Another
Door
Prologo
Mark
guardò l’orologio sulla parete, mancava ancora un quarto d’ora e poi,
finalmente, avrebbe potuto lasciare il suo ufficio. Normalmente questo non
accadeva alle diciassette e trenta, lui rimaneva sempre ben oltre l’orario canonico,
ma quella sera aveva un appuntamento a cui non poteva mancare. La porta si
spalancò, proprio mentre stava chiudendo il collegamento del suo computer.
«Hey
capo, alle otto andiamo tutti al Black Rabbit, ti unisci a noi?» Mark non si
univa a loro quasi mai ma, un po’ per rispetto, un po’ perché speravano di
vederlo sorridere di nuovo, continuavano ad invitarlo.
«Ti
ringrazio Telma, ma ho un impegno.» Telma sgranò gli occhi, era abituata a
sentirsi dire “ti ringrazio, devo ancora finire un lavoro, sarà per la prossima
volta.”, almeno aveva cambiato scusa, pensò.
«Ok,
ma se dovessi cambiare idea, noi saremo lì fino a tardi.» le sorrise, mentre
sistemava le ultime cose e prendeva il soprabito dall’attaccapanni. Era
venerdì, come sempre si fermò al Xi’an Famous Food, per ritirare la cena
d’asporto, un’abitudine a cui rinunciava di malavoglia. Un ora dopo raggiunse
il suo appartamento a Manhattan. Quando aprì la porta, Minù l’accolse con il
suo miagolio di benvenuto, le diede subito la dose massima di carezze a cui
l’aveva abituata e, dopo avere riempito la sua ciotola di croccantini e
cambiato l’acqua del dispenser, si mise a trafficare in cucina. La sera prima,
per anticipare un po’ i tempi, aveva preparato tutto quello che gli sarebbe
servito per cucinare la torta che piaceva a Brian. Si era anche fermato a
comprare, nella distilleria “Da Giuseppe”, il suo vino preferito, il Gewürztraminer,
che Giuseppe faceva arrivare da una particolare cantina del Trentino. Uniti gli
ingredienti, infornò la torta e, nel frattempo, ne approfittò per buttarsi
sotto la doccia. Si fece la barba e si cosparse del profumo preferito da Brian.
Si guardò allo specchio, malgrado non riuscisse a frequentare con continuità la
palestra, alla soglia dei quarant’anni, era ancora un bell’uomo, si compiacque
del suo ventre piatto e muscoloso e dei bicipiti torniti, soprattutto del
tatuaggio del serpente che ne attraversava uno, peccato di gioventù del quale
non si era mai pentito. Si chiese se il suo corpo avrebbe ancora eccitato Brian
come il giorno in cui si erano conosciuti. Si preparò con cura, i boxer
preferiti, quelli di cotone morbido che mettevano parecchio in risalto le sue
doti, anche “a riposo”, e il completo blu, quello che esaltava il suo
fondoschiena. Preparò con cura la tavola, ed infine sfornò la torta,
decorandola con la classica scritta “Buon compleanno Brian”, completando il
tutto con le candele appositamente comprate per l’occasione. Rimirò il suo
lavoro, era davvero una tavola impeccabile, a Brian sarebbe piaciuta senza
ombra di dubbio. Mancava solo una cosa. Andò in camera e prese la foto che
faceva bella mostra sul grande comò antico. La mise accanto al piatto e si
sedette.
«Auguri
Brian, quest’anno sarebbero stati quarantacinque.» gli occhi gli si riempirono
di lacrime. Gli mancava come il primo giorno, anzi, gli mancava ogni giorno di
più. Inaspettato, il suono del campanello lo fece trasalire. Nessuno dei suoi
amici l’avrebbe mai disturbato senza avvertirlo, ancora meno in “quel giorno”
particolare. Conscio di quanto potesse sembrare strano quello spettacolo,
spostò la foto di Brian, nascondendola dietro il grande televisore della sala,
ed andò alla porta.
«Chi
è?» il videocitofono non gli rimandò alcun viso sullo schermo, ma qualcuno si
mise a bussare direttamente alla porta.
«Salve,
sono il nuovo inquilino dell’appartamento a fianco. Mi sono appena trasferito e
avrei bisogno di un piccolo aiuto.» guardò dallo spioncino, un ragazzo
piuttosto giovane, era in attesa, dietro la sua porta. Non si era reso conto di
avere un nuovo vicino, a quanto ne sapeva lui, nell’appartamento a fianco,
viveva da sempre la signora Fitzgerald. Aprì la porta.
«Salve!
Sono Ethan! Ethan Johnson. Mi sono trasferito qui oggi e ho il frigo
completamente vuoto.» gli disse tendendogli la mano. Gli strappò un sorriso,
quel ragazzo era decisamente senza ritegno.
«Salve,
Mark Cook. Se vuole posso prestarle qualcosa.» Mark si diresse in cucina,
mentre Ethan si accomodò nel soggiorno.
«Scusi
il disturbo! Accidenti che tavola! Mi scusi se ho disturbato, stava per cenare?
Però il suo ospite non è ancora arrivato?» Mark s’innervosì per quell’irruenza
che sfiorava la maleducazione, prese un paio di uova e dell’insalata di mare
confezionata, ritornando velocemente in soggiorno.
«Ecco
qua.» Ethan lo fissò, quell’uomo era davvero un maschio di razza. E aveva un
culo strepitoso, oltre a due occhi blu che gli facevano ribollire il sangue.
«Mark,
sono già le nove, il tuo ospite non ti avrà dato buca? Se è così, potrei farti
compagnia, lo dico per evitare di sprecare quel ben di Dio che vedo sulla tua
tavola!» Mark rimase spiazzato, non sapeva se mettersi a ridere o sbatterlo
fuori a calci nel culo.
«Scusa
ma tu normalmente ti autoinviti in casa degli sconosciuti?» Ethan gli regalò il
sorriso che usava per rimorchiare. Quello che metteva in evidenza le sue
fossette e i suoi occhi ambrati.
«No,
normalmente non lo faccio. Ma sarei uno stupido a non approfittare di una cena
così invitante, e di un padrone di casa così affascinante.» Mark scoppiò a
ridere, chissà che cosa avrebbe pensato Brian di quella situazione surreale. Lo
guardò meglio, non riusciva a determinare la sua età, ma era un bellissimo
ragazzo e, se il suo gay-radar non lo stava ingannando, era decisamente
passivo.
«D’accordo,
nuovovicinosenzavergogna, visto che, a quanto sembra, il mio ospite non verrà
più. Se davvero ci tieni, puoi farmi compagnia.» Ethan gli sorrise di nuovo e
si diresse alla tavola, sedendosi, senza saperlo, nel posto in cui,
abitualmente, si sarebbe seduto il festeggiato. Per un attimo il cuore di Mark
si fermò, e gli apparve nettamente davanti l’immagine di Brian mentre si
accomodava. Prese un lungo respiro, mentre si sedeva accanto a lui.
«Allora
Mark, di chi ho preso il posto?» forse fu per la semplicità con cui glielo
chiese, o forse voleva semplicemente vedere come avrebbe reagito. Comunque sia,
Mark trovò che fosse naturale svelargli tutto.
«Ti
stai per mangiare la cena di mio marito.» Ethan ricontrollò la mano sinistra
dell’uomo, lo faceva sempre, e questa non era stata un’eccezione. Era certo di
non avere visto alcun anello nell’anulare di Mark e infatti non c’era.
«Allora
è meglio che non mi faccia trovare quando ritornerà.» Mark fece un mezzo
sorriso e si alzò, andando a recuperare la foto che aveva nascosto dietro il
televisore.
«Non
c’è pericolo che torni, è morto tre anni fa e oggi, avrebbe compiuto
quarantacinque anni. Lo faccio tutti gli anni. Uno dei tanti modi che ho per sentire
ancora la sua presenza.» Ethan pensò che fosse una delle cose più dolci e
tristi che avesse mai sentito. Mark stava per riportare la foto nella stanza,
quando Ethan lo richiamò.
«Perché
la porti via? Non mi sembra corretto, è il suo compleanno. Lo festeggeremo
insieme, mettila qui sul tavolo.» Mark si mise a ridere, riportando la foto e sistemandola
sul tavolo di fronte a sé.
«Ora
parlami di te Mark.» quel ragazzo era una ventata d’aria fresca, lo stava
investendo infilandosi in ogni fessura che trovava aperta.
«Non
c’è molto da dire, lavoro nella City, dirigo un ufficio in una società di
revisioni contabili. E tu?» Ethan si era appena avventato nell’abbondante piatto
di spaghetti alla soia con carne.
«Io
ho appena aperto il mio studio veterinario a Midtown, mi sono indebitato per i
prossimi duecento anni, per fortuna nonna mi ha lasciato questo appartamento,
altrimenti sarei costretto a dormire in macchina.» parlava tra una forchettata
e l’altra, sembrava che non mangiasse da mesi.
«Quindi,
deduco che tu sia il nipote della signora Fitzgerald, e che purtroppo ci abbia
lasciato.» Ethan, senza smettere di mangiare scosse la testa.
«Oh,
no no, mia nonna mi ha lasciato l’appartamento perché ha deciso di andare a
vivere in Florida, in un pensionato per anziani, mai stata meglio!» un rivolo
di salsa di soia gli sfuggì dalla bocca. D’istinto Mark lo raggiunse con la
punta dell’indice, per evitare che la goccia gli sporcasse la maglietta bianca.
Mentre Mark stava per ritirare la mano, Ethan gli bloccò il polso succhiandogli
con avidità le dita intrise di salsa. Mark ritrasse la mano, cercando di
controllarsi, ma il suo sesso non ne voleva sapere assolutamente, la pressione
sul pantalone attillato divenne immediatamente fastidiosa.
«Vado
a prendere la torta.» gli disse con la voce che gli si era abbassata di almeno
un tono. Sperando che non si accorgesse della grossa protuberanza che
continuava a crescere, si diresse in cucina.
«Non
mi dire che l’hai fatta tu!?» Mark annuì facendo una smorfia.
«Era
la preferita di Brian. E sì, l’ho fatta io.» accese le candeline.
«Vuoi
spegnerle tu Ethan?» Ethan si sollevò leggermente, sporgendosi in avanti.
«Con
piacere.» gli rispose, prima di soffiare spegnendole al primo colpo.
«Buon
compleanno Brian, ovunque tu sia.» disse Mark con un sorriso pieno di dolcezza.
Servì la torta, che Ethan gradì, prendendone un enorme fetta. Sorseggiarono il
caffè, concedendosi anche un liquore non ben identificato, che Mark aveva
comprato molto tempo prima, sempre da Giuseppe.
«Grazie
della compagnia Ethan.» Ethan lo guardò mordendosi il labbro inferiore. Con
delicatezza capovolse la foto sul tavolo. Mark corrugò la fronte.
«Per
quale motivo l’hai fatto?» Ethan si alzò da tavola, portandosi al suo fianco.
«Perché
sto per portarmi a letto suo marito, e non credo che gli farebbe piacere.»
l’erezione che aveva rimandato indietro con tanta difficoltà, ritornò più
potente di prima. Si alzò, lo sovrastava di almeno dieci centimetri.
«Non
ti basta avere scroccato un’intera cena, pretendi anche il dopo cena?» Ethan
gli sfiorò le labbra alzandosi sulle punte dei piedi.
«Allora
mandami via…ma non credo che il tuo “amico” sarebbe molto d’accordo.» gli
rispose, ammiccando alla patta dei suoi eleganti pantaloni blu.
«Ti
avverto, sarà solo questa volta, non si ripeterà.» Mark aveva stretto un patto
con sé stesso, sesso e solo quello, mai più di una volta con lo stesso uomo.
«Non
mi pare di averti chiesto nulla, ma visto che è solo questa volta, spero che ti
impegnerai a fondo, Mark vediamosescopicomecucini.» “al diavolo” pensò Mark, catturò
le sue natiche attirandolo a sé e premendo la sua erezione su quella del
compagno. Gli prese il labbro inferiore in bocca succhiandolo, provocandogli un
gemito. Infilò le mani sotto la sua maglietta trovando i capezzoli, che
stuzzicò con decisione. Gli tolse la maglietta, continuando a stuzzicarli con
la lingua, succhiando e leccando, fino a che vide Ethan aumentare il ritmo del
respiro.
«Seguimi.»
lo prese per mano, portandolo in camera, e lo buttò sul letto. Si tolse i
vestiti, rimanendo con i suoi boxer aderenti, che poco lasciavano
all’immaginazione.
«Per
la miseria Mark, dimmi che sei completamente in tiro, perché altrimenti me ne
vado.» per tutta risposta, sorridendo diabolicamente, Mark si tolse i boxer,
prendendo in mano il suo sesso turgido, completamente in tiro.
«Vuoi
assaggiare?» ammiccò avvicinandosi alle sue labbra. Ethan non se lo fece
ripetere due volte, anche se era dubbioso di riuscire a prenderlo tutto.
Percorse l’asta dalla base fino alla punta, che stuzzicò con la lingua con piccoli
circoli, entrando infine nella fessura. Mark lo guardava, ansimando. Succhiò la
punta e lo inglobò lentamente fino alla gola, appena si abituò alla sensazione,
continuò pompando sempre più velocemente. Il ragazzo ci sapeva fare, erano anni
che qualcuno non glielo succhiava così bene, sentiva il suo sesso arrivare fino
alla parete della gola di Ethan che, contraendosi, lo mandava in estasi. Ci
mancò poco che Mark venisse, lo fermò quando ormai si trovava sull’orlo del
baratro, staccandolo da sé quasi violentemente.
«Ora
tocca a me.» gli levò jeans e boxer, scoprendo, piacevolmente, che era
completamente depilato, come piaceva a lui. Risalì il suo interno coscia,
baciando e mordendo la sua pelle, succhiò i suoi testicoli, mentre con un dito
penetrava la sua piccola fessura pulsante. Impaziente, poco dopo, gliene infilò
un secondo cercando con entrambi di dilatarlo il più possibile, facendolo
gemere senza smettere di succhiarlo e baciarlo.
«Io
credo di essere pronto…» gli disse Ethan con un filo di voce. Mark prese un
preservativo dal cassetto, infilandolo velocemente. Gli sollevò le gambe e si
spinse lentamente dentro di lui. Ethan trattenne il fiato, forse aveva
sottovalutato la grandezza del sesso del suo compagno, il dolore si stava
propagando in tutto il suo fondoschiena. Mark uscì fino a metà, poi si spinse
di nuovo dentro, fino in fondo. Piano piano, il dolore si trasformò in calore,
mentre Mark aumentava le spinte.
«Posso
darci dentro Ethan?» Ethan spalancò gli occhi.
«Perché,
non lo stai già facendo?» Mark lo baciò con passione, accompagnando una
stoccata che lasciò Ethan di nuovo senza fiato. Poi gli sussurrò roco
nell’orecchio:
«Questo
era solo l’aperitivo…» aumentò il ritmo, fino a che Ethan non capì più nemmeno
dove si trovava, e venne sul suo stesso ventre mugolando come un gattino,
vedere l’estasi che gli stava provocando, fece venire anche Mark, che riempi il
preservativo dentro di lui, svuotandosi completamente.
Crollò
al suo fianco, guardò la foto sul comodino, Brian lo stava guardando. Per la
prima volta da quando non c’era più, era riuscito a scopare senza pensare a lui.
Pensò che forse, il suo Brian, in quel giorno speciale, gli avesse voluto fare
un regalo.
Copyright © 2020 Veronica Reburn
Tutti i diritti riservati
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o
a persone
realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Adoro😍😍😍
RispondiEliminaGrazie!
EliminaBellissima!!
RispondiEliminaGrazie!!
Elimina😍😍😍😍😍😍
RispondiEliminaWow.. bellissima😍
RispondiEliminaGRAZIE!
EliminaLeggo solo ora!! Che inizio!!!! Come al solito mi piace quello che scrivi...
RispondiEliminatanks. questo prologo ha vinto un contest e ho deciso di sviluppare la storia
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