domenica 16 giugno 2019




THE SAME PASSION Capitolo IV – CHAOS THEORY


Quando Riky riprese coscienza, rimase per un tempo indefinito, immobile, senza aprire gli occhi, limitandosi ad ascoltare, respirando lentamente. I rumori, dapprima ovattati, divennero man mano più definiti. Passi lontani, voci, che provenivano sicuramente fuori dalla stanza in cui si trovava. Già, dove si trovava? Non era sul pavimento, strinse le mani, toccarono un tessuto ruvido, pelle? Era steso su un divano? Per quale motivo si trovava lì? Inalò profondamente. Cercò di concentrarsi nel ricordare cosa fosse accaduto, era tutto così confuso. Passi, qualcuno si stava avvicinando.
-       Riky. Sei sveglio? – la voce di Efrem gli penetrò nel cervello, risvegliando i ricordi, il suo battito cardiaco accelerò. Doveva restare calmo, riprendere il controllo. Senza capirne il motivo un ricordo gli esplose nella mente, una lezione a cui aveva assistito quando frequentava l’università. Il professore accennò alla “teoria del caos”, la frase che enunciò gli rimase impressa nella memoria, “Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza.”, era esattamente come si sentiva in quel momento, Efrem era la sua personale valanga, lo avrebbe ucciso? E se Shogo fosse stato l’elettrone? Quella stessa valanga sarebbe potuta diventare la sua salvezza? “Forse sto impazzendo”. Era ancora lì, lo percepiva chiaramente, il suo respiro, riempiva la stanza. Iniziò a parlargli senza dischiudere gli occhi.
-       Perché? Dimmi solo per quale cazzo di motivo non riesci a lasciarmi in pace. – Efrem si appoggiò con la schiena alla scomodissima sedia incrociando le braccia.
-       Puoi anche non credermi, non ti stavo affatto cercando, è stato del tutto casuale. Lavoro da solo, non faccio più parte dello studio di mio padre, da mesi. – “bugiardo, bugiardo e subdolo”, doveva allontanarlo, subito. Spalancò gli occhi e lo fissò, senza timore.
-       Rinuncia. Tu non hai bisogno di questo lavoro per sopravvivere, io sì. Rinuncia. – Efrem, riusciva a scorgere, dentro i suoi occhi, l’odio. Ma era certo, che sepolto da tutto quell’odio, covasse ancora amore, quell’amore che solo con lui aveva conosciuto.
-       No. Ora ascoltami tu, non bevo più da diciotto mesi, ho smesso di tirare il giorno stesso che te ne sei andato. Ho lasciato la mia famiglia, vivo solo del mio lavoro. – “non ci casco” pensò Riky.
-       Non mi interessa chi sei diventato, non mi interessa che ora tu sia pulito, mi interessa esclusivamente di non avere più nulla a che fare con te. – Efrem trattenne la rabbia che sentiva salirgli dentro prepotentemente.
-       Facciamo un patto. Lavoriamo insieme, solo lavoro, se dovessi anche solo fare un minimo approccio nei tuoi confronti, rinuncerò. Sono disposto anche a metterlo per iscritto. – l’uragano Martina irruppe nella stanza, prima che Riky potesse rispondergli.
-       FUORI! FIGLIO DI… - Efrem si alzò dalla sedia alzando le mani. “Ecco, di nuovo quel sorriso sarcastico.” Pensò Riky, osservando la scena. Martina si stava avvicinando minacciosamente.
-       Me ne vado Marti, tranquilla, è tutto tuo. Ti chiamo Riky, dobbiamo finire di parlare. – fece un inchino teatrale a Martina e se ne andò. Martina si precipitò al capezzale di Riky.
-       Hey, ma che è successo? Hanno chiamato un medico, dice che sei disidratato e che hai avuto un crollo, dovuto probabilmente a stress da lavoro. E lui cosa ci faceva qua? – Riky si sedette e l’abbracciò.
-       Calmati donna. Il crollo l’ho avuto quando stavo per stringergli la mano, subito dopo avere saputo che lui sarà la persona insieme alla quale dovrò lavorare per i prossimi sei mesi. – Martina lo scostò bruscamente.
-       In nessun modo! Non esiste! Dobbiamo organizzarci, stasera stessa troviamo un altro appartamento e… - Riky le mise una mano sulla bocca per zittirla.
-       No, non scapperò questa volta. Se voglio davvero che questo circolo vizioso s’interrompa devo accettare il fatto che lui esiste. Devo dimostrare a me stesso che non mi può più fare del male. – Martina si portò le mani sul viso, era preoccupata, Riky pensò che una sorella, non sarebbe stata così premurosa e presente, come lei era sempre stata. I suoi pensieri s’interruppero improvvisamente quando la porta si spalancò, sbattendo energicamente sul muro. Shogo entrò ansimando, appena lo vide, sveglio e seduto sul divano, si curvò su sé stesso, cercando di recuperare il fiato. Riky rivolse a Martina uno sguardo di rimprovero.
-       E lui, cosa ci fa qui? – Shogo si fece avanti, cercando di togliere dai guai Martina.
-       Eravamo al telefono, quando Martina ha ricevuto un messaggio, nel quale, il titolare dello studio, le stava spiegando che eri svenuto, mi ha dato l’indirizzo e… eccomi qua. – Martina prese le mani a Riky.
-       Devi dirglielo, è necessario. – il panico s’impadronì nuovamente di Riky, la testa riprese a girare. Shogo appoggiò una mano sulla spalla di Martina.
-       Non so cosa dovrebbe dirmi, Martina, ma forse, è meglio rimandare, non mi sembra né il momento né il luogo. Lo porto a casa. – dopo avere raccolto tutto il suo materiale Shogo lo trasportò, praticamente di peso, nella sua auto. Martina, dopo avere fatto un milione di raccomandazioni a entrambi, seguì con lo sguardo l’auto finché poté, era in buone mani, ne era convinta, ma non poteva fare a meno di sentirsi ansiosa. Arrivati a casa di Riky, Shogo lo spogliò e lo mise a letto, stendendosi al suo fianco. Riky si sistemò i cuscini dietro la testa, rimasero in silenzio per qualche minuto.
-       Mammina, sto bene. Puoi tornare al lavoro, me la caverò. Nulla che un po’ di riposo non possa rimediare. Oltretutto, lo so perfettamente che l’hai fatto solo per poter avere la scusa di spogliarmi e vedere il mio magnifico corpo, che non hai il permesso di toccare. – Shogo scoppiò a ridere.
-       Lo sapevo che mi avresti beccato! Comunque non me ne andrò, ti cucinerò qualche piatto, che metterò nel frigo e, se la tua dispensa risulterà vuota, andrò a farti un po’ di spesa. Dopo di che, quando ti sarai svegliato, ti obbligherò a mangiare e ti rimetterò a letto. Solo allora, se sarò convito che starai meglio, potrò andarmene. – Riky chiuse gli occhi, era così confortante averlo al suo fianco, avrebbe potuto farci l’abitudine.
-       Shogo… Martina ha ragione, dobbiamo parlare, devo parlarti di… - Shogo lo interruppe, sfiorando con l’indice le sue labbra.
-       Non voglio sapere nulla, non fino a quando non ti sentirai davvero pronto e so che non lo sei. Dormi, non posso alzarmi da qua, se non ti vedo addormentato. – Dio quanto gli era grato di non sottoporlo alla tortura del ricordo, non poteva capire quanto.
Efrem uscì dalla stanza, indispettito dall’arrivo inopportuno della Marti, non l’aveva mai potuta sopportare, quell’impicciona. Mentre scendeva le due rampe di scale, che l’avrebbero portato all’uscita, batté contro alla spalla di un ragazzo, che stava salendo le scale.
            Mi scusi. – lo sorpassò velocemente, salendo gli scalini a due a due. Ma lui non ci fece caso, la sua mente, il suo corpo, erano impregnati di Riky. Era ancora bellissimo, quei due anni, non avevano fatto altro che renderlo ancora più bello. L’avrebbe conquistato ancora, pezzo per pezzo. Lui era suo, era sempre stato suo. Fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrato, nove anni prima…

La facoltà di architettura del Politecnico di Milano, era situata in un edificio moderno, Efrem si era diplomato a pieni voti al liceo artistico, non vedeva l’ora di iniziare l’università, del resto, lui, quel mestiere l’aveva nel sangue. Il lavoro era già assicurato, suo padre, aveva fondato uno degli studi più rinomati e quello studio, un giorno, sarebbe diventato suo. Aveva mille progetti nella mente, avrebbe rivoluzionato il mondo dell’architettura, ne aveva le capacità e la determinazione. Entrò nell’atrio dell’ateneo con il sorriso stampato sul viso. In mezzo all’atrio, notò subito un ragazzo, stava vomitando parolacce degne di uno scaricatore di porto. Lo zaino in cui portava la sua roba si era rotto, tutto quello che si trovava al suo interno, era sparso sul pavimento. Si avvicinò, appoggiò il suo zaino su una sedia, e si mise ad aiutarlo a raccogliere le cose che gli erano cadute a terra.
-       Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. – intravide il suo viso, parzialmente coperto dai lunghi capelli neri, sembrava arrossito “che dolce, ti leccherei.”
-       A me farebbe piacere, in un caso del genere, se qualcuno si fermasse ad aiutarmi. – continuò imperterrito a raccogliere oggetti e libri. Si fermò solo quando notò un comic, che era rimasto aperto. Lo raccolse, in quella pagina, i disegni mostravano due ragazzi che stavano scopando nelle posizioni più incredibili, improvvisamente volò via dalle sue mani.
-       Molla il mio manga! – “interessante, cammini dalla mia stessa parte, a quanto pare”, pensò Efrem. Il ragazzo si era alzato con una valanga di roba in mano, si alzò anche lui, lo sovrastava di almeno dieci centimetri. Era magro, ma non esile, la sua pelle era bianca come il latte, il suo viso era pieno di lentiggini, aveva gli occhi grigi, incorniciati da bellissime sopracciglia. L’ovale del suo viso gli ricordava una madonna del settecento e le sue labbra erano carnose e morbide, nel suo sguardo c’era un’ombra di malinconia, che lo rendeva ancora più adorabile. “Amo l’università”, era come se il destino, gli avesse confezionato un regalo di benvenuto. Mentre il ragazzo, continuava a mettere in ordine le cose che aveva raccolto da terra, Efrem aprì il suo zaino, da dove estrasse una sacca e una borsa di plastica.
-       Tieni, il tuo zaino non è affidabile, puoi mettere la tua roba qua, non importa neppure che tu mi restituisca queste borse. – il ragazzo si fermò e si mise a fissarlo.
-       Te le renderò invece, non mi piace avere dei debiti. Solo… tra qualche giorno, per ora, non ho abbastanza soldi per potermi comprare un altro zaino. – Aveva abbassato lo sguardo, come se si vergognasse di sé stesso e di ciò che aveva appena dovuto ammettere, suo malgrado. Efrem allungò la mano verso di lui.
-       Io sono Efrem e sarei felice di prestarti il mio vecchio zaino, fino a che non potrai comprarne un altro. – il ragazzo gli strinse la mano e sorrise, fu come se un raggio di sole attraversasse l’atrio e illuminasse tutto.
-       Io mi chiamo Riccardo, Riky per gli amici e tu sei davvero mooolto gentile! – continuarono a chiacchierare, mentre raggiungevano l’aula per la lezione di quel giorno, scoprendo di aver scelto il medesimo indirizzo di studi. Alla fine della giornata, mentre si avviavano all’uscita, una ragazza, molto carina, con degli incredibili occhi azzurri, corse incontro a Riky, saltandogli al collo.
-       Marti! – la ragazza lo stringeva forte a sé, Efrem era al loro fianco e non nascondeva la sua irritazione. Un uomo, vestito elegantemente, si avvicinò a loro. Efrem abbassò lo sguardo, con un sussurro si rivolse a lui.
-       Ti avevo chiesto espressamente di non venire, giusto? – suo padre sorrise, alzando un sopracciglio, si somigliavano moltissimo, guardando il padre, si poteva immaginare come sarebbe stato il figlio alla stessa età. Riky si sorprese a pensare che non era affatto male.
-       Non mi sarei perso il tuo primo giorno di università, per nulla al mondo, ho prenotato al club, meglio che ci sbrighiamo. - Efrem rivolse un cenno di saluto a Riky, incenerì con lo sguardo Martina e sparì dietro all’uomo.
-       E quello? – Riky le raccontò tutto ciò che era accaduto in maniera entusiasta.
-       Non mi piace, ha qualcosa che… - Riky alzò le spalle.
-       A me invece piace, e parecchio. – gli rispose Riky, mostrandole la lingua.
Le prime settimane di università passarono in un lampo, erano spesso insieme e quando non lo erano, trovavano ogni tipo di scusa per vedersi o sentirsi per telefono. Finché una sera, Riky, che per arrotondare lavorava in un pub, lo ritrovò fuori che lo aspettava, alla fine del suo turno.
-       Hey, che ci fai qui? Il pub sta per chiudere, volevi una birra? – Efrem era appoggiato alla sua moto, Riky si avvicinò.
-       Non sono venuto per una birra, sono venuto a prenderti. – Riky si fermò a due passi da lui, interrogandolo con lo sguardo, era così serio, forse aveva fatto qualcosa che lo aveva fatto arrabbiare? Efrem si alzò dalla moto afferrandolo, letteralmente, lo strinse a sé.
-       Sono venuto a prendere ciò che mi appartiene. – la voce di Efrem era ruvida, profonda, Riky era ipnotizzato dai suoi occhi. Gli accarezzò i capelli con entrambe le mani, portandoli dietro al capo, li strinse attorno alla su mano e lo attirò verso le sue labbra. Fu un bacio dato con una passione devastante, quando si staccò da lui, Riky sentiva che le sue gambe non gli rispondevano più.
-       Ti voglio, ti desidero ora. Ogni momento che passiamo insieme brucio di desiderio. – mentre glielo diceva si strusciava sulla sua gamba, il suo membro, sotto gli stretti jeans, palpitava. Riky ansimava, come se avesse appena terminato di salire cinque rampe di scale, di corsa.
-       Non possiamo andare da me, mia madre e mio padre sono in casa, loro non sanno che io… - Efrem sorrise, velocemente risalì sulla moto.
-       Sali. – Riky salì, era in trance. Si fermarono in un hotel, dove lui sembrava essere “di casa”, non gli chiesero neppure i documenti. La stanza era anonima, ma pulita e carina. Mentre si guardava attorno, le mani di Efrem gli afferrarono le spalle.
-       Spogliati, voglio guardare il tuo corpo nudo, ho immaginato questo momento dalla prima volta che ti ho visto. – lo voltò verso di sé, allontanandosi di poco e iniziò a spogliarsi a sua volta, Riky non riusciva a muoversi dall’emozione. Anche se non era la sua prima relazione, mai nessuno lo aveva travolto in quel modo, mai nessuno lo aveva desiderato così intensamente. Efrem era muscoloso, come tutti i rossi era pieno di lentiggini anche sul corpo, i suoi occhi color amaranto luccicavano nella penombra. Riky iniziò lentamente a spogliarsi, la percezione del suo sguardo aumentava a dismisura la sua ansia, sollevò lo sguardo e vide che Efrem si stava accarezzando l’uccello sopra gli slip, era talmente duro che non doveva usare l’immaginazione, per capire che ci sarebbe stato bisogno di un lungo tempo di preparazione, prima di prenderlo, arrossì violentemente al solo pensiero.
-       Sei così sexy quando arrossisci… me lo stai facendo scoppiare. – anche i boxer di Riky erano diventati troppo piccoli, per contenere la sua eccitazione, ma non si decideva a levarseli.
-       Nudo… - la voce di Efrem, era una scarica di adrenalina che lo attraversava, finendo direttamente nel suo basso ventre. Facendo uno sforzo su sé stesso, li tolse, aveva il cuore in gola e il suo uccello era bagnato di pre-seme, si sentiva oscenamente bene.
-       Mmmh… ora, mettiti in ginocchio e levami gli slip. – come ogni volta che si trovava in situazioni di tensione, il suo mutismo diventava inevitabile, avrebbe voluto rispondere, ma dalla sua bocca non uscì nulla, si mise in ginocchio. Efrem gli infilò le dita nella bocca, esplorandola lascivamente e lui rispose circondandole con la lingua.
-       Spalanca la bocca. – lo penetrò, infilandolo lentamente fino alla gola, e ne uscì.
-       Wow, lo prendi tutto… leccalo. – Riky era così eccitato, che avrebbe fatto di tutto, lo prese tra le sue mani, leccandolo per tutta la sua lunghezza, ma pochi istanti dopo, si trovò scaraventato sul letto. Sentiva le sue mani che lo accarezzavano, la sua lingua che scendeva lentamente verso il basso, stava perdendo la testa. Le sue dita entrarono dentro di lui portandolo al limite, per poi detenersi. Lo voleva così tanto, da provare dolore. Efrem si accorse che era pronto, gli alzò le gambe, fermandosi un istante, Riky lo fissò implorante, lo penetrò spingendosi lentamente fino in fondo, senza smettere di guardarlo, mentre si contorceva dal piacere violento che stava provando.
-       Il tuo culo mi sta risucchiando, mi vuoi così tanto? – si appoggiò su di lui e lo baciò, iniziando a muoversi sempre più velocemente. – ci avrei scommesso che a letto eri una gran troia, sei perfetto per me. - Riky non riuscì più a trattenersi, il suo sperma gli inondò il torace.
-       Sii vieni per me… non credo che resisterò ahhhh.. – Riky sentì il suo calore invaderlo dentro, solo in quel momento, si rese conto che non si era messo il preservativo.
Divennero inseparabili, a letto Efrem era passionale, a volte fin troppo rude, ma fuori, nella vita, era il compagno ideale, premuroso, dolce, pieno di attenzioni, sempre presente. Riky se ne innamorò perdutamente. Anche se, alcune volte, il suo essere premuroso, scivolava nella possessività, Riky era felice. Nel corso dell’ultimo anno di università, la loro relazione era diventata ufficiale, almeno per la famiglia di Efrem, che lo aveva presentato ai suoi genitori come “il mio compagno”, non aveva remore a dichiarare la sua omosessualità, al contrario di Riky, che la manteneva segreta, soprattutto ai suoi genitori. Quando si laurearono, la madre di Efrem, regalò loro un appartamento, e quasi subito, andarono a vivere insieme. Ai suoi genitori, Riky, aveva raccontato che lo avevano affittato e che dividevano le spese. Tutto andava a gonfie vele, Efrem lo fece assumere nello studio di suo padre, dove aveva iniziato a lavorare anche lui da poco. C’era un'unica nota stonata, in tutto questo, Efrem, da quando erano andati a vivere insieme, trovava mille scuse per non farlo uscire, nemmeno con Martina. Anche quando i suoi amici, o lei, lo venivano a trovare a casa, doveva essere sempre presente, stava diventando opprimente e questo, a Riky, iniziava a dare davvero fastidio.
-       Hey, venerdì prossimo devo uscire a cena con Martina e i nostri compagni delle medie. – “te lo sto comunicando, non ti sto chiedendo il permesso”, aveva cercato di marcare la sua frase, per farglielo capire.
-       Vengo con te. – “non è un opzione”, quella perentorietà nella frase di Riky, lo aveva irritato.
-       No. Nessuno ci va con il consorte! Devi smetterla di comportarti così, non puoi tenermi rinchiuso in una gabbia. – Efrem lo stava scrutando, ma Riky non intendeva dargliela vinta.
-       Io ho fiducia in te, non ho fiducia in quella manica di smidollati che hai sempre frequentato. Non c’è anche il tuo primo “amorino”, in questa riunione? – Riky rise istericamente.
-       È questo il tuo problema? – Efrem si alzò rumorosamente dalla sedia avvicinandosi a lui. Gli accarezzò il viso, poi, improvvisamente, glielo strinse in una morsa, portandogli il collo all’indietro.
-       Ok, stai attento a quello che fai. – quella notte Riky dormì sul divano, era furioso. Si tennero il muso per tutta la settimana, ma Riky non mollò, quel venerdì sera uscì, da solo. Si divertì moltissimo, come non succedeva da anni. Quando ritornò a casa, Efrem era sveglio, lo stava aspettando.
-       Ciao. – si tolse il soprabito e andò in bagno. La porta del bagno si aprì, mentre stava per entrare nella doccia. Efrem, senza dire una parola, gli immobilizzò le braccia sopra la testa, sbattendolo contro al muro.
-       LASCIAMI! CHE CAZZO STAI FACENDO! – Efrem, stava esaminando attentamente ogni punto del suo corpo, lo girò, bloccandogli il viso attaccato alla parete, e fece altrettanto con la parte di dietro. Gli infilò due dita dentro, per cercare di trovare qualche traccia di un possibile rapporto, facendogli male.
-       EFREM! TI HO DETTO DI SMETTERLA! – lo lasciò andare, e uscì dalla stanza, lasciandolo lì, tremante e terrorizzato. Tornò a dormire sul divano, era incredulo. A metà della notte qualcosa lo svegliò, Efrem era seduto a fianco del divano, la testa appoggiata sul suo ventre, dormiva. Lo scosse leggermente.
-       Mi dispiace, il solo pensiero che qualcuno ti possa toccare… se tu mi lasciassi potrei impazzire. – lo baciò.
-       Stupido idiota, io ti amo, non potrei mai tradirti. – quella notte fecero l’amore, teneramente, fu così intenso e dolce, che Riky dimenticò tutto all’istante. Però, Martina, quando sentì il racconto di Riky, si convinse che c’era qualcosa di sbagliato, nella loro relazione, e da quel momento cercò di fare di tutto, per farglielo capire. Da allora, era uscito almeno una volta al mese, con Martina. Efrem, seppur di malavoglia, aveva imparato ad accettare la cosa.
-       Venerdì esco. Martina mi ha invitato a una cena con i suoi colleghi, sono tutti accompagnati, lei sarebbe l’unica senza cavaliere. – Efrem, per la prima volta, sembrò persino felice per lui.
-       Divertiti e salutamela, ricordale che sei gay, ok? – Riky si mise a ridere. Quella notte, non se la sarebbe dimenticata, mai più. Bevve molto, un collega di Martina si offrì di accompagnarlo a casa, erano le tre del mattino. Sotto casa, al momento di salutarsi, gli saltò letteralmente addosso, baciandolo, Riky per un attimo rispose a quel bacio, era così ubriaco! Efrem, lo stava aspettando sotto casa, era preoccupato, Riky non rispondeva alle sue chiamate e neppure Martina. Vide tutto. Quello che non vide, fu lo schiaffo che Riky diede al suo accompagnatore, proprio mentre Efrem rientrava. Quando aprì la porta di casa, trovò Efrem in piedi, al centro della stanza. Gli si avvicinò silenziosamente, lo baciò e iniziò a spogliarlo. Appena fu completamente nudo, un pugno lo raggiunse in pieno viso, cadde per terra, sbattendo la testa. Semicosciente, sentì che Efrem lo raccolse da terra e lo mise sul letto, si sentì rivoltare e tirare, ma poi tutto divenne sfocato. Quando tornò in sé, era legato gambe e braccia al letto. Efrem era seduto su una sedia, in un lato della stanza, non lo vedeva chiaramente, la stanza era in penombra.
-       Lo sapevo, da quanto va avanti questa storia eh? Dalla prima volta che sei uscito con quella puttana di Martina? – si alzò dalla sedia e si stese accanto a lui, Riky si dimenava, ma le corde erano talmente strette, che il sangue faticava a circolare. – sei una cagna in calore. Ora ti farò capire cosa succede alle cagne come te. – Riky era terrorizzato, Efrem, in mano, aveva la cinghia dei pantaloni. Il primo colpo lo raggiunse su una coscia. Urlò.
-       FERMATI! TI STAI SBAGLIANDO, LUI MI HA BACIATO, IO GLI HO MOLLATO UNA SBERLA. – cercava di giustificarsi, non poteva essere vero, lui non stava per fargli male.
-       Devo metterti un bavaglio o riesci a smettere di urlare? – la seconda e la terza cinghiata gli arrivarono sulle natiche. Si morse il labbro e iniziò a piangere come un bambino. – Non lo stava ascoltando, non lo avrebbe ascoltato. Efrem si distese di nuovo al suo fianco.
-       Già piangi? Ho appena incominciato, il bello deve ancora venire. Ti pentirai amaramente di avermi tradito. – continuò a martoriarlo di cinghiate, soddisfatto gli liberò le gambe, Riky sperò che fosse finita, ma capì, quasi immediatamente, che non era così. Efrem gli sollevò le anche.
-       Ti prego, non farlo, non così… mi farai ma… – le parole si spensero nella sua gola, quando sentì un dolore lancinante, mentre lo penetrava, non gli restava neppure una lacrima, in una notte, gli aveva tolto tutto, del loro amore restava solo il ricordo.
Quella mattina, Riky fu risvegliato dal dolore che stava provando, il suo aguzzino, gli stava spalmando un unguento sulle ferite, tremava sotto il suo tocco, Efrem gli stava parlando dolcemente, ma le sue orecchie, non riuscivano a percepire il senso delle sue parole. Nei giorni successivi, Efrem tentava di avvicinarlo, ma Riky gli sfuggiva e non gli parlava, anzi, non parlava più. Le settimane passarono, Efrem iniziò a fare tardi, e a bere. Tornava spesso a casa ubriaco. Riky aveva paura di lui, ma lo amava ancora. Riky decise di riavvicinarsi, quando vide che si stava perdendo, ma ogni volta che lui arrivava a sfiorarlo, non riusciva ad accettarlo e lo allontanava di nuovo. Efrem iniziò anche a tirare coca, passava da momenti di tristezza malinconica, dovuti all’alcool, a momenti adrenalinici, dovuti alla coca. Ricominciò a picchiarlo ogni volta che riceveva un rifiuto. Una sera, disperato, Riky uscì con Martina, lo aveva ridotto male, la sera prima. La sua faccia era inguardabile, il labbro, che gli aveva rotto la settimana prima, era martoriato dai colpi che aveva nuovamente ricevuto.
-       Non puoi andare avanti così. Devi andartene, devi lasciarlo, subito! – Riky in cuor suo lo sapeva, ormai l’amore che provava era stato coperto dalla paura e dall’odio.
-       Non so come fare, ho paura. – Martina ci stava pensando da un po’, aspettava soltanto che gli dicesse che era pronto.
-       Domani, mentre lui è al lavoro, fai le valige, passo a prenderti alle undici. Fidati di me, sono mesi che penso a cosa fare. - Lo accompagnò a casa, sperando che almeno quella sera lo lasciasse in pace. Quella sera stessa, Martina mise in moto il suo piano. Avrebbe fatto dormire Riky dall’amica di sua madre, Sissi. Una donna tutta d’un pezzo, che era sempre pronta ad aiutare il suo prossimo. Sarebbe rimasto da lei il tempo necessario per organizzargli una nuova vita. Avrebbero fatto tutti fronte comune, avrebbero fatto in modo che Riky potesse ricominciare a vivere. Ma restava un punto dolente, Riky doveva spiegare cosa stava succedendo ai suoi genitori, non poteva nasconderglielo, sicuramente Efrem lo avrebbe cercato anche lì, ed era decisamente meglio che lo venissero a sapere dal proprio figlio, che da un estraneo, che per altro, era completamente fuori di testa.

Riky si risvegliò nel tardo pomeriggio, sentì dei rumori provenire dalla cucina, rimase ancora un po’ a crogiolarsi tra le lenzuola, il suo stomaco emise un grugnito. Si alzò e si diresse in cucina, Shogo era intento a cucinare, strani odori provenivano dalle pentole e la sua amata cucina era un disastro, rise.
-       Hey, bell’addormentato! Non preoccuparti, dopo pulisco tutto io! – Riky si avvicinò, mettendosi dietro di lui. Appoggiò il suo mento al suo braccio per curiosare, Shogo rimase immobile.
-       Se fai così, mi rendi difficile mantenere la mia promessa… - Riky alzò la testa verso di lui, sorridendogli malizioso.
-       Ho tanta fame. E tu devi fare il bravo. – Shogo deglutì rumorosamente, sentiva il corpo di Riky appoggiarsi lieve sul suo, non era per nulla facile. Riky si mise seduto, pochi minuti dopo, Shogo, gli servì un piatto di pollo alle mandorle e riso. Ne aveva cucinato una quantità così esagerata, che avrebbe potuto sfamare un intero villaggio. Mangiò con gusto, il vino che aveva comprato era delizioso, ben presto si sentì di nuovo sé stesso.
-       Shogo, la persona che oggi mi ha provocato questa specie di “shock”, è il mio ex. Non starò a spiegarti nel dettaglio, ma lui mi ha fatto male, fisicamente e moralmente. Però, se tu mi chiedessi cosa provo per lui, io, a distanza di due anni, sinceramente, non saprei cosa risponderti. – Shogo assorbì quelle parole come se fossero veleno, provò, per la prima volta, un sentimento a lui sconosciuto, la paura.
-       Quindi? – Riky non voleva ferirlo, gli piaceva, gli piaceva tantissimo. Se solo il suo cuore glielo avesse permesso, se solo nella sua mente le cose si fossero chiarite.
-       Tu mi piaci, lo sai. Nei prossimi mesi io sarò costretto a lavorare di nuovo con Efrem, non fraintendermi, non è mia intenzione rimettermi con lui, ma, non voglio iniziare una nuova relazione, preoccupandomi costantemente di non fare nulla che possa ferirti. – Shogo serrò le mascelle, era dura sentirsi rifiutati. Ma non era certo il tipo che si faceva mettere in un angolo così facilmente.
-       Doveva capitare anche a me, prima o poi. Ora ti dirò una cosa, che avrei voluto dirti in altre circostanze, io mi sono innamorato di te. – Riky si morse il labbro – perciò, attenderò con pazienza che il tuo cuore si liberi del tutto. Quando succederà, ti riempirò di così tanto amore, che una vita non ti basterà per assorbirlo tutto. Fino ad allora, permettimi di restarti accanto come amico. – Riky era rimasto senza parole. Se solo fosse riuscito a spezzare quelle catene invisibili che lo tenevano ancora legato a Efrem…

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4 commenti:

  1. Amo Shogo sempre di più......Efrem è uno Str....o,questa storia mi intriga sempre di più....aspetto il prossimo capitolo

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  2. Efrem persona insicura, debole e chi più ne ha più ne metta,via via lontano. Ele.Levriero

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  3. Mai giudicare una persona dalle apparenze...

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