giovedì 4 giugno 2020




Another Door 

Secondo capitolo 

Dopo quello scambio di battute, Mark smise di contattarlo. Era meglio così, era quello che sperava, ma non riusciva a togliersi di dosso né il suo odore né il suo sapore, era come se si fosse impregnato nella sua pelle, nella sua mente. Finché, la domenica sera, tornando a casa dopo avere corso nel parco, vide una ragazza uscire dalla porta di Mark, richiudendola con la chiave. Doveva averla fissata in modo strano, visto che gli sorrise imbarazzata.

«Buonasera. Sono venuta a dare da mangiare a Minù.» Ethan le sorrise, era una ragazza piccola che ispirava simpatia.

«Immagino che il padrone di casa non ci sia.» perché non approfittare dell’amabilità di quella ragazza, pensò Ethan.

«Già, viaggio di lavoro. E a me tocca anche Minù… spero che non miagoli durante il giorno, o la notte…» Ethan scosse il capo.

«No, no, non si preoccupi. Poi ho il sonno profondo, non la sentirei comunque. Inoltre immagino che non starà via così tanto.» le disse con noncuranza, mentre aveva già un piede nell’appartamento.

«No, infatti. Dovrebbe tornare domenica notte. Ora vado. Arrivederci signor…» Ethan le porse la mano.

«Ethan, Ethan Johnson.» Telma gliela strinse notando, nell’avvicinarsi, quanto fosse bello quel nuovo vicino di Mark.

«Telma Smith.» un pensiero fugace attraversò la mente di Telma, ripensando al cambio d’umore che aveva avuto Mark nelle ultime settimane.

«Allora ci vediamo Ethan.» gli rispose aprendo la porta dell’ascensore.

Sapere che non avrebbe avuto modo di rivedere Mark per l’intera settimana, gli fece sperare di riuscire ad archiviare quanto accaduto, e potersi concentrare totalmente nella sua indagine.

Poco dopo ricevette un nuovo messaggio da Vinnie. “17. Sabato sera, ore 20,30 davanti al Tree Bistro 190 1st Ave. Cena con il signor Nathan Brown. Ti manderò domani la foto e la scheda.”



Mark ritornò nel suo appartamento e si buttò su letto, ormai le prime luci dell’alba avevano invaso la sua camera, quando riuscì a prendere sonno. Era certo che se fosse rimasto nell’appartamento di Ethan, si sarebbe addormentato immediatamente, magari dopo un bis… cazzo quanto lo eccitava quel ragazzo! Il giorno dopo avrebbe fatto le valige, doveva prendere un aereo nel pomeriggio, una settimana a Londra era quello che ci voleva. Doveva riflettere.

«Signore posso portarle qualcosa da bere?» mancavano poco più di due ore all’atterraggio al London City Airport, decise di prendere qualcosa di forte, avrebbe cenato da solo in hotel e forse questo l’avrebbe aiutato a rilassarsi. Era frustrato per il fatto di non essere riuscito a parlare con Ethan, dopo quella richiesta che gli aveva fatto di cancellare il suo numero di telefono e il suo secco no, malgrado gli avesse inviato almeno altri dieci messaggi per provocarlo, non li aveva neppure visualizzati. Non l’aveva bloccato e questo gli lasciava qualche speranza. Doveva riuscire per lo meno a parlargli, se voleva di nuovo infilarsi nelle sue mutande, anche se ormai non riusciva più a negare che non era solo lì che voleva infilarsi. Aveva raggiunto questa consapevolezza proprio subito dopo essere salito su quell’aereo, quando uno steward gli si era avvicinato per ricordargli di allacciare la cintura. Lo sguardo che gli aveva lanciato era inequivocabile, sembrava che avesse un’insegna a neon sulla fronte con su scritto “scopami”. Soltanto qualche settimana prima avrebbe giusto aspettato il decollo e, di sicuro, non avrebbe dormito da solo in Hotel. Invece si era limitato a sorridere compiaciuto, evitandone lo sguardo per tutto il resto del viaggio. Questo era il sintomo definitivo, quello che aveva risvegliato Ethan era molto di più che passione, lui lo voleva per sé, voleva conquistarlo, conoscerlo, consumarlo. Non sarebbe stata per nulla una passeggiata riuscirci, era completamente diverso da Bri. Con Bri il sentimento era cresciuto piano piano. Si erano conosciuti al Queens College, City University di New York, Brian era da poco diventato l’assistente del professore di diritto e questo, appena si era laureato, mentre lui era al primo anno. Il professore di diritto lo usava con quelli del primo e secondo anno, per aiutarli ad affrontare gli esami, Mark perse subito la testa appena gli strinse la mano. Bri all’inizio non lo considerava proprio, ma lui non si diede per vinto. Fin da subito era sicuro di piacergli, ma capiva che Bri era frenato, forse dalla pur piccola differenza di età. Inoltre era un ragazzo riflessivo e riservato, il perfetto contrario di Mark, che non perdeva una festa e a cui bastavano dieci minuti per fare amicizia. Poi, una sera, alla festa di compleanno di un comune amico, Bri alzò un po’ il gomito, rivelando un lato inaspettato del suo carattere. Mark passò in pochi istanti da cacciatore a preda, dovette portarlo via di peso e tenerlo a bada dentro il taxi. Anni dopo, quando glielo ricordava, Bri continuava a diventare rosso come un pomodoro. Finirono a letto quel venerdì sera stesso e ne uscirono solo il lunedì mattina per andare in facoltà. Da quel momento non si lasciarono più, tranne l’anno della laurea di Mark, in cui Brian andò a Londra per affiancare il padre, socio fondatore della C.F.&C. LTD, per poi assumere, l’anno successivo, il posto di direttore generale delle filiali del centro e nord America. Quando, finalmente ritornò a New York, decisero di andare a vivere insieme, e Brian gli offrì il posto di direttore della filiale di New York. Avevano comprato la loro casa a Chelsea, ricordava perfettamente il giorno in cui lo portò a vedere l’appartamento, perché fu proprio al centro della loro sala, completamente spoglia, in cui s’inginocchiò e gli chiese di sposarlo. Si sposarono a Londra, tre anni dopo Bri lo aveva lasciato solo. I successivi anni aveva vissuto con quel vuoto dentro, ormai si era convinto che nulla potesse più riempirlo, fino ad ora...

«Signori e signore, stiamo per atterrare al London City Airport, vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza, mantenere il sedile in verticale e le tendine dei finestrini alzate. La temperatura a terra è di sette gradi centigradi. È prevista pioggia per i prossimi tre giorni. Vi auguriamo un buon soggiorno.» appena sceso dall’aereo si diresse al Carousel per ritirare la sua valigia, portandosi poi, dopo averla recuperata, verso l’uscita.

«Mark! Mark, tesoro!» Loren, fuori dal terminal, si stava sbracciando chiamandolo a gran voce. Non si aspettava che lo venisse a prendere, ne fu piacevolmente sorpreso.

«Ma tu che ci fai qui?!» le chiese, mentre lo chòfer si occupava del suo bagaglio e Loren lo abbracciava con discrezione, sfiorandogli le guance con un impalpabile bacio.

«Art mi ha avvertito del tuo arrivo ieri sera. Non volevo farti cenare da solo, lui come sempre ha un impegno.» Loren era ancora una donna bellissima. Aveva sposato il padre di Brian in seconde nozze, diventando, di fatto, la sua matrigna. Suo marito amava dire che la vita gli aveva dato due madri. Nancy gli aveva donato tutto il suo cuore, come solo una madre sa fare, Loren lo aveva viziato e coccolato, nella consapevolezza che quello, anche se non suo, sarebbe stato l’unico surrogato di figlio che avrebbe mai potuto avere, visto che Art, dopo essere diventato padre di Brian, si era sottoposto a vasectomia.

«Non dovevi disturbarti Loren.» le disse, prendendola sotto braccio.

«Ho prenotato alla “Aqua shard”, adoro mangiare lassù!» l’“Aqua shard” era ubicato nel grattacielo “The Shard”, soprannominato dai londinesi “torre di Mordor”, era un vero tuffo nei ricordi per entrambi. Ma, al contrario di come gli succedeva sempre con Nancy, con Loren era una cosa piacevole e per nulla angosciante.

«Ti lascio in Hotel. Fai una doccia veloce, ti aspetto nella hall insieme a un margarita.» gli disse, mentre sfrecciavano nel traffico londinese. Arrivato nella sua stanza, s’infilò sotto la doccia velocemente. Mentre si tamponava i capelli, prese in mano il telefono. I messaggi che aveva mandato a Ethan non erano ancora stati letti. Questa cosa iniziava ad infastidirlo, ma non aveva tempo ora, ci avrebbe pensato al ritorno a quel piccolo insolente. Dopo poco più di mezz’ora, raggiunse Loren e si avviarono al ristorante.

«Allora, Mark. Raccontami gli ultimi tre mesi.» Mark stava sorseggiando il suo calice di prosecco, sorrise.

«Nulla di nuovo.» Loren conosceva ogni sfumatura dell’uomo che aveva rubato il cuore al suo Brian, e quel sorriso, ne era certa, nascondeva qualcosa.

«Gioia, come si chiama “nulla di nuovo”?» Mark scoppiò a ridere, impossibile resisterle.

«Ethan.» capitolò senza rimpianti. Loren inclinò il capo, sorridendo maliziosa, per poi svuotare il suo bicchiere di vino, prontamente riempito dal cameriere a loro assegnato.

«Ethan… un bellissimo nome. Devo strapparti il resto con le pinze, oppure pensi di dirmi qualcosa di più?» per una frazione di secondo, quell’atmosfera così intima, fece sentire a Mark la presenza di Bri. Lo immaginava appoggiare le posate per dargli tutta la sua attenzione, chiuse gli occhi cercando di trattenere quella sensazione fugace.

«Loren, non saprei cosa dirti. È un ragazzo bellissimo, più giovane di me, è un veterinario, ha strani hobby e… mi fa impazzire. Ma tra noi non c’è ancora un vero rapporto…» Loren lo ascoltava, era musica per le sue orecchie. Avevano pianto, parlato per ore, e pianto ancora. Avevano ricordato, si erano distrutti e risollevati insieme per poi trovare quella sorta di pace, ma, mentre lei aveva anche Art, sapere che Mark non cercava neppure di ricostruirsi una vita, la rendeva triste.

«Quindi, ricapitoliamo, è un figo pazzesco, un bravo ragazzo e scopa da Dio.» la coppia seduta al tavolo a fianco smise di parlare e li guardò scandalizzata.

«Se ci fosse Bri ti avrebbe messo il muso per il resto della serata!» le rispose sorridendo, indicando con lo sguardo la coppia che ora spettegolava su di loro.

«Se ci fosse Bri ti direbbe di buttarti, credo che sia ora no?» sì, aveva ragione Loren, lui gli avrebbe detto di buttarsi.

«Art è molto contento di come vanno le cose alla filiale di New York, ma gli manchi. Vorrebbe averti qui più spesso. Sinceramente anche io lo vorrei.» anche a lui mancavano molto, da quando aveva rotto i ponti con la sua famiglia d’origine, lei e Art lo avevano accolto come un figlio. Anche quando Brian era morto, avevano continuato a comportarsi esattamente come prima.

«Più di una volta ho pensato di accettare la proposta di Art, e venire a lavorare a Londra ma, sento che mi mancherebbe qualcosa. E poi ora…» Loren si allungò sul tavolo, mettendo la mano sulla sua.

«Ora c’è il veterinario…» continuarono a chiacchierare del più e del meno, la serata fu a dir poco piacevole. Rientrato in Hotel non aveva per nulla sonno, anche se si sentiva davvero rilassato e in pace con sé stesso, Loren aveva sempre quest’effetto sulle persone, era spumeggiante. Si distese sul grande letto e prese in mano il telefono. Ethan aveva letto i messaggi, ma non aveva risposto a nessuno di essi. Fece un rapido calcolo, a New York era circa metà del pomeriggio, Ethan doveva essere al lavoro.

Mark - Ciao splendore. - dopo pochi minuti il messaggio fu letto, ma nessuna risposta.

Mark - Devo essere stato davvero la tua peggior scopata, visto che leggi e non rispondi…- il suo messaggio venne visualizzato subito, aveva la sua attenzione.

Mark -Non amo i monologhi Ethan, ma se non rispondi, potrei continuare per parecchio tempo, sono una persona molto persistente, quando voglio ottenere qualcosa. - lo avrebbe stanato, in un modo o nell’altro, lo avrebbe fatto reagire.

Mark -Allora, sei un veterinario, che ha appena aperto uno studio a Midtown e, per soldi? Per piacere? Balli mezzo nudo nei locali. Cos’altro sei? - provava ad immaginarsi l’espressione del viso di Ethan mentre leggeva i messaggi, se solo quelle domande avesse potuto fargliele mentre l’assaggiava!



Ethan aveva appena finito una visita di controllo a un piccolo cocker spaniel, che non ne voleva sapere di collaborare, quando il telefono ricominciò a vibrare. Scoppiò a ridere, quando lesse sulla notifica “hai un nuovo messaggio da baciamiilculo”. Davvero non lo capiva, voleva solo giocare con lui? Non era il momento giusto per incasinarsi la vita, lo sapeva ma…

Ethan - Sono uno che non scoperai più. - riappoggiò il telefono, certo che quella risposta secca lo avrebbe fatto desistere ma, pochi istanti dopo, il telefono vibrò di nuovo.

Mark -Chi ha parlato di scopare? - Ethan sogghignò, era proprio persistente.

Ethan -Sai come ti ho registrato nel telefono? - Mark provò a immaginare, ma proprio non gli venne in mente nulla.

Mark - No, ma sono certo che mi illuminerai. - Ethan si sedette, aveva ancora dieci minuti prima del successivo appuntamento.

Ethan -BACIAMIILCULO. - Mark scoppiò a ridere.

Mark – Mhmm, è un invito? - Ethan scosse la testa, quell’uomo era impossibile.

Ethan -No Mark, il mio culo è diventato inaccessibile per te. - Mark era certo non fosse la verità, doveva solo farsi perdonare, giusto un pochino.

Mark -Mi piaci. - il sorriso si spense sulle labbra di Ethan, questo non l’aveva previsto.

Ethan -Accidenti, per fortuna che ti piaccio, se non ti fossi piaciuto chissà cosa mi avresti fatto! - più quella chiacchierata andava avanti, più Ethan sentiva di esserci dentro fino al collo.

Mark -Torno venerdì, che cosa ne pensi di cenare insieme sabato? - Ethan si ricordò del suo appuntamento.

Ethan -No, ho un impegno. - gli rispose soddisfatto.

Mark -Allora domenica. - quel ragazzo non aveva idea di quanto potesse essere persistente Mark.

Ethan -Ok. Ma non a casa, fuori. - Mark sorrise soddisfatto.

Mark -Certo, è il primo appuntamento, non pretendo certo che tu me lo dia al primo appuntamento… ah, già, me l’hai già dato due volte…- la risposta di Mark gli fece spalancare la bocca, stava per mandarlo a quel paese, quando un lieve bussare alla porta lo distolse.

«Un momento, arrivo subito.» scrisse l’ultima risposta prima di andare ad aprire la porta.

Ethan - Alle 21. Accetto solo per poterti mandare a fanculo. - Mark rilasciò come risposta una serie di emoji che ridevano. Chiuse gli occhi e poco dopo si addormentò.



Gli uffici della sede erano ubicati al trentaduesimo piano della Broadgate Tower, Mark aveva appuntamento con Art alle undici, dopo una breve riunione lo avrebbe portato a mangiare qualcosa. Il suo segretario l’annunciò e, pochi minuti dopo, Art si affacciò per farlo entrare.

«Figliolo!» lo accolse andandogli incontro e abbracciandolo affettuosamente.

«Art, sei sempre più in forma!» ed era vero, a quasi settant’anni ne dimostrava almeno dieci di meno, Mark era convinto che fosse merito del lavoro, quello era un uomo che non sarebbe mai andato in pensione, viveva per il suo lavoro.

«Magari fosse così, in realtà gli anni iniziano a farsi sentire. Dovrei ritirarmi in Florida e lasciare tutto a te.» Mark sorrise alla sua battuta.

«Allora ho revisionato i dati trimestrali e hai di nuovo superato le mie aspettative! Perché non vieni a lavorare qui…» ci provava ogni sacrosanta volta.

«Sai qual è la mia risposta Art.» evitò di parlargli del nuovo motivo, di sicuro ci avrebbe pensato Loren.

«Ahh… lo so, lo so. Ma ora parliamo di affari. Ho un nuovo cliente da assegnarti. La sede è a Londra, ma di fatto la società opera a New York. Voglio che tu mi dia un parere, perché il mio istinto mi dice che c’è qualcosa di losco.» gli porse un fascicolo, Mark lo aprì e iniziò a leggere. Il nome della società era “Eastwood Quick ltd”, una società che si occupava di intrattenimento e che fatturava parecchio, per essere una società nata da un paio d’anni.

«Farò tutte le verifiche del caso e ti riferirò. Cosa ti hanno chiesto?» domandò, richiudendo il fascicolo.

«Mi hanno chiesto di revisionare completamente la contabilità e rendere la loro società il più possibile corretta, sia dal punto di vista contabile che legale. Si sono rivolti a noi perché la nostra certificazione è quella più prestigiosa. Ho la netta sensazione che questa società sia una copertura, non voglio legare il nostro nome a un cliente che potrebbe sporcare il nostro prestigio.» Mark capiva perfettamente la preoccupazione di Art.

«E se scopriamo di avere ragione?» non era affatto una domanda scontata, fare intervenire la polizia li avrebbe comunque esposti. Nessuno dei loro clienti avrebbe potuto dire di essere completamente “pulito”. Sapere che, chi gli teneva i conti aveva denunciato un cliente, avrebbe creato il panico. Inoltre si sarebbero esposti loro stessi a controlli che, avrebbero scoperchiato un vaso di pandora, che nessuno voleva di sicuro aprire.

«Non potremmo far finta di nulla… facciamo un passo alla volta, quando riusciremo a capire cosa c’è dietro, decideremo come muoverci, fino ad allora solo io e te dobbiamo essere a conoscenza di questa faccenda.» Mark approfittò del segretario di Art per farsi inviare l’intero fascicolo alla sua mail, una volta ritornato in sede se ne sarebbe occupato. Art gli aveva fissato parecchi appuntamenti, già a partire da quel pomeriggio. Alcuni nuovi clienti e altri che erano clienti da tempo e avevano la sede a Londra. Fece spostare gli appuntamenti del sabato mattina, infilandoli nella settimana, non voleva certo avere i postumi del viaggio, domenica.



«Avanti.» disse Ethan, dopo avere appoggiato il telefono sulla scrivania.

«Buongiorno…Jake.» scattò girando su sé stesso, pronto a difendersi.

«Spaventi Bibi, coglione!» il cagnolino che teneva al guinzaglio, sorpreso dal gesto repentino di Jake, si nascose dietro le gambe del “cliente”.

«Cristo! O’Reilly, stavo per spaccarti la mascella!» Loran O’Reilly, d’istinto si massaggiò la menzionata mascella sogghignando.

«Sapevi che sarei venuto direttamente per informarmi dei progressi… mi sembri un po’ teso.» disse, avvicinandosi a Jake.

«Solo un po’ stanco.» gli rispose Jake, spostandosi dietro la scrivania.

«Se vuoi ti aiuto a rilassarti.» gli disse, continuando ad avvicinarsi.

«Lascia perdere Loran, non credo che a “comesichiama” gli piacerebbe sapere che continui a provarci con me.» Loran si sedette di fronte alla scrivania.

«Peccato. Visto che non hai intenzione di svagarti con me, raccontami dei progressi dell’indagine.» Jake si sedette a sua volta.

«Vinnie è più furbo di quanto ci aspettassimo. Telefoni usa e getta, conti fantasma. Almeno finora non sono riuscito a cavare un ragno dal buco. Sabato ho il mio primo appuntamento, spero che questa volta i soldi abbiano una traccia che possiamo seguire.» Loran sghignazzò, Jake lo guardò alzando un sopracciglio.

«No…» Loran tossì e si schiarì la voce, prima di continuare «scusa è che pensavo alle foto che ho visto nel sito, stavo per prenotarti anch’io!» Jake si appoggiò allo schienale chiudendo gli occhi. Il suo capo era davvero un cretino, se non fosse che lo conosceva da più di dieci anni e sapeva che era il miglior agente della sezione, avrebbe già chiesto di essere trasferito.

«Se non fossi il mio capo ti manderei a fare in culo.» Loran gli sorrise.

«Scusa, non ho resistito. Fai attenzione Jake, al minimo sospetto che qualcuno ti possa avere riconosciuto, voglio che mi chiami e ti vengo a prendere ovunque ti trovi. Sono stato chiaro?» Jake si alzò, scrisse una finta ricetta e la porse a Loran.

«Sì mammina.» Loran prese la ricetta dalla mano di Jake, facendo scorrere lentamente le dita sul palmo della sua mano.

«Ho voglia di te, piccolo.» Jake abbassò lo sguardo.

«No. Non ci provare, è finita.» Loran sapeva che la risposta sarebbe stata quella, lo aveva tradito nel peggiore dei modi, e lo aveva perso. Ma non riusciva ad arrendersi.

«D’accordo, per ora… ricordati di trovare il tempo, la settimana prossima, per andare a sparare al poligono, hai già avuto un richiamo, non vorrei che il prossimo finisse sulla mia scrivania, sarei costretto a punirti...» quell’ultima frase l’aveva enunciata con un fare lascivo, che non lasciava dubbi su quanto gli sarebbe piaciuto farlo. Non l’aveva guardato negli occhi nemmeno un istante, i suoi sentimenti nei confronti di Loran erano ancora confusi, ma la ferita continuava a bruciare, soprattutto in quei momenti.

«Agli ordini capitano.» Loran scosse la testa e uscì dall’ambulatorio.



La settimana di Mark fu piuttosto impegnativa, con la differenza di fuso orario, non trovava mai il momento giusto per contattare Ethan, riusciva giusto a scrivergli qualcosa tra un appuntamento e l’altro, che lui leggeva a orari impossibili per riuscire a intavolare una conversazione che avesse un vero senso. Riuscì a prenotare un volo il venerdì alle 22, alle 19 calcolava di riuscire ad essere a casa.

Cercò di fare più confusione possibile per fare capire che era tornato, ma dall’altra parte del muro c’era un silenzio pressoché totale. Si buttò sotto la doccia e si mise a letto senza nemmeno mangiare, era esausto. Si svegliò tardissimo, la sua testa scoppiava, fece colazione con un analgesico e un caffè. Disfò le valigie e mise in ordine l’appartamento, sempre con un orecchio teso a carpire rumori che provenissero dall’appartamento a fianco. Rumori che iniziò a sentire nel tardo pomeriggio. Attese con pazienza di sentire aprirsi la porta di Ethan e, quando sentì il rumore inequivocabile, verso le venti di sera, aprì la sua e gli si parò di fronte.

«Ciao.» notò che Ethan era vestito in modo piuttosto elegante, era bellissimo e decisamente pronto per un’uscita che non poteva essere tra amici.

«Ciao. Sei tornato…» Mark si sentì come quando da piccolo lo beccavano con le mani dentro il barattolo del burro di noccioline.

«Stai uscendo?» il viso di Mark si era indurito, la sua mascella era serrata. Per Ethan era chiaro che fosse arrabbiato.

«Mi pare di avertelo detto che avevo un impegno.» Mark si avvicinò arrivando a pochi centimetri dal suo viso, poteva sentirne il respiro.

«Che tipo di impegno prevede presentarsi così scandalosamente belli?» il corpo di Ethan reagì alla sua voce, come aveva fatto anche le volte precedenti, quell’uomo sprigionava sesso anche quando non faceva nulla e, quando decideva di fare qualcosa, era irresistibile. Però non poteva assolutamente permettersi di “deludere” Vinnie, non poteva certo mandare all’aria tutto solo perché “baciamiilculo” aveva deciso di… neppure doveva pensarci o sarebbe impazzito. Lo scansò.

«Un impegno di lavoro. Mi piace essere sempre al meglio quando incontro un collega.» sapeva che gli stava mentendo, per Mark era chiaro che quello poteva essere tutto ma non un incontro di lavoro, gliel’avrebbe strappato da quella bocca a suo modo, la notte successiva.

«Spero che anche domani sera tu sia “al meglio”… per me.» gli rispose mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, distraendolo dalla sua vista.



Ethan arrivò di fronte al Tree Bistro con qualche minuto di anticipo, Vinnie gli aveva inviato una foto del suo cliente, lo vide scendere da un taxi e avvicinarsi all’entrata, cercandolo con lo sguardo. Ethan gli sorrise e Nathan gli andò in contro piuttosto imbarazzato.

«Buonasera.» gli disse il suo cliente abbassando lo sguardo.

«Buonasera Nathan!» gli rispose Ethan incuriosito, non si aspettava che un cliente di quel tipo di agenzia, avesse un atteggiamento così timido.

«Vogliamo entrare?» Nathan arrossì visibilmente. Era un uomo circa della sua stessa età, leggermente sovrappeso. Aveva bellissimi e fini lineamenti, nascosti da un paio di occhiali da vista assolutamente poco adatti a lui.

«S..sì.» gli rispose, facendosi precedere all’entrata. Il maître li accolse portandoli al tavolo prenotato. Si accomodarono e, dopo che ebbero ordinato e ricevuto gli aperitivi, l’atmosfera se possibile si fece ancora più tesa.

«Amber… volevo dirti che non ho mai fatto una cosa così…» gli disse Nathan, mentre si torturava le mani.

«Nathan, siamo qui per cenare e fare quattro chiacchiere, non devi preoccuparti, rilassati, sono qui per te.» o quell’uomo era la quintessenza della timidezza, oppure doveva avere qualche problema. Ethan s’incuriosì, anche debito alla sua laurea in psicologia, certi atteggiamenti, gli facevano venire una voglia irrefrenabile di capire cosa ci fosse sotto.

«Allora, dimmi qualcosa di te, Nathan.» Nathan sgranò gli occhi, come se gli avesse chiesto una cosa inaudita.

«Io… non c’è molto da dire, credimi.» Ethan cercò di sorridergli nel modo più amichevole che gli riuscì, per cercare di metterlo a proprio agio.

«Lascialo decidere a me… ti prego.» Nathan ingollò metà del suo aperitivo, probabilmente per darsi forza.

«Io sono il proprietario di un agenzia di pompe funebri.» Ethan si pestò un piede da solo per non scoppiare a ridere.

«Un mestiere che non conosce crisi…» Ethan avrebbe voluto fuggire fuori dal locale e piegarsi in due.

«Sai, quando esco con qualcuno, appena rivelo quale sia il mio mestiere, le reazioni sono due. Alcuni iniziano a fare battute, che proseguono per tutta la sera. Altri invece si chiudono nel silenzio più totale. Per questo ho smesso di uscire.» ecco svelato il problema, pensò Ethan, lieto di essere riuscito a non scoppiare a ridere.

«Io penso che il tuo sia un mestiere come un altro. Anzi, pensandoci bene, il tuo è un mestiere che richiede sensibilità e dedizione, almeno questo credo.» negli occhi di Nathan si accese una luce diversa, Ethan capì di avere toccato il tasto giusto.

«Allora secondo te perché gli altri non lo capiscono?!» furono interrotti dal cameriere che venne a prendere le ordinazioni, cosa che permise a Ethan di elaborare una risposta convincente.

«Vedi Nathan, sicuramenti gli uomini con cui sei uscito fino ad ora non erano alla tua altezza. Devi solo incontrare la persona giusta, che non si fermi all’apparenza.» il cameriere portò un’entrée di Escargots a la Bourguignonne.

«E tu Amber hai mai incontrato la persona giusta?» quella domanda così semplice e così inaspettata, fece sobbalzare il cuore di Ethan, vivido nella sua mente apparve il volto di Mark.

«Siamo qui per parlare di te…» Nathan masticò lentamente il suo boccone.

«Già, scusa, per te questo è un lavoro e…» Ethan scosse la testa.

«No Nathan, scusa, probabilmente hai toccato un tasto dolente. Non volevo essere scortese o mettere della distanza. Non lo so se è la persona giusta, so che non ho mai provato quello che provo per questa persona…» e finalmente vide Nathan sorridere. Infatti si sciolse e parlò tutta la sera dei suoi problemi, della sua vita. Alla fine della serata, Ethan si chiese per quale motivo un ragazzo così non avesse ancora trovato qualcuno che l’apprezzasse. Uscirono dal locale che era quasi mezzanotte.

«Allora Nathan ti va di fare qualcos’altro?» Nathan scoppiò a ridere.

«Nathan?» scosse la testa continuando a ridere.

«No, scusa, davvero scusa, è che… prima di uscire pensavo a come sarebbe stato il dopo cena, mentre ora troverei ridicolo rotolarmi tra le lenzuola con te… non fraintendermi, sei un uomo bellissimo ma…» Ethan scoppiò a ridere insieme a lui.

«Sei fantastico, dico sul serio!» Nathan fermò un taxi.

«Grazie Amber, sono stato bene, davvero bene. Non so se ripeterò l’esperienza, ma non ne sono pentito.» Ethan gli sorrise.

«Nathan, sono io che ringrazio te, sei meglio di qualsiasi antidepressivo, e chi non lo capisce non vale la pena, credimi. Ti auguro il meglio.» Nathan di slancio lo baciò a fior di labbra e, arrossendo s’infilò nel taxi, sparendo nella notte newyorkese. Ethan decise di prendere la metro e fare quattro passi. Aveva bisogno di respirare un po’di aria. Erano anni che non riusciva a rilassarsi così, e mai avrebbe creduto che succedesse durante un incontro a pagamento. Non aveva mai il tempo per uscire con gli amici, anche perché non ne aveva. Quando suo padre era sparito, abbandonando lui e sua madre, aveva poco più di dodici anni. Da quel momento si era prodigato per non pesare sulle spalle di sua madre che, per sbarcare il lunario, faceva fino a tre lavori. Aveva studiato duramente e, nel tempo libero, cercava piccoli lavoretti con cui aiutarla a sbarcare il lunario. Con una borsa di studio era riuscito a laurearsi alla Cornell University College, in psicologia criminale, per poi proseguire gli studi alla New York City Police Academy, dove era stato reclutato da Loran O'Reilly, finendo per diventare un agente della CIA. Fino a quel momento aveva avuto solo piccoli flirt, storie senza importanza. Loran era entrato nella sua vita come un uragano, non solo era diventato il suo mentore, ma anche il suo amante e forse, il surrogato del padre che non aveva mai avuto. Era stato facile per Loran fargli perdere la testa, era più grande di lui, aveva esperienza, potere. A Loran mancava soltanto una cosa, la voglia di impegnarsi seriamente. Purtroppo lui non l’aveva capito subito, prima ci aveva lasciato il cuore. Aveva trovato la forza di rompere con lui quando era entrato sotto copertura in questa missione, non riuscendo a perdonargli l’ennesima “distrazione” che, per altro, si era svolta sotto i suoi occhi. Quando se l’era trovato di fronte, in ambulatorio, per un attimo aveva pensato a quanto sarebbe stato bello baciarlo. Ma, come prima, a cena, davanti ai suoi occhi era comparso Mark e, all’improvviso, baciare Loran non gli era sembrata la cosa migliore da fare. Possibile che Mark gli fosse entrato sotto la pelle in così poco tempo? E perché gli aveva chiesto di uscire, era davvero interessato a lui? Se fosse stato vero era nei problemi, iniziare una relazione non potendo essere sé stessi fino in fondo, anzi, dicendo un sacco di bugie, non era il modo migliore di partire. Ma non poteva svelare la sua identità, almeno fino a che l’indagine non fosse stata chiusa. Si sentiva graziato da quella serata, sapeva che era stato fortunato, spesso i clienti che richiedono i servizi di accompagnatore pretendono un dopo cena. Invece aveva trovato sulla sua strada una persona magnifica. Inseguendo i suoi pensieri si ritrovò davanti alla scala che portava alla porta del suo palazzo. Guardò verso l’alto, le luci dell’appartamento di Mark erano spente, almeno da quel lato. Sorrise, pensando a come sarebbe stato bello entrare in una casa dove ci fosse stato qualcuno ad aspettarlo e, se quel qualcuno fosse stato Mark, sarebbe stato fantastico.



Mark si svegliò presto quella domenica mattina, aveva sentito rientrare Ethan verso l’una. Si era ripromesso di non apparirgli nuovamente davanti, dandogli il beneficio del dubbio. Non si riconosceva nella parte del geloso, eppure, come già era accaduto quando l’aveva visto sculettare nel locale, vederlo vestito così elegante per uscire ad incontrare chissà chi, lo aveva reso furioso. S’infilò le cuffie e accese l’i-pod, stendendosi sul grande divano. Quella sera voleva stupire il suo bel veterinario, si mise a pensare a qualcosa di romantico da fare insieme a lui. Improvvisamente gli venne in mente che Ethan lo aveva elogiato per come sapeva cucinare. Prese il telefono e compose il numero di “Sur la table”, lo aveva in rubrica, perché qualche mese prima aveva fatto una consulenza ai soci del locale, decise che era venuto il momento di approfittarne.

«Buongiorno, sono Mark Cook, potrei parlare con il signor Brown?» dopo qualche istante Brown rispose.

«Salve signor Cook!» Mark fu lieto che si ricordasse di lui.

«Salve, so che è davvero tardi, ma mi chiedevo… non è che avrebbe posto per un corso di cucina creativa per questa sera per due?» sentì il rumore dei tasti schiacciati sulla tastiera.

«Mi lasci un attimo per verificare.» Mark incrociò le dita, aveva avuto l’idea del secolo, gli sarebbe davvero dispiaciuto che fosse andato tutto all’aria solo perché gli era venuta all’ultimo minuto.

«Lei è super fortunato, questa mattina ho avuto una defezione, la prenoto per le venti. È doppiamente fortunato perché questa sera sarete solo in quattro coppie. Chef Hom, non ne accetta di più. Spero vi divertirete.» questa era l’intenzione. Mandò subito un messaggio a Ethan.

MARK – Hey. - rimase in attesa, visto che quasi subito si accesero le due spunte blu.

ETHAN – Avrei un nome… - Mark sorrise.

MARK – Hey, “avrei un nome”, ricordi il nostro appuntamento di stasera, oppure devo venire di là a rinfrescarti la memoria? – Ethan si era appena svegliato, era tardi e avrebbe dovuto essere già in piedi da tempo, ma decise di rimanere a crogiolarsi tra le lenzuola ancora per un po’.

ETHAN – Oh, no! Ricordo benissimo! Non potrei mai perdermi l’occasione per mandarti a quel paese. – chissà per quale motivo a Mark venne in mente il suo culo, così caldo e stretto.

MARK – Ti dispiacerebbe farti trovare pronto per le 19,30? Lo so che è un po’ presto, ma ho prenotato in un posto un po’ particolare. – immaginava che se gliel’avesse svelato forse Ethan se la sarebbe data a gambe, perciò decise di rimanere sul vago.

ETHAN – Non è un problema, ma non sono abituato a mangiare così presto. Forse quando avrò la tua età… - Mark non voleva raccogliere quella provocazione infantile, ma le parole, quando si trattava di Ethan godevano di vita propria.

MARK – Spero che ti rimanga tempo a sufficienza per prepararti, sai, la ceretta…- Ethan spalancò la bocca, davvero stava parlando di lui come se fosse un’insulsa donnetta, che non aspettava altro che infilarsi in un letto con lui?

ETHAN – Senti, baciamilculo, ieri non ho fatto la ceretta eppure sono andato alla grande. – Ethan si pentì immediatamente di avere risposto con la prima cosa che gli era passata per la mente. Di certo, quello non era il modo migliore per fargli capire chi fosse, anzi, quello era il modo migliore per far sì che potesse pensare male di lui. Infatti, il messaggio, che lesse immediatamente, non ebbe risposta per cinque interminabili minuti.

MARK – Hai scopato ieri sera? – appena aveva letto la risposta, aveva appoggiato il telefono ed era andato in cucina a bere un bicchiere d’acqua, sperando di riuscire a sciogliere il nodo alla gola che si era formato nel leggere.

ETHAN – Non vedo per quale motivo debba rendere conto a te su cosa io abbia, o non abbia, fatto ieri notte. – Ethan continuò a maledirsi per come stava rispondendo, Mark gli stava aprendo una porta e lui non faceva altro che continuare a prenderla a calci.

MARK – Non è difficile Ethan, la risposta può essere sì o no. E, vedi, il punto non è se devi rendermi conto o meno di questo ma, se vuoi o non vuoi darci una possibilità. – Mark aveva già deciso, vero o no che fosse, se gli avesse detto di avere scopato con qualcun altro, avrebbe fatto saltare tutto. Era pronto a rimettersi in gioco, fare un salto nel buio con quel ragazzo che era un enigma per lui, ma non l’avrebbe condiviso con nessun’altro.

ETHAN – No. Abbiamo solo cenato. E non so se voglio dare una possibilità a noi due. – quella era tutta la verità. Non sapeva come gestire la cosa, per lui era davvero la sua “prima volta”, Loran non poteva certo considerarlo come un ex fidanzato.

MARK – Ci vediamo alle diciannove e trenta sul pianerottolo. E, per la cronaca, quello che hai risposto ci ha appena dato una possibilità. – il sollievo di quelle parole rese Mark euforico e spaventato, rendendosi conto, sempre di più, quanto volesse per sé quel ragazzo. Conosceva bene cosa significasse impegnarsi con qualcuno e, dopo la morte di Brian, aveva evitato come la peste di ripetere l’esperienza. Non certo perché con Bri le cose fossero mai state difficili, anzi, era stato un rapporto perfetto, un’intesa magnifica, dentro e fuori le lenzuola. Quello che lo impauriva, era la consapevolezza che Ethan non era, né sarebbe mai stato Brian e lui, non sapeva se era pronto.

Il tempo sembrava non passare mai in quel pomeriggio freddo, aveva cercato di occuparsi in ogni modo possibile, per farlo passare più in fretta, con scarsi risultati. Saperlo poi a pochi metri da lui, non aiutava per nulla. Si sentì un po’ stupido, quando arrivò il momento di prepararsi, rischiando di ritardare perché non riusciva a trovare un outfit che lo soddisfacesse. Alla fine decise per un paio di jeans neri, un maglione grigio infilato sopra una semplice t-shirt, una giacca imbottita nera e una grande sciarpa, anch’essa nera. Si guardò allo specchio trovandosi irresistibile.



Ethan aveva avuto una giornata infernale. Vinnie aveva effettuato il bonifico quella mattina, inviandogli un messaggio che diceva “Visto che è il tuo secondo lavoro, e che i bonifici vengono fatti una volta alla settimana, solo per questa volta, ti ho inserito.” L’aveva atteso con ansia e, nel primo pomeriggio era arrivato sul suo conto. Questa volta era stato più fortunato, il conto da cui era stato effettuato, era un conto su cui c’erano tracce di altre operazioni. Una in particolare aveva attirato la sua attenzione. Il beneficiario del bonifico non era uno dei ragazzi della scuderia. Aveva seguito quel bonifico che l’aveva portato finalmente a un nome; Samuel Greco. Ma lì si era dovuto fermare, non era riuscito a trovare nessun Samuel Greco, nessuna patente, nessun verbale di polizia, nessun pagamento delle tasse, praticamente un fantasma. Guardò l’ora, erano le diciotto e trentanove, saltò sulla sedia. Doveva ancora fare la doccia e prepararsi, rischiava di far arrabbiare il troglodita. Chiuse il computer e si precipitò in bagno. Davanti all’armadio resistette alla voglia di infilarsi una tuta, cosa che, ne era certo, avrebbe fatto infuriare Mark come un toro. Ma neppure voleva essere elegante come la sera precedente. Un paio di jeans neri, che per altro gli facevano un culo da stupro, maglietta e maglione dello stesso colore, giacca in pelle e stivali, decisamente un look aggressivo. Attese di sentire chiudere la porta del suo vicino per uscire, non voleva certo essere il primo! Uscì dopo qualche minuto, chiuse la porta e quando si voltò verso Mark, gli mancò il respiro, sembrava un modello appena uscito da una sessione fotografica. I capelli castani gli incorniciavano il viso spettinati ad arte, la barba di qualche giorno perfettamente curata, lasciava ben vedere le due labbra carnose e i suoi occhi… Dio che occhi aveva!

«Quasi puntuale!» Ethan si riprese dalla visione e si avvicinò a lui, cercando di riprendere il controllo.

«Andiamo?» gli disse Mark aprendo la porta dell’ascensore per lasciargli il passaggio.

Erano entrambi tesi, Ethan per paura di stare fraintendendo tutto, Mark per avere intrapreso nuovamente una strada in salita. Il taxi li tolse dall’impaccio, portandoli a destinazione in breve tempo.

«”Sur la Table”… cos’è?» erano scesi dal taxi e si trovavano di fronte all’entrata del locale.

«Ora lo vedrai, vieni…» la semplicità con cui lo prese per mano lo sorprese e lo emozionò, più che se lo avesse inchiodato in un angolo per infilargli la lingua in bocca. La signorina all’entrata prese le loro giacche e li fornì di un grembiule, portandoli all’interno di una grande cucina dove già altre coppie sedevano su di alcuni sgabelli, di fronte a un grande tavolo da lavoro in acciaio.

«Mi spieghi che cosa ci siamo venuti a fare qui?!» Ethan stava iniziando a spazientirsi. Mark prese il suo grembiule e glielo infilò, portandosi alle sue spalle per allacciarlo in vita.

«Adoro quella piccola ruga che si forma sulla tua fronte quando ti arrabbi. Ti ho già detto che sei bellissimo?» gli aveva fatto scivolare addosso quelle frasi mentre si trovava alle sue spalle, ricordandogli l’ultima notte che avevano passato insieme, con lo stesso tono roco e sensuale che lo faceva impazzire.

«Non mi rabbonirai facendomi dei complimenti!» in quel momento entrò chef Hom.

«Buonasera, le mie quattro coppie di aspiranti chef sono puntuali e questo mi mette già di buon umore!» in quel momento Ethan capì e, voltandosi verso Mark a bocca aperta, gli provocò una risata.

«Questa sera il menù prevede i seguenti piatti: come entrée Wakame, seguiti da noodles con verdure saltate e pollo, Sushi e infine Wagashi. Assegnerei i piatti a seconda della vostra esperienza.» Mark alzò la mano per attirare l’attenzione dello chef.

«Prego signor Cook.» gli disse il cuoco, leggendo il suo nome sulla targhetta posta nella parte alta del grembiule.

«Sensei, se lei è d’accordo, avendo già partecipato ad alcune sue lezioni, vorrei occuparmi, insieme al signor Johnson, dei noodles.» lo chef sorrise a Mark e diede il suo assenso, mentre Ethan guardava ora uno ora l’altro, sempre più preoccupato. Lo chef consegnò poi a ogni coppia la lista degli ingredienti, e si soffermò con ognuno di loro per spiegare l’esecuzione del piatto.

«Io metto gli ingredienti e tu li mescoli?» Ethan assentì bofonchiando.

«Ti farò fare una figura pessima, lo sai vero?» gli disse Ethan, disperato.

«Sono sicuro di no, devi solo lasciarti andare, io lo sto facendo…» Ethan si chiese se fosse lui, o se ogni volta che quell’uomo parlava, dentro a ciò che diceva, ci fosse sempre qualche sottinteso. Mark iniziò a pesare le farine, aggiunse il bicarbonato, il sale e l’acqua, all’interno di una grande ciotola. Ethan iniziò a mescolarli, mentre Mark si occupava di lavare le verdure. Quando Ethan vide che, malgrado stesse continuando a mescolare, tutto sembrava tranne che una pasta compatta, si fermò.

«Che succede?» Ethan guardava la ciotola con angoscia. Mark si avvicinò.

«Vedi, te lo avevo detto… un disastro.» Mark si portò alle sue spalle. Gli prese le mani e gliele infilò dentro la ciotola, mostrandogli come si dovevano usare per impastare.

«Nessun disastro, devi solo continuare con le mani, vedi? Così...» nulla era mai stato così sensuale come le mani di Mark sulle sue, dentro a quella pasta bianca. Ethan trattenne il respiro, fino a che Mark non si spostò. Lo aveva eccitato a tal punto, che temette di doversi assentare un attimo per andare ad alleviare quel tormento.

«Quando hai finito, mettila a riposare nel sacco di plastica che hai davanti a te.» nei minuti successivi, era talmente impegnato che, quando si rese conto di esserci riuscito, non si accorse di stare sorridendo come uno scemo. La preparazione dei noodles andò avanti quasi senza intoppi, lo chef si fermava di tanto in tanto per verificare il lavoro e svelare qualche segreto. Alla fine, si sedettero per mangiare i piatti che loro, e le altre tre coppie, avevano preparato.

«Allora, ti è piaciuta la sorpresa?» gli chiese Mark, mentre Ethan mangiava con gusto i loro noodles.

«Dopo i primi momenti di puro terrore, direi di sì. Questi noodles sono strepitosi!» Mark sorseggiò il vino, gustandosi la visione delle sue fossette.

«Li abbiamo fatti noi, per questo sono così buoni.» ammiccò Mark. Ethan si fermò e lo guardò stringendo gli occhi.

«Mark, cosa vuoi da me…» Mark sorrise sornione, appoggiandosi sul tavolo per avvicinarsi a lui.

«Intendi dire a parte il tuo culo?» Ethan lo imitò, avvicinandosi a sua volta, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.

«Sono confuso, credevo che tu fossi quello da una botta e via. Ma ce n’è stata una seconda e ora questo… ultima possibilità: cosa vuoi da me…» Mark si sporse ancora qualche centimetro, le loro labbra avrebbero potuto toccarsi, se solo avessero voluto.

«Mi piaci, questo te l’ho già detto. Vorrei scoprire fino a che punto, se tu me lo permetterai.» con un dito gli tolse una goccia di sugo dalle labbra, che si portò alla bocca succhiandole, provocando a Ethan una scarica elettrica lungo la spina dorsale.

«Mark, la mia vita è davvero complicata e tu…» Mark lo interruppe, rimettendosi seduto.

«No, queste sono scuse. Le cose sono più semplici, te l’ho già detto. Un po’ come i noodles, non sapevi come farli, eppure, l’hai detto tu stesso, i migliori che tu abbia mai mangiato!» continuarono a consumare la cena senza più toccare l’argomento, godendo semplicemente della compagnia l’uno dell’altro. Le parole di Mark continuavano a girargli nella testa, tanto che si convinse che poteva funzionare, gli avrebbe svelato tutto conclusa la missione e lui avrebbe capito, doveva capire. Finita la cena uscirono dal locale per andare a cercare un taxi, era davvero freddo quella notte. Per fortuna riuscirono a fermarlo pochi minuti dopo.

«Stai tremando!» Mark gli prese le mani per scaldargliele.

«Forse dovevo vestirmi più pesante.» Mark avvicinò le sue mani alla bocca alitandovi sopra, ma questo fece sì che Ethan tremasse di più e questo non gli sfuggì. Si avvicinò al suo orecchio.

«Mi permetterai di scaldarti, quando arriveremo a casa?» Ethan si girò, trovandosi le sue labbra vicinissime.

«Non ho mai permesso a nessuno di scaldarmi, davvero pensi di riuscirci?» Mark sorrise e gli sfiorò le labbra.

«Sono pronto a scommetterci.» senza lasciargli le mani, arrivarono a casa e scesero dal taxi. Appena le porte dell’ascensore si chiusero, Mark disse solo una cosa.

«Questa notte dormiamo insieme.» e non era una richiesta.

«Ma non eri sempre tu quello che…» non riuscì a terminare la frase, Mark gli catturò le labbra, infilandogli la lingua intrecciandola con la sua. Il suo cuore sembrava impazzito. Lo spinse contro la parete dell’ascensore e, lentamente, gli aprì la zip della giacca, infilando le braccia sotto, per stringerlo meglio a sé, godendo della risposta pronta di Ethan, che gli aveva catturato la nuca con la mano. Le porte dell’ascensore si aprirono, Ethan si perse per un lungo istante nel mare profondo dei suoi occhi, resi più scuri dalle pupille dilatate dall’eccitazione.

«Da te?» Mark si avvicinò al suo orecchio, succhiando il lobo.

«Non mi interessa dove, ma ti voglio subito.» Ethan si lasciò sfuggire un rantolo di piacere. Mark si staccò da lui per aprire la porta di casa. Lo seguì e, appena richiuse la porta alle sue spalle, Mark ricominciò a baciarlo con foga, mentre lo guidava dentro la sua camera. Gli indumenti di entrambi, ad uno ad uno, volarono per la stanza e presto, si ritrovarono con solo l’intimo addosso. Le loro labbra si staccavano solo per dare ad entrambi un istante per riprendere fiato, per poi ricominciare ad assaggiarsi in ogni modo possibile.

«Stenditi.» il cuore di Ethan sembrava stesse per esplodergli in petto, era completamente diverso dalle volte precedenti, il suo sguardo, la sua voce, persino il suo modo di baciarlo. Si sentiva al centro dell’universo. Mark prese il lubrificante e i condom dal comodino e li gettò sul letto.

«Non sono un po’ troppi?» scherzò Ethan, per spezzare quella tensione infinita.

«Sono sette…» gli disse, arrampicandosi felino sul letto per raggiungere le sue labbra.

«Sette, sono le notti che ho passato pensando a questa…» Ethan sentì le sue guance prendere fuoco, davvero lo stava desiderando così tanto?

«E io…» continuò sovrastandolo, mentre congiungeva i due sessi ancora avvolti nella stoffa sottile dei boxer.

«Questa notte, ti farò vivere le sensazioni che ho provato, ogni volta che ho desiderato che fossi di nuovo mio. Basta parlare.» gli infilò la lingua in bocca, mischiando i loro sapori, mentre strusciava potente il suo sesso contro quello dell’amante, sempre più in fretta. Sì fermò e, lentamente, disegnò sul corpo di Ethan, con la sua lingua, la strada che, dai suoi capezzoli turgidi, lo avrebbe portato, passando dal suo ombelico, al suo sesso durissimo. Scese dal letto e gli tolse i boxer.

«Allarga le gambe.» Ethan sentì una scossa percorrergli la schiena, quell’esposizione di sé lo fece eccitare ancora di più, facendogli uscire le prime gocce di seme. Mark risalì sul letto e, mordendo l’interno delle sue cosce, giunse fino al suo inguine. Attese che lo sguardo di Ethan fosse su di sé, e lo leccò dai testicoli fin sopra la punta del glande, che succhiò, facendo uno schiocco osceno.

«Oddio Mark!» soddisfatto della risposta del suo compagno, ripeté l’operazione per poi prenderlo completamente in bocca. Ethan sentì con chiarezza il suo grande andare a sbattere contro la parete della gola di Mark, sapeva che non sarebbe riuscito a trattenersi ancora per molto. Mark si fermò un attimo per prendere il lubrificante. Ne mise un po’ sulle dita, per poi tornare a succhiarlo e leccarlo con foga, mentre con un dito massaggiava la stretta apertura pulsante. Lentamente infilò il dito provocando a Ethan uno spasmo. Ethan si spinse sul dito di Mark, impazzito per l’eccitazione, e Mark lo accontentò uscendo e infilandone un altro.

«Sei ancora più bello quando perdi il controllo.» gli disse, infilando poi il terzo dito, mentre lo riprendeva completamente in bocca.

«Mark! Mark!» Mark arricciò le dita al suo interno e Ethan gli riempì la bocca con il suo seme urlando il suo nome. Mentre Ethan cercava di recuperare il fiato, Mark si tolse i boxer e s’infilò velocemente il preservativo. Si sistemò in mezzo alle gambe di Ethan e lo penetrò lentamente, stendendosi su di lui per catturargli le labbra. Ethan non ebbe il tempo per riprendersi, sentirsi riempire in quel modo, lo fece eccitare di nuovo. Mark si sollevò sui bicipiti e uscì quasi completamente da lui, per poi rientrare con potenza, facendo mugolare Ethan come un gattino. Uscì completamente, girando l’amante supino. Lo prese per i fianchi sollevandolo. Ethan si sentiva un burattino nelle sue mani, aveva perso completamente il controllo, gli avrebbe permesso qualsiasi cosa purché continuasse a sentirlo dentro di sé. Lo riempì di nuovo con foga, abbassandogli la schiena e pompando dentro di lui fino a farlo esplodere in un orgasmo appagante. Uscì da lui e, sfilandosi il preservativo, gli riempì la schiena con il suo sperma. Appoggiò il suo sesso in mezzo alle natiche di Ethan, prendendo aria nei polmoni, accarezzando dolcemente le natiche bianche e sode. Lo lasciò andare, stendendosi al suo fianco, mentre lui crollava disteso. I loro sguardi, illanguiditi dall’orgasmo, si esplorarono a lungo. Mark si avvicinò, baciandolo con dolcezza, accarezzando i suoi capelli castano dorati.

«Stupendo…è stato stupendo.» Ethan gli restituì il bacio, facendogli vedere le fossette che adorava.

«Sì, lo è stato… ma ora devi pulire il disastro che hai combinato sulla mia schiena!» Mark sorrise sornione.

«Sai perché ho goduto sulla tua schiena?» Ethan lo guardò corrucciando le sopracciglia.

«Perché sarai costretto a venire a fare la doccia insieme a me.» lo trascinò in doccia, dove ricominciarono da capo. Non usarono tutti e sette i condom, li finirono appena svegli. Fu una notte perfetta, la loro vera prima notte insieme. La prima notte dove fecero l’amore.



Copyright © 2020 Veronica Reburn 

Tutti i diritti riservati 



Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

2 commenti:

  1. Diventa sempre più interessante!! Anche se ovviamente prevedo guai a nn finire con tutte le bugie. Il personaggio di mark è davvero stupendo, a tutto tondo. Su Ethan ho qualche riserva ma aspetto l’evoluzione della storia.

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