Poi aggiunse, «sono felice, come non mi era mai successo.» Luka si appoggiò sulla sua mano strusciando la guancia.

«Dovremo stare attenti, ma qui possiamo essere noi, questo sarà il nostro regno.» Il suo camper ne avrebbe avute da raccontare, alla fine di quella lunga stagione e dopo…ci avrebbero pensato, Luka voleva vivere il presente e, il presente, era finalmente perfetto.



La stagione sarebbe finita con l’inizio dell’anno scolastico. Si apriva e si chiudeva nello stesso posto, Ferrara. Ne avevano già parlato, lui e Gioele, senza riuscire a trovare una soluzione. Gioele aveva chiamato sua madre, a Roma, suo cugino gli aveva trovato un posto fisso ai mercati generali e un appartamento lì vicino si sarebbe liberato proprio a metà settembre. Gioele aveva chiesto a Luka di prendere una decisione, voleva che venisse a Roma con lui. Luka non sapeva come fare per trovare una scusa valida, e non se la sentiva di confessare a suo padre cosa fosse accaduto. Temeva soprattutto per l’incolumità di Gioele.



Gioele stava facendo il solito giro per guardare che tutto andasse bene, si fermò nella baracchina di Anita per prendere uno zucchero filato per Luka. Il suo rosso amava lo zucchero filato, ed era comodo consegnarglielo mentre, nascosto dietro a quella nuvola, gli rubava un bacio.

«Anita, me ne fai uno enorme per Luka?» la donna esagerava sempre quando lo faceva per Luka, lo aveva visto crescere e, più di una volta, l’aveva difeso da i suoi fratelli e cugini quando lo prendevano in giro.

«Rom (uomo), dovete stare più attenti.» Gioele s’irrigidì.

«Sono dalla vostra parte, stai tranquillo. Ma se uno solo dei suoi fratelli dovesse accorgersi della cosa, non voglio neppure pensare a quello che potrebbe succedere…» Gioele rabbrividì.

«Come l’hai capito…» la donna sorrise.

«Avete l’amore negli occhi, a me l’amore non sfugge mai,» gli consegnò lo stecco con lo zucchero filato. Gioele lo portò a Luka e, come sempre dietro a quella nuvola, gli strappò un bacio.



Erano appena rientrati nel camper che qualcuno bussò insistentemente alla porta.

«Sono Anita, apritemi per carità!» Luka si precipitò ad aprirle la porta.

«Vi hanno visti, mentre vi baciavate! Stanno venendo qui, Gioele scappa, per l’amor di Dio!» Luka si precipitò nella sua stanza per aiutarlo a buttare tutto nella sacca e gli diede anche tutti i soldi che riuscì a trovare.

«Oddio! Non posso lasciarti qui Luka!» ma lui lo spinse fuori dal camper.

«So difendermi, vai, so dove raggiungerti, mettiti in salvo. Ti prego amore mio vattene! Anita va anche tu, li aspetto qui,» riluttante, Gioele si diede alla fuga prendendo la strada sterrata a fianco del campo. Lì nessuno lo avrebbe visto.

Un quarto d’ora più tardi, suo padre, insieme a due dei suoi fratelli, fece irruzione.

«Dov’è quel Ciuchel (stronzo)! Lo voglio sgozzare con le mie mani!» Luka si fece avanti.

«Non c’è. Se n’è andato.» il maggiore dei suoi fratelli gli sputò in faccia.

«Sei un bujashi schifoso! L’ho sempre detto!» Luka si pulì il viso con la manica.

«Ora, se volete scusarmi, andrei a prepararmi la cena.» Lo schiaffo di suo padre lo colse alla sprovvista, facendolo stramazzare a terra.

«Resterai dentro al camper fino a che non accetterai di sposare una delle nostre donne, e guarirai da questa malattia. Fino ad allora, non uscirai da qui! O quanto è vero Dio, ti apro la pancia e ti appendo alla tua giostra.» Prese le chiavi del camper e chiuse tutto. Luka sapeva che non scherzava, era finita, era tutto finito.



Gioele era ritornato a casa. Aveva accettato il lavoro ai mercati generali e la sua vita si era ridotta a quello. Si alzava che era ancora notte, andava a scaricare i camion, movimentava la merce nei magazzini e a mezzogiorno staccava. Tornava nel suo appartamento, mangiava e si addormentava sul divano con il televisore acceso. Aveva provato a chiamare Rossano, ma gli aveva saputo dire solo che Luka stava bene e era ancora al campo. Ormai si era convinto che non l’avrebbe più rivisto, probabilmente l’aveva dimenticato.



Si stava avvicinando il Natale e Luka era ancora prigioniero nel suo camper. Non avrebbe ceduto, era stato chiaro con tutti. Ormai sperava solo che suo padre mettesse in opera le sue minacce. Tutto era meglio che morire lentamente dentro quel camper, dove ogni oggetto continuava a ricordargli Gioele. L’unica cosa che lo teneva in vita era il pensiero che il suo amore era in salvo. La vigilia di Natale si rifiutò di raggiungere la sua famiglia per festeggiare, non aveva nulla da festeggiare lui. Un lieve bussare alla porta attirò la sua attenzione.

«Sono Anita, apri la finestra.» Luka aprì il finestrino, quel poco che i blocchi che avevano messo i suoi fratelli gli permetteva.

«Prendi, sono le chiavi del camper. Dentro a questa borsa ci sono dei soldi, dovrebbero bastarti per il viaggio e per mangiare. Non è più questa la tua famiglia, vattene, e non voltarti indietro mai. Aspetta che tutti dormano e poi prendi la moto di mio marito, non la usa più. Ti lascio le chiavi attaccate, mettila in moto quando sei abbastanza lontano da qui. Sii felice Lolo (tesoro)!» gli sorrise, era il regalo di Natale più grande che avesse mai ricevuto. Con una calma incredibile, prese un borsone e ci mise solo le cose strettamente necessarie, due paia di pantaloni, un po’ di biancheria e il carillon della nonna. Quello sarebbe rimasto il suo unico legame con la sua vita precedente. Alle due del mattino, quando nel campo si sentiva solo il latrare dei cani, uscì dal camper, richiudendo la porta alle sue spalle. Prese la moto del marito di Anita e, a mano, la spinse fuori dal campo. Alle tre e mezza salì sul treno che l’avrebbe portato da Gioele, se ancora l’avesse voluto.



Gioele aveva promesso a sua madre che sarebbe andato a mangiare da lei con tutta la famiglia. Non ne aveva voglia, ma non aveva nient’altro da fare perciò, verso le nove uscì di casa. Notò, da dentro il portone, che qualcuno era seduto sui gradini. Qualcuno con i capelli rossi che gli arrivavano a metà della schiena. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.

«Luka?» appena si voltò, i loro occhi si inchiodarono l’uno nell’altro.

«Visto, ce l’ho fatta!» lo sollevò di peso da terra per stringerlo tra le sue braccia, era vero, era Luka, era lì per lui.

«Temevo non venissi più.» le labbra di Luka si appoggiarono sulle sue.

«Volevo farti un bel regalo a Natale, e ho pensato, quale miglior regalo se non me stesso?» Gioele scoppiò a ridere.

«Buon Natale Gioele,» gli disse affondando la testa nel suo torace.

«Cento di questi Natali, Luka,» gli avrebbe chiesto dopo, quello che era successo, aveva tutta la vita per chiederglielo.

Copyright 2020 Veronica Reburn
Tutti i diritti riservati
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