Another
Door
Primo
capitolo
Guardò
a lato, Ethan stava riprendendo fiato, era proprio un bel bocconcino! Quel suo
sguardo sfrontato, nel post coito si era addolcito, gli occhi color ambra erano
così espressivi, e quelle labbra succose e morbide, se fosse stato “un altro
lui”, forse non sarebbe rimasta solo una scopata. Si alzò, si sfilò di dosso il
preservativo gettandolo nel cestino. S’infilò i boxer e, con poca gentilezza,
gettò lo stesso indumento, a fianco del suo amante.
«Non
preoccuparti, sto solo riprendendo fiato, non era mia intenzione fermarmi.»
Ethan prese il pacchetto di fazzolettini che faceva bella mostra sulla mensola,
a fianco del grande letto matrimoniale, e che fungeva anche da comodino. Di
sfuggita, guardò la foto di Mark con il marito, che faceva bella mostra di sé
al suo fianco.
«Era
davvero un bellissimo ragazzo tuo marito.» commentò, mentre finiva di pulire il
suo ventre dal suo stesso sperma.
«Lo
era eccome! Non scherzavo prima, bella scopata, ma finisce qui.» Ethan scosse
il capo, mentre si allacciava i pantaloni.
«Non
temere, neppure il sottoscritto è interessato a ripetere.» s’infilò le scarpe e
si avvicinò a Mark.
«Ma
non c’era bisogno di rimarcarlo…» gli diede un bacio sulla guancia e uscì
dall’appartamento.
“Fastidioso”,
quel ragazzo aveva qualcosa che riusciva ad irritarlo.
Non solo aveva scopato come
non faceva dal giorno in cui Brian l’aveva lasciato, ma a aveva anche dormito
come un ghiro, e questo, senza dover usufruire delle pastiglie magiche, che il
suo medico aveva iniziato a prescrivergli, il giorno stesso della sua morte, e
che lui, non aveva mancato di prendere ogni sera. Fece persino fatica a sentire
la sveglia quando suonò! Si alzò, realizzando di avere appetito. Si coccolò con
una lunga e sostanziosa colazione, fatta di croissant caldo, rigorosamente
salato, e cappuccino all’italiana. Indossò un paio di jeans imbottiti e, sopra
la camicia, un maglione nero con il collo alto, le previsioni del tempo avevano
avvertito che le temperature sarebbero state molto rigide, non voleva certo
farsi cogliere impreparato. Doveva andare a trovare Brian, odiava farlo, Brian
non era lì, Brian era altrove, di sicuro non lì. Ma il pensiero di suo marito
era diverso, aveva espresso la sua opinione in merito più di una volta, aveva
le idee chiare su tutto, anche su quello che avrebbe voluto una volta morto, e
Mark aveva fatto di tutto perché venissero rispettate, a partire dalla sua
richiesta di essere seppellito al Saint John's Cemetery. “Quando morirò voglio
essere seppellito al Saint John's Cemetery. Non un qualsiasi cimitero del
cazzo, voglio lo stesso cimitero in cui riposano John Gotti, Carlo Gambino,
Vito Genovese e c., e soprattutto, voglio che sulla mia tomba ci siano più
fiori che in tutte le altre!”.
E
Mark l’aveva accontentato, aveva addirittura fatto costruire quella che sarebbe
diventata la tomba di famiglia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non vederlo
seppellito sotto 7 metri di terra, quello non gliel’avrebbe mai concesso. Così
ora, come ogni anno, al suo compleanno e nell’anniversario della sua dipartita,
si ritrovava a far visita alla sua tomba, per parlare a quella lastra di marmo
freddo, dietro la quale si trovavano i poveri resti di quello che era stato la
sua ragione di vita per diciotto anni. Il taxi che aveva prenotato fu
stranamente puntualissimo; alle nove e trenta si stava già incamminando lungo
il verde vialetto, che lo avrebbe fatto arrivare a destinazione, con un mazzo
di rose rosso cremisi e bianco latte, gli stessi colori che aveva scelto Brian
per addobbare la sala, nella quale avevano festeggiato la loro unione. I colori
di Brian. Estrasse dalla tasca del cappotto la chiave che apriva la porta del
loro piccolo mausoleo. L’odore di fiori freschi gli invase le narici, sapeva
che sia Nancy che Rose erano passate il giorno prima. Come sempre avevano
esagerato, un grande cuscino di rose, era stato appoggiato alla parete di
fronte, e due mazzi di iris e calle, erano stati infilati nei vasi sotto la bianca
lastra che ricopriva il freddo cunicolo in cui riposava, non avevano lasciato
nessun posto per il suo “misero” mazzo di ventiquattro rose.
Da
quando Brian era morto, aveva visto raramente Nancy e Rose; Nancy, la madre di
Brian, ormai era anziana e, le poche volte che era andato a trovarla, aveva
passato quasi tutto il tempo a piangere; Nancy invece, la sorella, più giovane
di Brian, era andata a vivere nel Montana, raramente tornava a New York,
avrebbe dovuto chiamarla più spesso, ma anche con lei, i discorsi finivano
sempre nello stesso modo, e questo non faceva bene a nessuno dei due.
«Visto
che l’iris, non era precisamente il tuo fiore preferito, non me ne vorrai Bri,
se lo sostituisco con il mio.» così dicendo, spostò il mazzo in un angolo,
infilando il suo, proprio nel porta fiori a lato della foto, poi si sedette,
guardandola per lunghi minuti, completamente in silenzio.
«Ieri
sera ho avuto un ospite, che si è mangiato la parte della cena che ti spettava
per il tuo compleanno. È stato strano, ma piacevole. In particolare
l’inaspettato dopo cena. È successa una cosa strana Bri… per la prima volta ho
scopato qualcuno, senza pensarti neppure una volta… e ho dormito. Non succedeva
più dalla notte in cui mi hai lasciato. Forse dovrei ricominciare ad uscire con
gli amici. Bri, che devo fare? Perché non riesco ad andare avanti? Dio, mi
manchi ancora come quella notte!» già, quella notte… ricordava perfettamente
ogni singolo particolare, di “quella notte”. Era il 19 febbraio, Brian doveva
rientrare quella sera, era partito tre giorni prima per un’ispezione alla
filiale di New Heaven e, stranamente, aveva deciso di andare in auto. “Con
questo tempo rischio che i treni abbiano un ritardo pazzesco, da New York ci
metterò poco meno di due ore, venerdì sera sarò a casa prima che ritorni tu dal
lavoro”, gli diede un bacio a stampo, e uscì per sempre dalla sua vita. Nel
viaggio di ritorno, verso le sette di sera, mentre percorreva la Cross Country
Pkwy, uno pneumatico scoppiò, la sua auto capottò più volte, saltò il guardrail
e un camion la travolse in pieno. Quando Mark lesse il rapporto della polizia,
seppe che per estrarre i suoi resti ci vollero più di quattro ore. Era morto
sul colpo, fu difficile riconoscere persino i suoi poveri resti. Da allora, si
era rinchiuso in sé stesso, usciva il minimo indispensabile, non perché avesse deciso
di vivere una vita ritirata, ma semplicemente perché non riusciva più a trovare
gusto nel viverla. Le feste lo infastidivano, le chiacchiere lo annoiavano,
perciò, per lo più, finiva per trovare mille scuse per non partecipare a
qualsiasi cosa gli si proponesse. Continuava ad andare in palestra, quando il
lavoro glielo permetteva, e quando sentiva che le sue palle stavano per
scoppiare, aveva una lunga lista di ragazzi a cui rivolgersi per scaricarle. Si
potrebbe dire che non stava vivendo, stava “galleggiando”. Accarezzò la foto di
Brian sorridendo amaramente, richiuse la porta e s’incamminò per il vialetto,
facendo il percorso inverso.
Ethan
tornò nel suo nuovo appartamento scuotendo la testa, andare a chiedere aiuto al
vicino era stata una grande mossa! Una, anzi, pensandoci bene, la migliore
scopata in assoluto! Per fortuna, il suo vicino non era propenso a ripetere
l’esperienza… sarebbe stato parecchio impegnato nei mesi a venire, anche se un
ritaglio di tempo per quello stallone, sarebbe riuscito a trovarlo di sicuro.
Si fece una velocissima doccia e si buttò sul letto, la sveglia era puntata 4
ore dopo.
Ethan
guardò il suo smartphone, aveva avuto bisogno di inserire le coordinate per
riuscire a trovare quell’indirizzo. Conosceva abbastanza bene la sua città, ma
non particolarmente quella zona del Bronx. Arrivò a destinazione, tra la Boston
Road e la Fenton Ave, con una decina di minuti di ritardo. Suonò il campanello,
l’etichetta riportava il nome della società, “Eastwood Quick ltd”, e subito la
serratura del portone scattò con un suono metallico, secondo piano. Entrò nella
porta semiaperta, che tutto faceva immaginare, tranne che fosse l’ufficio di
una società, ma piuttosto, un appartamento a basso costo. Venne ad accoglierlo
un uomo, che avrà avuto all’incirca una cinquantina d’anni, un po’ appesantito
e con la faccia di uno che, da giovane, doveva avere praticato parecchia boxe.
«Ethan,
giusto?» Ethan gli porse la mano.
«Esatto,
lei è Vinnie?» Vinnie Rivera lo squadrò, infilando un sigaro spento al lato
della bocca.
«Sei
in ritardo… sei uno di quelli che lo è per abitudine, Ethan?» Ethan sollevò un
sopracciglio.
«Assolutamente
no!» l’uomo bofonchiò facendogli cenno di seguirlo, dopo avere chiuso la porta
d’entrata.
«Accomodati,
posso darti del tu?» Ethan lo seguì, entrando nella piccola stanza adibita ad
ufficio. Un forte odore di fumo stantio avvolse le sue narici, facendogli
venire il voltastomaco. Quella stanza non prendeva aria da un bel pezzo!
«Allora
sai cosa facciamo qui? Frank ti ha spiegato, vero?» Ethan annuì, resistendo
alla voglia di andare a spalancare la finestra alle sue spalle.
«Spogliati.»
sapeva che sarebbe stato esaminato, era preparato a questo. Si tolse
velocemente i vestiti, rimanendo in piedi, con la sola biancheria addosso.
«Sei
timido?» Vinnie gli indicò i boxer, facendogli cenno di abbassarli. Ethan tolse
anche quell’ultimo indumento senza nessuna vergogna.
«Frank
mi aveva accennato che eri un bel ragazzo, ma non pensavo tanto… se giocherai
bene le tue carte, nel giro di sei mesi scalerai la classifica.» gli disse
indicando un grafico appeso alla parete, nel quale erano scritti una decina di
nomi di altrettanti uomini. Si alzò e lo esaminò meglio, girandogli intorno.
«Ok,
puoi rivestirti. Ascoltami bene, perché non avrai un contratto da rileggere,
perciò imprimiti bene nella testa le poche regole da seguire, e andremo
d’accordo.» Ethan si rivestì velocemente, sedendosi nella poltroncina di fronte
alla scrivania di Vinnie.
«I
nostri ragazzi vengono avvertiti degli appuntamenti almeno due giorni prima, e
questo per far sì che possiate organizzarvi, visto che molti di voi hanno anche
un altro lavoro e tu lo hai, corretto? Quindi non è ammesso un no come
risposta. Puoi smettere quando vuoi, ma l’agenda che ti è già stata assegnata
la dovrai completare, sia uno o siano 20 appuntamenti. La mia percentuale è del
60%, le mance sono vostre. Il vostro 40% vi viene pagato settimanalmente. Farti
o non farti scopare dal cliente, è una cosa che non mi riguarda, ma se lo fai, devi
chiarire che l’agenzia è estranea a questo. Se decidi di dare via quel bel
culetto che ti ritrovi il 50% lo dovrai versare al sottoscritto, in contanti, e
ti assicuro che se lo farai, io lo saprò, perciò non mentirmi Ethan, i miei
occhi e le mie orecchie sono dappertutto. Contravvieni a una o più delle regole
e ti pentirai di essere mai entrato da quella porta. Ti è tutto chiaro?» Ethan
estrapolò la faccia più stupida del suo repertorio, anche se in quel momento
avrebbe voluto fargli assaggiare il suo gancio sinistro.
«Tutto
chiarissimo. Comunque io sono interessato solo al lavoro di accompagnatore, non
ho intenzione di “dare via il mio culetto”.» Vinne si accese il sigaro, che
sembrava un prolungamento delle sue labbra.
«Non
credo di avere mai sentito dire a nessuno di voi che fosse interessato a farsi
fottere per soldi, ma fatto sta che, prima o poi, tutti venite qui a darmi il
mio compenso in dollari sonanti. Comunque, benvenuto in scuderia!» gli strinse
nuovamente la mano poi, una ragazza che non doveva avere più di sedici anni, lo
fece accomodare in uno stanzino scattandogli numerose foto.
«Hey,
abbiamo finito, puoi rimetterti la maglia.» gli disse la ragazzina, per poi
sparire. Ethan si rivestì. Vinnie lo raggiunse, mentre stava indossando la
giacca.
«Perfetto.
Hai qualche preferenza per il nome che metterò a catalogo, va bene anche un
soprannome.» a questo non aveva proprio pensato, alzò le spalle.
«Che
ne pensi di Amber Honey?» di peggio non poteva
trovare, aveva proprio un pessimo gusto quell’uomo, ma in quel momento non gli
veniva in mente nient’altro.
«Ok,
va bene. In che modo mi contatterai?» Vinnie stava digitando qualcosa sul suo
tablet.
«Riceverai
un messaggio, inutile che registri il numero, sarà sempre diverso. Il numero
che ti è stato assegnato è il 17. Quindi ti scriverò una cosa tipo: “17, il
giorno x alle ore x dovrai farti trovare in questo posto per accompagnare il
signor x fino alle ore x”. L’unica risposta che darai è sì. Visto che hai
scritto che te la sai cavare anche ballando, può essere che io ti chiami anche
per esibirti in qualche locale gay.» detto questo gli porse il tablet dove, nel
sito, compariva già il suo profilo, con a fianco un carrello della spesa. Non
riuscì a trattenere una risata.
«Non
temere, a questo sito accedono solo i soci, e ti assicuro che non è facile
entrarci. Credo che non ci vorrà molto per avere una prenotazione, perciò
tieniti pronto.» Ethan gli strinse la mano e fece per uscire dall’appartamento,
doveva correre alla clinica, prima che il suo socio lo desse per disperso.
«Un
ultima cosa Honey… attivo o passivo?» stava decisamente per mandare all’aria
tutto, ma sapeva di non poterlo fare, prese aria dalle narici e, senza neppure
voltarsi, con la mano attaccata al pomello della porta, rispose.
«Versatile
ma, come ti ho già detto, non intendo andare al di là del lavoro di
accompagnatore.» Vinnie tossì rumorosamente.
«Non
l’ho chiesto per questo, ma ai nostri clienti pare che importi, perciò verrà
scritto nel tuo profilo, che tu lo voglia o no.» quando, finalmente, riuscì a
guadagnare l’uscita, si sentì sollevato, quel posto era davvero orrendo e
Vinnie ci stava d’incanto.
Mark
spense la sveglia sul comodino, la sera prima aveva preso una delle sue
pastiglie magiche, che aveva il potere di farlo addormentare subito, però il
mattino seguente lo lasciava in uno stato catartico per ore. Diede il comando
alle sue gambe per uscire dalle lenzuola. La sera prima aveva sentito dei
rumori provenire dall’appartamento della signora Fitzgerald fino a tarda ora,
con tutta probabilità era Ethan che stava sistemando l’appartamento, gli era
venuta un’improvvisa voglia di andargli a chiedere se aveva bisogno di
qualcosa, ma si era trattenuto quando, davanti agli occhi, per un attimo, era
apparsa l’espressione stravolta dall’orgasmo del veterinario. Erano passati tre
giorni, meglio fare passare altro tempo prima di rivederlo. Dopo la doccia
aveva ricominciato a collegare il cervello, una veloce colazione e, vestito di
tutto punto, era pronto ad affrontare quel lunedì. Chiuse la porta dietro le
sue spalle, lasciando Minù che, posizionata sul mobile della sala, gli
rivolgeva quel suo particolare sguardo di rimprovero, che lui puntualmente faceva
finta di non vedere ma che lo faceva sempre sorridere. Prese l’ascensore e,
quando le porte si aprirono, mancò poco che sbattesse contro Ethan, il quale si
scansò all’ultimo secondo, alzando le mani.
«Scusa,
vado di fretta.» gli disse sorridendogli, mettendo così in mostra le sue
fossette pronunciate. Mark lo squadrò da capo a piedi, aveva una felpa grigia con
il cappuccio alzato e i pantaloni della tuta erano così aderenti che poco
lasciavano all’immaginazione. Gli passò a fianco, non poté fare a meno di
sbirciare come gli stessero sul culo, una favola. Il suo uccello fu
immediatamente d’accordo con lui.
«Corri
tutte le mattine, Ethan?» si accorse che la sua voce aveva assunto un tono
graffiante, accidenti a quella tuta e a quelle fossette!
«Certo,
a meno che, non abbia qualcuno che mi costringe a letto.» gli rispose Ethan
ammiccante, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano. Il sorriso che aveva
sulle labbra si spense subito dopo. Mark, con quel completo color antracite era
un sogno erotico! Non pensava che rivederlo gli avrebbe fatto quell’effetto,
quello era un guaio, un guaio dannatamente serio.
Arrivò
in ufficio e si immerse nel lavoro, si accorse di essere particolarmente
attivo, l’incontro del mattino l’aveva messo di buon umore.
«Mark,
hai un attimo per me?» Telma si era affacciata alla porta con un faldone tra le
mani.
«Sempre
dolcezza!» le rispose, appoggiando la schiena sulla sedia in pelle intrecciando
le mani sopra al gilet. Telma lo guardò sgranando gli occhi, non vedeva
quell’espressione sul suo viso da… non si ricordava neppure più da quando.
«Non
so cosa ti abbia reso così… ma mi auguro vivamente che continui a farla…»
commentò a voce bassa, mentre si avvicinava alla grande scrivania del suo capo.
«Questi
sono i documenti contabili della SCAR & BROTHER, l’ultima “bellissima”
società che hai portato in azienda. Non so chi fosse il loro contabile
precedente, ma ti assicuro che se lo avessi tra le mani in questo momento non
vedrebbe l’alba!» Mark si rabbuiò, aveva una profonda stima per il lavoro che
svolgeva Telma, se le stava dicendo questo, significava che era vero.
«Di
tutto… tasse non pagate, pagate due volte… fatture non registrate…
dichiarazioni omesse…vedi?!» sapeva che sarebbe stata una società problematica
da rimettere insieme, per questo gliel’aveva affidata, per lo meno per la parte
alla luce del sole, di quello che girava sotto banco se ne sarebbe occupato
personalmente, come del resto già faceva con gli altri clienti che ne avessero
fatto richiesta.
«Ok,
non farti prendere dal panico. Passa tutti i tuoi lavori a Stefy e Rob, entro
venerdì voglio un rapporto completo, con le possibili soluzioni.» non voleva
perdere quel nuovo cliente, quello che girava sotto banco aveva sei zeri, la
percentuale che entrava nelle casse occulte della società era cospicua e, di
conseguenza, lo sarebbe stato anche il suo premio di produzione.
«D’accordo,
ma stavolta non so se riuscirò a trovare il bandolo della matassa.» era sempre
così con Telma, arrivava, si lamentava, per poi trovare soluzioni
rivoluzionarie che riuscivano a mettere tutto nella giusta casella. Un giorno
qualcuno gliel’avrebbe rubata, sarebbe stato davvero difficile sostituirla.
«Facciamo
così… se entro venerdì mi risolvi il “problema”, vi porto tutti a ballare al “Le
Bain”.» Telma incrociò le dita, pensando a cosa avesse potuto compiere quel
miracolo inaspettato, ma decise che non avrebbe approfondito, le bastava avere
intravisto in Mark, quella scintilla di vita che si era spenta tanto tempo
prima.
«Per
andare in quel locale sarei disposta anche a lavorare quattro notti di seguito,
perciò prenota, perché ho intenzione di mettere sulla tua scrivania il lavoro
fatto venerdì mattina.» sorrise, guardandola uscire trotterellando dalla porta.
Ethan
entrò nella sala d’aspetto della sua clinica veterinaria, dove quattro persone
erano in attesa di essere ricevute. Salutò cordialmente, per poi entrare
nell’ambulatorio, dove il suo socio Kayden Adams stava esaminando una
tartaruga.
«Scusate,
volevo solo dirti che sono arrivato.» Kayden posò, sul piano d’acciaio del
lettino, la piccola tartaruga e, scusandosi con la cliente, raggiunse Ethan che,
entrato nel suo ambulatorio, stava indossando il camice.
«Così
non va bene!» sapeva che si sarebbe arrabbiato, alzò gli occhi al cielo.
«Lo
so, lo so… mi dispiace, non accadrà più.» gli rispose abbattuto, mostrandogli
l’espressione del “cucciolo triste”, che gli riusciva tanto bene,
«Porco
giuda Ethan! Due ore di ritardo! Ci sono due persone che ti aspettano da un
ora, non sapevo più che cosa inventarmi!» prese in mano le due cartelle che Kayden
gli porgeva, e che gli avrebbe volentieri fatto ingoiare in quel momento.
«Me
ne occupo immediatamente. Te l’ho detto, non accadrà più.» Kayden ruggì,
lasciando l’ambulatorio per tornare ad occuparsi della tartaruga.
«Signora
Mayers?» disse affacciandosi nella sala d’aspetto. Una signora di mezz’età, si
alzò con il suo pastore tedesco che zoppicava, ed entrò nell’ambulatorio.
La
giornata fu inaspettatamente piena di lavoro, da quando avevano aperto
l’ambulatorio, era la prima volta nella quale non avevano avuto neppure un ora
libera. Alle 19 Kayden chiuse la porta, dovevano pulire e rimettere a posto
l’attrezzatura per il giorno dopo.
«Ethan
io ho finito, hai bisogno di una mano qui?» mancava poco che avesse finito
anche lui, era stanchissimo, non vedeva l’ora di arrivare a casa e buttarsi
sotto la doccia.
«Ho
quasi finito anch’io, bisogna solo mettere in ordine e pulire il pavimento
della sala d’aspetto.» Kayden capì che il suo socio era un po’ provato, e si
offrì di iniziare il lavoro. Alle otto stavano chiudendo la saracinesca.
«Hai
bisogno di un passaggio?» Ethan scosse la testa.
«No,
ti ringrazio, sono venuto in auto.» si salutarono prendendo strade opposte.
Quando,
finalmente, salì sull’ascensore e poco dopo aprì la porta di casa, il sorriso
ritornò sulle sue labbra. Lasciando la scia dei suoi indumenti, s’infilò dentro
la doccia e ne uscì mezz’ora dopo, avendo fatto pace con il mondo. S’infilò i
pantaloni di una tuta e una maglietta, poi prese in mano lo smartphone, aveva
un messaggio non letto.
«17.
Venerdì 12 Aprile, “Le Bain”. Presentati a Giovanni alle 19, dovrai ballare
dentro una gabbia, i vestiti te li danno loro. Depilati.» lo voleva mettere
alla prova, sicuramente era così. Ballare non era mai stato un problema per
lui, ballare mezzo nudo, beh… c’è sempre una prima volta.
Puntuale
come una cambiale Telma, alle nove del venerdì mattina, consegnò la
documentazione a Mark, che ci mise buona parte della mattina per controllarla
minuziosamente, come sempre risultò essere un ottimo lavoro. Si alzò dalla sua
scrivania, indossando la maschera del capo severo raggiungendo l’ufficio a
fianco, dove lavorava il suo staff. Silenziosamente aprì la porta, alla sua
destra, Max era impegnato in una telefonata, alla sua sinistra, Rob stava
scrivendo velocemente al computer; Stefany, di fronte a lui, era impegnata a
far quadrare un conto interminabile con la calcolatrice e, sempre di fronte a
lui, ma spostata a sinistra, Telma stava prendendo appunti, tutti si fermarono
a guardarlo, pensando di avere un’allucinazione, erano anni che non si
schiodava dal suo ufficio. Mark li guardò severamente, uno per uno, mentre
camminava lentamente verso la scrivania dove si trovava Telma. Appoggiò
rumorosamente il faldone che gli aveva consegnato qualche ora prima, e la guardò
dritto negli occhi, facendola sentire a disagio. Max chiuse la chiamata e, come
gli altri, si mise ad osservare la scena, in religioso silenzio.
«Telma…»
la schiena della donna s’irrigidì visibilmente, in attesa di ciò che aveva da
dirle il suo capo, il cui sguardo non prometteva nulla di buono.
«Credevo
ci tenessi ad andare a Le Bain, stasera…» le guance di Telma si colorarono di
rosso, iniziò a ripassare, mentalmente, il suo lavoro, domandandosi dove avesse
sbagliato.
«Ah…
ragazzi, colpa sua…» disse Mark, mentre si avvicinava alla porta, per poi
uscire richiudendola alle sue spalle. Attese dietro la porta, di sentire la
voce di Telma che, come una pentola a pressione trattenuta troppo a lungo,
aveva iniziato a sbraitare furiosa. La spalancò, restando sulla soglia.
«Ho
prenotato il tavolo centrale… potete uscire tutti mezz’ora prima, ci vediamo al
locale, alle nove.» rimasero immobili per un attimo per poi scoppiare a ridere
tutti insieme, colse un “vaffanculo” di Telma mentre chiudeva la porta.
«NON
SI MANDA A FAN CULO IL PROPRIO CAPO!» urlò lungo il corridoio, sentendo la
risata fragorosa della donna.
La
sala d’attesa dell’ambulatorio era vuota, erano ormai le diciassette e Ethan
aveva finito gli appuntamenti della giornata, stava prendendosi una pausa, in
attesa che Kayden uscisse dal suo ambulatorio, cosa che puntualmente accadde
qualche minuto dopo.
«L’uccellino
che aveva?» gli chiese, porgendogli una tazza di caffè fumante.
«Carenza
di vitamine.» rispose atono il suo socio.
«Devo
uscire presto stasera. Ti spiace chiudere da solo?» Kayden prese il caffè che
gli stava porgendo.
«Quello
che immagino?» Ethan sorseggiò il suo caffè.
«Meno
sai, meglio è. Lunedì ti porto i soldi per l’affitto dell’ambulatorio.» Kayden
annuì, avvicinandosi alla porta che dava nella sala d’aspetto.
«Fai
attenzione.» Ethan finì il suo caffè e tornò nel suo ambulatorio per togliersi
il camice e mettere in ordine. Circa mezz’ora dopo, era in auto per ritornare a
casa.
Alle
18.45 era all’entrata sul retro del locale “Le Bain”, un buttafuori, che
sembrava più un armadio a quattro ante, gli aprì la porta.
«E
tu chi cazzo sei?» Ethan lo guardò dal basso, sorridendo.
«Io
sono il ragazzo immagine che avete chiamato, devo parlare con Giovanni…»
l’armadio lo squadrò dalla testa ai piedi.
«Vieni
con me.» gli fece spazio per farlo entrare, per poi guidarlo lungo lo stretto
corridoio che portava alle scale. Arrivati davanti a una porta, la cui
targhetta riportava la scritta “direzione”, busso infilandoci la testa.
«Aspettavi
un ragazzo in sostituzione di Kirk?» Giovanni gli fece cenno di farlo entrare,
il buttafuori spalancò la porta.
«Amber
Honey?» Ethan annuì, Giovanni lo squadrò dalla testa ai piedi e gli fece cenno
di seguirlo.
«Qui
ci sono i camerini, entra.» Ethan entrò nella stanza in cui erano sistemati
alcuni specchi e uno stand appendiabiti, stracolmo di vestiti.
«Ti
lascio nelle mani di Greta, ti spiegherà come funziona qui e ti darà i vestiti
da indossare questa sera.» Greta era una donna di mezz’età, un po’ sdrucita e
corpulenta, con un sorriso che incantava.
«Allora,
hai mai ballato in gabbia?» Ethan le sorrise e si fece avanti, nel frattempo
entrarono altri due ragazzi, più giovani di lui, molto carini, che si buttarono
direttamente sullo stand a scegliere gli abiti.
«No
è la prima volta.» lo prese per mano, come farebbe una mamma, portandolo di
fronte allo stand.
«Stasera,
serata a tema. Il tema è “gold”, meno vestiti hai addosso e meglio è, questo è
il motto.» prese qualcosa dallo stand e lo mise in mano a Ethan.
«Io
ti vedo bene così, un paio di mini short e le alucce. Luke, gli anfibi dorati
che numero sono?» Ethan guardò gli short, pensando che tanto valeva che andasse
fuori solo con le “alucce”, visto che a malapena gli avrebbero coperto il
sedere e il pacco.
«Quarantadue
credo…» le rispose il ragazzo al quale si era rivolta.
«Bene,
li trovi laggiù, se non dovessero andarti bene, cosa che non credo, chiamami. Altrimenti
vestiti e, se vuoi, puoi cospargerti la pelle con i brillantini dorati che ho
preparato vicino allo specchio.
Si
guardò intorno, anche gli altri ragazzi si stavano preparando, e non erano
certo più vestiti di lui. Sospirò iniziando a svestirsi. Si infilò gli short,
ringraziando la sua lungimiranza che gli aveva fatto indossare i boxer a vita
bassa, altrimenti avrebbe dovuto rinunciare anche alle mutande. Infilò le ali e
sistemò i capelli con un po’ di gel. Indossati anche quegli improbabili anfibi
dorati, e cosparsa la pelle un po’ ovunque con la polverina, si guardò allo
specchio. Aveva l’aspetto di un angelo? A lui sembrava più di sembrare una
sgualdrina! Scosse la testa, ringraziando che ci fosse quella gabbia a
proteggerlo dagli allungamenti di mano e gli strusciamenti non richiesti.
«Vedo
che siete tutti pronti ragazzi! Bene, andate a prendere posto dentro le gabbie,
pausa ogni due ore, staccate definitivamente alle 2.30. Tu, “nuovo”, sei in
gabbia centrale. Fattela indicare.» seguì i ragazzi e, uno di loro, gli indicò
la sua postazione. Era rialzata, rispetto alla pista da ballo, poco lontana da
uno dei bar. Entrò e si chiuse dentro. Era rotonda e al centro svettava un
palo. Non aveva mai praticato pole dance, ma qualcosa gli diceva che, dopo
questa serata, avrebbe potuto inserirla nel suo curriculum. Pochi minuti prima
delle nove, il buttafuori fece il giro delle gabbie per comunicare l’apertura,
e il dj iniziò a mettere musica. Dopo i primi movimenti un po’ impacciati,
chiuse gli occhi e si fece semplicemente trasportare, venti minuti dopo gli
sembrava di non avere fatto altro nella vita. Il locale si riempì completamente
verso le undici, aveva appena finito la pausa, nel rientrare nella gabbia, si
accorse che la pista era ormai gremita, la musica era più alta e anche grazie a
un paio di shottini di vodka, si sentiva leggero come una piuma. Le gabbie
vennero leggermente abbassate, portandoli circa un metro sopra la pista
esponendoli, di fatto, agli sguardi di chi stava ballando. Aveva appena
concluso una verticale sulla sbarra, scendendo da questa a testa in giù con le
gambe divaricate, che si ritrovò con due occhi blu cobalto che lo stavano osservando.
“Porca puttana!”, cercò di ignorare quello sguardo, ma sapeva che ormai era
troppo tardi, Mark Cook l’aveva visto, e il suo non gli era sembrato per nulla
uno sguardo amichevole. Continuò a ballare, cercando di non pensare a nulla ma,
anche se non guardava più in pista, sentiva quello sguardo penetrante su di sé.
Alle
nove precise Mark era di fronte all’entrata del locale, insieme a tutti i
colleghi, tutti tranne Telma, che si fece aspettare per ben mezz’ora
abbondante, era certo che fosse il suo modo per fargliela pagare.
«Non
ho mai aspettato nessuno per così tanto tempo!» le disse con tono severo.
«C’è
sempre una prima volta per tutto, signor Cook! Vedi di non perdere tempo con le
tue ramanzine e muovi quel tuo bel culo tonico all’interno, che voglio
divertirmi stasera.» Mark scosse la testa, povero l’uomo che se ne fosse fatto
carico, quella era un vulcano di un metro e sessanta, che non era per nulla
facile da contenere. Fece cenno al ragazzo che controllava le entrate, che si
avvicinò.
«Cook
più quattro.» il ragazzo controllò la lista sul tablet e, dopo averla spuntata,
aprì la transenna facendoli passare. La musica era alta e molto bella, presero
posto e iniziarono con il primo giro di champagne, accompagnato da tartine
squisite. Mark si guardò intorno, era davvero un bel locale, e i ballerini in
gabbia si muovevano bene. Dopo che si furono rilassati e rifocillati, Telma,
come sempre, incominciò a trascinare in pista tutti, compreso Mark, che l’assecondò
volentieri facendosi trasportare nella bolgia infernale. Aveva già adocchiato
un paio di ragazzi niente male sulla pista, erano passati già troppi giorni,
aveva voglia di scopare, anche per togliersi dalla testa l’immagine del suo
vicino. Seguendo un moretto con un culo da favola, si ritrovò a ballare a
fianco di una delle gabbie, alzò lo sguardo, quel ragazzo si muoveva da Dio, e
aveva un culo che avrebbe morso volentieri. Lo vide compiere un’acrobazia, per poi
scendere a gambe divaricate, quando appoggiò la testa sul fondo, il suo viso fu
proprio di fronte a lui. “Che mi venga un colpo!”, o era il suo gemello, oppure
il “veterinario” non era un veterinario… se c’era una cosa che Mark odiava,
erano le bugie, e quelle dette senza senso, lo mandavano proprio fuori di
testa. Era certo che l’avesse riconosciuto, come ebbe la certezza che evitò di
guardare verso di lui da quell’istante in poi.
Dopo
altre due ore di ballo, finalmente poteva fare pausa, aveva una sete tremenda,
non avrebbe retto un minuto di più. Aprì la gabbia precipitandosi verso il bar.
«Due
bottiglie di acqua ghiacciata e 2 shottini di vodka.» il barman si affrettò a
servirlo, avevano mezz’ora di pausa la precedenza era d’obbligo. Gli portò
l’acqua e la vodka, allungandosi sul bancone gli fece cenno di avvicinarsi.
«La
vodka te la offre quel pezzo di maschio con gli occhi blu, ha voluto per forza
che ti versassi questa e che te la mostrassi.» gli mostrò una bottiglia sulla
cui etichetta c’era scritto “Belvedere”. “Tipico di uno come lui…”, bevve una
delle due bottigliette d’acqua, poi prese in mano uno dei due shottini e si
girò verso Mark, che si trovava esattamente di fronte a lui, dall’altra parte
del bancone. Alzò il bicchiere e li ingollò, uno dopo l’altro. “Vaffanculo”
pensò, mentre con l’altra bottiglia in mano, si dirigeva alla toilette. Entrò
velocemente in uno dei cubicoli per svuotare la vescica, doveva riprendere a
ballare tra poco, e di certo non poteva trattenersi più del necessario, inoltre
temeva che Mark l’avesse seguito, non era certo il momento migliore per
mettersi a dare delle spiegazioni. Spiegazioni che di certo non voleva dargli.
Uscì dal bagno e se lo trovò di fronte, appoggiato alla balaustra, che stava
chiaramente flirtando con un ragazzo moro, che già pendeva dalle sue labbra.
Non capì per quale motivo ma, appena la mano di Mark sfiorò, accarezzandola, la
pelle del braccio di quel ragazzo, le sue budella si attorcigliarono. Gli passò
a fianco, prendendogli contro volutamente. Non si fermò nemmeno a vedere la sua
reazione, se lo avesse fatto, si sarebbe accorto di quanto quel gesto avesse
dato soddisfazione a Mark. Nelle due ore successive, il locale andò via via
svuotandosi. Ethan non vide più Mark nemmeno una volta, anche se lo cercò
spesso tra la folla. Quando finalmente il turno finì, andarono tutti a cambiarsi
nel camerino. Doveva ricordarsi di dire a Vinnie che, se fosse stato possibile,
preferiva evitare di ballare per sei lunghe ore dentro quelle gabbie. I
brillantini erano ancora visibili in molte parti del suo corpo, e nei piedi
aveva due vesciche che lo avrebbero fatto maledire quella serata per parecchio
tempo ancora. Quando infilò le chiavi nella serratura della porta dello
stabile, pregustava già l’acqua bollente sul suo corpo distrutto. L’ascensore
si aprì, lui prese in mano il mazzo di chiavi cercando quella giusta, alzò lo
sguardo.
«OH
PORCA PUTTANA!» Mark, appoggiato allo stipite della porta del suo appartamento.
«Levati,
sono distrutto e voglio farmi una doccia.» gli disse avvicinandosi alla porta
di casa sua, sperando che l’altro gli lasciasse libero il passaggio.
«Hai
l’ambulatorio all’interno del locale?» chiuse gli occhi, buttando la testa
indietro e respirando a fondo.
«Se
ti dico di sì, ti levi dal cazzo?» Mark sollevò un lato della bocca in un
ghigno sarcastico e, con una specie di inchino, gli diede spazio mettendosi a
lato.
«Odio
chi mi mente, e ancor di più chi mi mente senza motivo…» Ethan aveva appena fatto
scattare la serratura della porta, le chiavi ancora infilate nella toppa.
«Invece
io odio chi crede di avere la verità in tasca, mi dici che cosa vuoi? Così ce
ne andiamo tutti allegramente a dormire?» staccò le chiavi spalancando la porta,
ma appena entrò, come un fulmine Mark lo schiacciò contro il muro dell’entrata,
chiudendo la porta alle sue spalle.
«Cosa
voglio? Voglio scoparti il culo, lo stesso culo che mi hai sbattuto in faccia
tutta la sera.» gli ringhiò all’orecchio, mentre continuava a schiacciarlo contro
il muro dell’ingresso.
«Levami
immediatamente le mani di dosso, ORA!» gridò, sentendo la rabbia montare.
«Che
paura… il tuo amico qui sotto sta gridando tutt’altro…» gli sussurrò, mentre strusciava
la mano sopra la stoffa dei suoi jeans, tesi dall’erezione ormai evidente.
«Ok,
ok… ti lascio andare…» si allontanò da lui, la tensione che aveva percepito nei
suoi muscoli, sentiva che non era dovuta solo all’eccitazione, era davvero
incazzato.
«Certo
che non mi aspettavo di trovarti a sculettare dentro una gabbia… pagano bene?»
la mano di Ethan partì, prima che potesse collegare il cervello, piazzandogli
cinque dita in pieno viso. Mark non si aspettava nulla del genere, lo schiaffo
gli fece letteralmente girare la testa dall’altra parte, spaccandogli il labbro
che aveva sbattuto sui denti. Ethan rimase immobile, con i muscoli tesi, pronto
a scattare al minimo cenno di reazione da parte sua. Mark si asciugò il labbro
con il palmo della mano e, lentamente, alzò lo sguardo su di lui. Gli occhi di
Ethan brillavano, sotto il riflesso della luce notturna che filtrava dalla grande
porta finestra a lato, ed erano incendiati di rabbia, Dio quanto era eccitante!
Ethan aveva il respiro corto, l’adrenalina si era riversata nelle sue vene. Osservò
Mark mentre si asciugava il rivolo di sangue provocato dal suo schiaffo e lo sguardo
che gli rivolse, stupito e rabbioso, gli fece perdere completamente la testa!
Si buttò su di lui sbattendolo sul muro opposto, gli morse il labbro ferito per
poi leccarlo come avrebbe fatto un cane. Mark ringhiò, infilandogli una mano tra
i capelli gli tirò la testa indietro, per poi impossessarsi in maniera brutale
della sua bocca. Le loro lingue si scontravano in un sabba infernale,
succhiandosi, mordendosi fino a farsi male. I loro sessi strusciavano,
provocandogli scosse elettriche, che non facevano altro che esasperare il
desiderio che era esploso.
«La
tua camera…» gli sussurrò Mark. Ethan si staccò da lui senza dire nulla,
dirigendosi dove gli aveva chiesto. “Ethan Johnson sei un deficiente”, non
doveva succedere, sapeva che quello era un grandissimo errore, ma quegli occhi,
quella voce… e una volta assaggiato era impossibile fermarsi. Accese la luce e
iniziò a spogliarsi, Mark si era fermato sulla soglia della stanza, lo stava
guardando come se fosse la cosa più bella del mondo.
«Cos’è,
ti si è ammosciato?» lo provocò, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno. Senza
vestiti addosso, vederlo immobile sulla soglia, lo stava facendo diventare
nervoso.
«Stavo
tentando di non toccarti, per cercare di calmarmi, se ti tocco ora, potrei non
essere molto gentile…» Ethan lo sfidò, accarezzandosi ed esponendo il cerchio
pulsante tra le sue natiche.
«Non
ti ho chiesto di essere gentile…» Mark si avvicinò al comodino trovando un gel
lubrificante e i preservativi che gettò sul letto.
«Non
volevi “scoparmi il culo”?» lo incalzò leccandosi poi due dita socchiudendo gli
occhi. Quella visione fece perdere del tutto il lume della ragione a Mark,
prese un preservativo dalla scatola infilandoselo velocemente e cospargendolo
di gel, salendo sul letto in ginocchio. Sollevò le gambe di Ethan e strusciò la
punta del membro durissimo sul suo pulsante orifizio.
«Ti
farò male...» mentre terminava la frase, si spinse dentro di lui violentemente.
Ethan non riuscì a trattenere un urlo, il dolore si era propagato lungo tutta
la spina dorsale, provocandogli degli spasmi incontrollati.
«Mio
Dio come stai stringendo!» Mark si appoggiò su di lui per divorargli la bocca,
dando sollievo al suo uccello, che stava per non rispondere più ai suoi comandi.
Se si fosse mosso ora, sarebbe venuto ancora prima di potersi godere quello che
stava succedendo.
«Se
provi a muoverti ti uccido.» Ethan cercava di riprendere il controllo, temeva
che l’avesse seriamente ferito. Sapeva di essere stato lui a provocarlo, per
nulla al mondo gli avrebbe chiesto di fermarsi.
«La
prossima volta prometto di essere più gentile…» ringhiò, prima di occuparsi del
lobo del suo orecchio, che succhiò, per poi dedicarsi al suo collo, lasciando
una scia di umidi baci. Mark, sentì che la pausa aveva fatto rilassare i
muscoli di Ethan, riprese a baciarlo sfilandosi quasi completamente, per poi
rientrare con un colpo altrettanto violento del primo. Questa volta però,
l’effetto che ottenne non fu quello di un urlo di dolore, ma un gemito di puro
piacere, accompagnato dalle unghie del suo compagno che si conficcarono nella
sua schiena. Continuò, fermandosi e rientrando con potenti spinte dentro di
lui, godendosi la vista del suo viso stravolto dal piacere. Ethan sapeva che
non avrebbe resistito ancora per molto, quel bastardo di Mark aveva la capacità
di arrivare in “quel punto”, ogni volta che rientrava.
«Goditela
Mark, non ci sarà una prossima volta…» riuscì a dirgli tra un gemito e l’altro,
con un filo di voce. Mark sorrise stendendosi su di lui e infilandogli la lingua
profondamente in bocca, come se volesse possederlo in ogni modo possibile. Poi
si sollevò, puntellandosi sul letto e gonfiando i suoi bicipiti cambiando il
ritmo. I gemiti di Ethan divennero quasi una preghiera, era così eccitante
quando perdeva la testa.
«Mi
fa piacere sentirtelo dire, vedremo se saprai resistere…» gli rispose mentre
pompava dentro di lui con un ritmo sempre più incalzante. “Ma chi cazzo credi
di essere?” il pensiero morì in quell’istante, lasciando il posto ad un piacere
devastante.
«Oh
mio Dio!» Ethan sollevò la schiena, riversando il suo sperma sullo stomaco, il
suo orgasmo lo fece contrarre intorno al cazzo di Mark che, inevitabilmente,
esplose sentendo i fuochi artificiali nei suoi lombi.
Mark
crollò su di lui, rimasero qualche istante ansimanti uno sopra l’altro, poi
Mark si tolse, rotolandogli a fianco.
«Quindi
cosa sei, un ballerino?» gli chiese ansimando. Ethan, ancora provato, si voltò
verso di lui.
«Sono
un veterinario, non ti ho mentito. Faccio questo per…» scosse il capo; non gli
doveva alcuna spiegazione. Si alzò e mentre andava verso il bagno replicò:
«Vado
a fare una doccia, quando torno non voglio trovarti qui.» entrò nel bagno
infilandosi dentro la doccia, pregando che lo ascoltasse.
Mark
si alzò e si sfilò il preservativo, gettandolo nel cestino che vide appoggiato
a lato della piccola scrivania, il cellulare di Ethan spuntava dalla sua
giacca, lo prese, non c’era password, recuperò il suo smartphone e salvò il
numero di Ethan sogghignando. Si rivestì e lasciò l’appartamento malvolentieri.
Ora era consapevole che quel ragazzo gli interessava, molto di più di quanto
avesse voluto ammettere. No, decisamente quella non doveva essere l’ultima
volta che lo scopava, malgrado avessero appena finito sentiva ancora voglia di
lui. Non aveva necessità di dare un nome a quello che stava succedendo, non
ancora, ma lo desiderava, come non gli succedeva da tanto, tanto tempo.
Mark
se n’era andato, era meglio così. Ethan crollò sul letto e si addormentò
immediatamente. Svegliarsi fu difficile. Il suo culo gli faceva un male cane e
aveva la carne greve ovunque. Rimase disteso per qualche minuto, ripensando
alla notte precedente, non amava particolarmente il sesso “rude”, ma accidenti,
Mark era stato… sconvolgente. Aveva goduto come… non aveva mai avuto un
amplesso così. Doveva cercare di evitarlo il più possibile, non poteva lasciare
che quella diventasse una sorta di relazione, fosse anche solo sesso, non era
una distrazione che poteva permettersi. Il cellullare emise il suono
inequivocabile dell’arrivo di un messaggio.
«17.
Il tuo compenso è stato accreditato.» aspettava quel momento, Vinnie lo aveva
voluto premiare, non aveva aspettato i canonici sette giorni per pagarlo. Si
vestì velocemente, doveva andare al lavoro. Finì di guardare i messaggi mentre
beveva il caffè.
«Ethan,
prendi le chiavi e apri tu l’ambulatorio, arrivo appena mi libero.» si sbrigò a
bere il caffè. Bip, un altro messaggio.
«Come
stai veterinariofinto?» poteva essere solo una persona… lo registrò come “baciamiilculo”
sogghignando. Gli aveva rubato il numero, questo era un guaio da aggiungere a
quello di avere scopato ancora con lui.
«Cancella
il mio numero.» Mark rise. “Troppo tardi”, pensò.
«No.»
Ethan sospirò e decise di ignorarlo.
Quando
giunse davanti all’ambulatorio c’erano già quattro persone ad attenderlo. Una
di loro sembrava piuttosto disperata.
«Buongiorno.»
disse rivolgendosi alla piccola folla.
«Buongiorno.»
risposero in coro.
«Dottore
io non ho appuntamento, ma la mia gattina Sissy, si è sentita male questa notte
e questa mattina l’ho trovata in questo stato ho paura che lei…» gli disse la
ragazza alzando il trasportino per permettergli di guardare. La gattina
sembrava davvero moribonda.
«Il
dottor Adams arriverà tra poco…» le rispose, sperando di evitare di prenderla
in cura.
«Ma…
potrebbe guardarla lei…» la ragazza era terrorizzata di dover aspettare oltre.
«Mi
spiace, ma questi signori hanno l’appuntamento e non po…» uno degli altri
clienti intervenne.
«Dottor
Johnson, non si preoccupi, noi abbiamo delle semplici visite di controllo,
possiamo aspettare. È più urgente che soccorra questo povero animale.» imprecò
mentalmente mentre apriva la saracinesca, per poi infilare la chiave nella
serratura della porta a vetri.
«Mi
dia un paio di minuti per attrezzare l’ambulatorio.» richiuse dietro di sé la
porta del suo ambulatorio e prese in mano il telefono.
«Hey.
Di quanto tempo hai ancora bisogno?» Kayden aveva bucato e in quel momento si
trovava ancora in fila dal gommista.
«Non
lo so, ho bucato e sono in fila. Hai solo due controlli e una vaccinazione, te
la puoi cavare da solo no?» gli rispose nervosamente il suo socio
«No,
dannazione! Una ragazza è qui con un gatto messo male e non so da che parte
iniziare!» Kayden imprecò.
«Ok,
non farti prendere dal panico. Ti ha detto cosa è successo?» Ethan si stava
innervosendo.
«Mi
pare abbia detto che si è sentita male durante la notte e che questa mattina
era praticamente in coma…» erano davvero pochi elementi, Kayden decise di
andare a tentativi, come del resto avrebbe fatto se fosse stato lui a dover
intervenire.
«Falle
più domande possibili, dobbiamo cercare di identificare la causa, se è un
animale che seguiamo già, guarda la scheda a computer, altrimenti segui lo
schema delle domande che ci sono all’interno della scheda stessa. Poi fai finta
di dover prendere qualcosa dal mio ambulatorio e quando sei lì richiamami.» Ethan
pensò che quella giornata stava rischiando di diventare la peggiore della sua
vita. Si affacciò nella sala d’aspetto.
«Prego
signorina, venga.» la ragazza, sempre più terrorizzata, entrò nell’ambulatorio
e appoggio delicatamente il trasportino sul lettino.
«È
la prima volta che viene qui?» la ragazza annui, la fortuna decisamente l’aveva
abbandonato.
«Cerchiamo
di capire cosa sta succedendo a Sissy, intanto mi dica l’età della sua gatta e
le sue abitudini.» la ragazza lo guardò perplessa.
«Ma…
non è il caso che la visiti…?» Ethan sfoderò il sorriso migliore, doveva
restare calmo.
«Se
non conosco la sua gatta rischio di perdere tempo prezioso…» la ragazza parve
convincersi.
«Sissy
ha 4 anni, è vaccinata e sterilizzata. Non esce e mangia prevalentemente
croccantini.» Ethan scriveva in fretta, cercando di memorizzare quanto più
possibile.
«Sta
facendo regolarmente i suoi bisogni?» la ragazza annuì. Ethan si alzò.
«Vado
a prendere un fonendoscopio nell’altro ambulatorio, arrivo subito.» la ragazza
ormai tratteneva le lacrime a stento. Arrivato dentro all’ambulatorio a fianco,
richiamò Kayden e lo aggiornò.
«Allora,
penso ad un avvelenamento… ce la fai a metterla sotto flebo?» lo aveva già
fatto con un cane, ma con un gatto…
«Cazzo!
Dammi il nome del farmaco!» Kayden pregò di averci visto giusto.
«Chiedi
alla ragazza se è possibile cha abbia ingerito un farmaco ad uso umano, se ha
anche solo un sospetto il farmaco si chiama ranitidina, lo trovi dentro
all’armadio chiuso a chiave.» prese il fonendoscopio che stava allegramente
dimenticando, e tornò nell’ambulatorio. Estrasse la gatta dal trasportino e le auscultò
il cuore, i battiti erano rallentati. Gli misurò la temperatura per via rettale
e, quando estrasse il termometro vide che era pieno di sangue.
«È
possibile che Sissy abbia ingerito un farmaco ad uso umano?» la ragazza si mise
a pensare per un momento.
«Ieri
mi è caduta per terra un’aspirina e non l’ho più trovata! Lei pensa che…» Ethan
annuì. Prese il rasoio e tolse il pelo nella zona inferiore di una zampa, poi
legò stretto il laccio emostatico al di sopra. Prese la flebo con il medicinale
e pregò tutti gli dei che gli vennero in mente di assisterlo. Evidentemente qualcuno
di loro lo ascoltò, la farfalla a cui collegare la flebo entrò al primo colpo,
proprio mentre Kayden entrava dalla porta.
«Salve.
Cosa abbiamo qui?» Ethan gli rivolse un sorriso falso.
«Una
signorina che ha mangiato un’aspirina.» era andato tutto bene, pensò Kayden,
per sua fortuna,
«Allora
dovremo tenerla con noi almeno per due o tre giorni.» Ethan alla fine di quella
giornata era quello che si può definire un’ameba. Voleva solo dormire, ma
sapeva che non avrebbe potuto farlo. Non prima di avere terminato il suo
lavoro, il suo vero lavoro.
Entrò
nel palazzo incrociando le dita, incontrare Mark non era proprio il caso.
Decise di salire le scale evitando l’ascensore malgrado la stanchezza, se era
in casa e avesse preso l’ascensore, l’avrebbe sentito. Arrivato davanti alla
porta di casa aprì lentamente la porta, evitando di fare qualsiasi rumore, come
quando la chiuse dietro di sé tirando un sospiro di sollievo. Tolse la giacca
buttandola sul divano e si mise a computer. Entrò nel sito della Bank of America
e verificò che effettivamente gli fosse arrivato il bonifico da Vinnie. E
c’era, settecento dollari. Espanse l’operazione e verificò da quale banca fosse
partito il bonifico, appuntandolo in un foglio. Mandò un messaggio e attese la
risposta che non tardò ad arrivare.
“Codice
An521hds” si collegò al sito della CIA, digitò il codice e la sua password, poi
rientrò nel sito della Bank of America per tracciare il percorso del denaro che
aveva ricevuto. Purtroppo non trovò nulla di quello che cercava, non se la
sarebbe cavata con un balletto di una notte, doveva continuare a lavorare per
Vinnie e questo comportava anche continuare a vivere in quell’appartamento, di
fianco a quell’uomo che era per lui come il miele per Winne the pooh.
Copyright © 2020 Veronica Reburn
Tutti i diritti riservati
Ogni
riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da
ritenersi puramente casuale.
Wow l'ho letto tutto di un fiato e non vedo l'ora di leggere il continuo, grazie mille 😊
RispondiEliminaGrazie meille
EliminaAd un certo punto hai invertito i nomi dei personaggi... Ma il resto è una vera BOMBA!!!
RispondiEliminagrazie per la segnalazione verifico immeditamente
EliminaHo corretto tutto
EliminaVeramente avvincente complimenti..peccato solo che a volte ci sia il nome sbagliato viene spesso scritto Mark invece di Ethan.. e due volte Mark invece di Kayden .
RispondiEliminagrazie per la segnalazione correggo
Eliminaho corretto tutto
EliminaBellissima storia ❤ peccato che in alcuni punti i nomi si invertono
RispondiEliminacorreggo immediatamente
Eliminacorretto tutto
EliminaAllora, scrittura buonissima come sempre (ma attenzione ai nomi invertiti in alcuni punti), personaggi ben fatti e poco stereotipati, pronti x ogni tipo di approfondimento, trama notevole! Il mini colpo di scena finale nn me lo aspettavo proprio... come al solito super brava. Ogni quanto attualizzi?? Perché qui nn ho molta pazienza X aspettare il seguito, mi ha intrigato troppo!!!
RispondiEliminaTento di attualizzare ogni 10 15 giorni. Grazie per la segnalazione, verifico subito. spero tu abbia sufficiente pazienza, purtroppo scrivo di notte e non sempre riesco a mentenere un ritmo costante.
Eliminacorretto tutto
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