THE SAME PASSION Capitolo VII – Wonderful confusion
Riky non sapeva quanto tempo avrebbe dovuto rimane a Dominica, e neppure quale fosse il luogo esatto dove si sarebbero diretti. Era così arrabbiato, così frustrato, da tutta quella situazione. Situazione dove, per altro, si era infilato tutto da solo! Mancava meno di un’ora poi, Efrem, sarebbe passato a prenderlo. Fece un rapido riesame dei bagagli e dei documenti, convincendosi di avere preso tutto ciò che serviva. Era venuto il momento di chiamare Martina e sua madre, aveva volutamente lasciato questo passaggio come ultima cosa da fare, se aveva poco tempo per parlare, Martina avrebbe avuto poco tempo per farlo dubitare e, sempre adducendo la stessa scusa, non avrebbe dovuto dare tante spiegazioni a sua madre.
- Marti, ciao. Spero che tu non abbia impegni importanti, per i prossimi, diciamo… tre sabati. – Martina era ancora al lavoro, si alzò dalla scrivania, portandosi in una stanza vuota.
- No, non per ora. Perché? – Martina era sovrappensiero, non gli stava dando peso.
- Devo partire, per lavoro, non dovrei stare via per più di due o tre settimane. Potresti portare mia madre a fare la spesa al sabato? – lo aveva fatto tante di quelle volte, durante i primi mesi in cui si nascondeva, lo avrebbe fatto volentieri anche per le prossime settimane.
- Certo! E dove te ne vai di bello? – ora veniva il peggio, Riky era pronto a sentire le sue urla.
- Ci sono dei problemi, sul progetto su cui sto lavorando, devo andare sul posto. Parto tra tre ore circa. – malgrado fosse distratta, un campanello iniziò a squillare nel suo cervello.
- Vai… solo? – “tolto il dente, tolto il dolore”, pensò Riky, mentre cercava di fare uscire la voce.
- Vado con Efrem. – gli occhi di Martina iniziarono a lanciare fuoco e fiamme.
- Ma sei diventato scemo? Ti rendi conto che, quando sarete da soli, lui farà di tutto per rimettersi con te? Sono sicura che sta tramando qualcosa! E Shogo, lo sa? – non aveva urlato, e già questo era un successo.
- Punto primo, non sono scemo. Punto secondo, sì, ha sicuramente in mente qualche piano diabolico, ma non funzionerà. Punto terzo, non esiste che mi rimetta con lui. Punto quarto, Shogo lo sa, e si è incazzato come un serpente, ma questo non significa che io rinunci, è il mio lavoro, se non riesce ad avere fiducia in me, mi dispiace, vuol dire che mi sono sbagliato un’altra volta. – “quanto sei testone amico mio!” Martina, sapeva che sarebbe stato inutile insistere, quando decideva qualcosa, non lo fermava nessuno.
- Pretendo di avere le coordinate esatte di dove andrete, se tra tre settimane non sei a casa, ti vengo a prendere e ti riporto indietro. – quelle gliele avrebbe date subito, appena ne fosse venuto a conoscenza, ci teneva anche lui a non sentirsi isolato.
- Appena arrivo in aeroporto te le scrivo, forse è quello che mi ci vuole, restare solo con lui per chiudere una volta per tutte con il passato. Sto bene con Shogo, anche se ora lo riempirei di insulti, ma ancora non riesco ad essere del tutto me stesso. Tutta questa confusione non mi permette di capire ciò che provo, non riesco a smettere di avere paura. – Martina sospirò, rumorosamente, forse aveva ragione lui, questa volta, ma non era certa, che avrebbe resistito ai lavaggi del cervello che Efrem era sempre riuscito a fargli.
- Voglio sentirti almeno una volta al giorno, non importa che ora sia, qui in Italia, tu, prima di andare a dormire, scrivimi, se mancherai anche solo una volta, saprò che qualcosa non va, perciò, non dimenticarti. – “che esagerata!”, non capiva per quale motivo, ma non riusciva a sentirsi realmente in pericolo.
- Devo andare, sono quasi le quattro, tra poco Efrem passa a prendermi. Ti voglio bene. – chiuse la chiamata. Controllò i messaggi, Shogo non era stato on-line dal giorno prima, e non l’aveva chiamato. Decise di scrivergli.
- Sto per andare all’aeroporto, sei stato infantile e mi hai fatto sentire sprovveduto. Cosa dovrei dire io, quando fai le tue “sessioni fotografiche”, con quei modelli che mi fanno sentire orrendo? Non mi sarei mai permesso, di dirti cosa tu possa o non possa fare, soprattutto, se si fosse trattato di lavoro. Non volevo che ci fossimo lasciati in questo modo… ieri notte… è stato magnifico. Spero di ritrovarti, quando tornerò. – inviò il messaggio, pregando che si collegasse. In quel momento, puntuale come sempre, Efrem suonò il campanello. Compose il numero di sua madre, mentre prendeva le valige e le portava vicino alla porta.
- Mamma, ciao. Ho pochissimo tempo, perciò ascolta. Sto partendo per lavoro, per qualsiasi cosa avessi bisogno, chiama Martina, mi sono già messo d’accordo. Non ti preoccupare, appena posso ti chiamo. – sua madre rimase senza parole, non le aveva minimamente accennato, alla possibilità che avesse dovuto intraprendere un viaggio di lavoro.
- D’accordo, sicuro che vada tutto bene? – “in questo momento non so neppure chi sono, ma sì, tutto bene”, pensò.
- Stai tranquilla, ora ti devo proprio lasciare, il taxi è arrivato, devo caricare le valige. – era arrivato davanti all’auto di Efrem con le valige, lui sghignazzò, mentre lo aiutava a caricarle nel baule. Salirono sull’auto, e per il primo tratto di strada non parlarono.
- Ho sempre pensato, che tu fossi la persona più sincera che io avessi mai conosciuto, ma, evidentemente, mi sbagliavo, visto che mi hai appena chiamato “taxi”. – Riky si voltò a guardarlo con aria di sufficienza.
- Sono curioso, con chi pensi che stessi parlando? – “sapevo che avresti ceduto, prima o poi”, aveva appena rotto il patto, ora era libero di parlargli di ciò che voleva.
- Con Shogo? – Riky si mise a ridere.
- Ero al telefono con mia madre, come credi che avrebbe reagito, sapendo che andavo in viaggio con te? – Efrem alzò un sopracciglio.
- Con il “me” attuale, o con il “me” del passato? – Riky scosse la testa.
- Non ha importanza, fossi anche diventato “San Francesco”, non potrebbe mai perdonarti. – Efrem annuì stancamente.
- E tu? – erano fermi a un semaforo, ancora pochi minuti e avrebbero parcheggiato.
- Io, cosa? – il semaforo diventò verde e il loro contatto visivo s’interruppe.
- Tu, mi hai perdonato? – Riky si stava innervosendo.
- Hai appena rotto il patto. Dovrai licenziarti, quando torneremo da questo viaggio. – Efrem non rispose, parcheggiò l’auto e iniziò a togliere le valigie dal bagagliaio. Chiuse l’auto e s’incamminarono verso l’entrata. Efrem era dietro di lui, appena caricarono il bagaglio sul nastro, per il controllo, si avvicinò al suo orecchio e gli disse, con un filo di voce:
- Ti sbagli, non sono io che ho rotto il patto, tu hai fatto la prima domanda, io avevo fatto solo un’affermazione, pensaci… - non riuscì a rispondergli, lo aveva appena giocato, un’altra volta, con una facilità disarmate. Improvvisamente, tutte le sue convinzioni di potergli tenere testa, crollarono. Iniziò a sentirsi come una pecora che finisce dentro la tana di un lupo affamato. Il suo telefono, gli segnalò l’arrivo di un messaggio.
· IO SAREI QUELLO INFANTILE? IO? – “come riesci ad arrivare sempre nel momento giusto?”, riusciva a dargli forza, anche se era così incazzato.
· Ma… hai letto tutto? – si era seduto nel terminal, sapeva perfettamente, che Efrem lo tallonava e lo stava osservando.
· Il fatto che sia stato magnifico, non significa nulla, se tu… - Shogo non riuscì neppure a finire la frase, era così arrabbiato! Se solo avesse potuto avere tra le mani Efrem!
· Tu, mi vuoi davvero? Vuoi davvero prendermi così come sono, pieno di ferite e di paure? Come puoi essere sicuro di riuscire a starmi accanto, se neppure io riesco a farlo, in certi momenti! Io devo uscirne, e lo devo fare da solo, ti prego, se davvero mi vuoi, lascia che io mi liberi di queste catene, o non riuscirò mai a tornare me stesso. – rilesse ciò che aveva scritto, senza rendersene conto, era finalmente riuscito ad esprimere tutto ciò che realmente provava. Passarono interminabili minuti, Shogo era on-line, ma non rispondeva, Riky cercava di non guardare Efrem, era troppo nervoso.
- Mi puoi dire esattamente quale sarà la nostra meta finale? – doveva scriverlo a Martina, gliel’aveva promesso.
- La nostra meta finale è Soufriere Bay - St. Lucia, nella Repubblica di Dominica. Volo diretto per Miami, e successiva coincidenza per Saint Lucia. Ho prenotato una piccola villetta sul mare, più economica e pratica di un hotel, e ci permette anche di poter lavorare meglio, e a qualsiasi orario. Ho noleggiato una jeep, il terreno che dobbiamo valutare è in collina, e le strade non sono esattamente “asfaltate”. Ho soddisfatto la domanda? – mentre gli stava spiegando, lui scriveva parola per parola a Martina. Shogo ancora non rispondeva.
· Tra 3 secondi Riky entrerà in modalità panico. 2… 1 – Shogo iniziò a scrivere, Riky fermò il conteggio.
· Stai pensando esclusivamente a te, e lo capisco. Non ho mai provato cosa significasse essere gelosi, ora lo so e, credimi, non mi piace affatto. Non ti cercherò, diventerei pesante, e non voglio. Non chiedermi di essere “tollerante”, non credo che ci riuscirei. Neppure io mi sento più “me stesso”. Fai quello che devi fare, ma non posso darti la mia benedizione. Quando ho deciso di buttarmi con te, non mi interessava chi fossi o chi fossi stato, volevo tutto il pacchetto, ma non sono disposto a dividerti con qualcun altro. Sono così arrabbiato… fai buon viaggio. – un dolore lancinante gli attraversò lo stomaco, cos’era, un addio? Stava per rispondergli, ma vide che non era più on line. In quel momento, annunciarono il loro volo:
· “I passeggeri del volo Milano Miami con coincidenza per St. Lucia sono pregati di portarsi all’imbarco”.
- Pronto? – Riky si alzò, seguendolo. Avevano i posti centrali, si mise le cuffie e iniziò a guardare un film. Aveva deciso di ignorarlo per tutto il viaggio, se gli avesse parlato, lo avrebbe inondato di veleno e, sinceramente, neppure quello si meritava più. Quasi undici ore di volo, passate completamente in silenzio, per fortuna, di quelle undici ore, più della metà le aveva passate a dormire, e questo gli aveva giovato, il suo umore, al risveglio, non era più così pessimo. Arrivarono a Miami, l’orologio segnava le dodici e poco più. Il volo della Air Caraibes, la loro coincidenza per St. lucia, sarebbe partito due ore dopo.
- Dobbiamo andare al terminal HJ sud, concurse. Hai fame? – accidenti se ne aveva! Non aveva mangiato quasi nulla, sull’aereo.
- Sì, decisamente, ho fame. – Efrem gli indicò la strada, quell’aeroporto era immenso, Riky odiava i posti troppo grandi, lo facevano sentire indifeso. Dopo una, decisamente lunga passeggiata, arrivarono al terminal.
- Ci fermiamo lì, l’ultima volta ho mangiato divinamente. – il “Bongos cuban cafe”, sembrava un grande bar circolare, gli sgabelli erano disposti intorno.
- A me sembra un bar… - si sedettero fianco a fianco.
- Ti spiace se ordino per entrambi? – era troppo frastornato per ribattere.
- Basta che mi fai mangiare. – Efrem prese i menù, una ragazza, dal bancone, gli si avvicinò, mangiandolo con gli occhi.
- Croquetas, palomilla e lechon asado, per due. Ah, acqua e due Bongos Mohito. – la prima cosa che arrivò fu il Bongos Mohito.
- Alla nostra, che questo viaggio dia i suoi frutti. – Efrem alzò il bicchiere verso di lui.
- Non chiedo di meglio. – gli rispose Riky, facendo incontrare i loro bicchieri. Non avrebbe dovuto bere, l’alcool gli scioglieva la lingua, e non solo. Ma il cibo cubano, che servivano in quel locale, era realmente delizioso, quando finirono di mangiare, si sentiva davvero bene.
- Non ti ricordavo così goloso! – Efrem lo aveva osservato mangiare, sembrava non averne mai abbastanza.
- Se non fosse che, da ieri, non ho praticamente mangiato nulla! – Efrem estrasse la sua carta di credito, prima che Riky potesse tirare fuori il suo portafogli dalla tasca.
- Ok, la prossima volta faccio io. – Efrem porse la carta alla ragazza, che continuava a guardarlo, come se non avesse mai visto un maschio in tutta la sua vita, regalandole un sorriso che la fece sciogliere.
- Non ti preoccupare, va tutto in rimborso spese. – scesero dagli sgabelli, Riky si rese conto che, le sue gambe erano diventate pesanti.
- Hey, sembri un po’ brillo… - Riky gli fece una smorfia.
- Colpa tua, non dovevi farmi bere. Dormirò ancora per quasi tutto il restante viaggio, poi non dormirò più per quindici giorni… - mancavano ancora più di nove ore di viaggio, ed era già esausto.
- Vorrà dire che ti farò compagnia, non ci siamo mai annoiati insieme, almeno credo… - la sua testa era leggera, quando salì sull’aereo, si addormentò quasi subito. Aveva la sensazione, che qualcuno gli stesse accarezzando il viso, ma, pensò, che fosse un sogno. Non lo era. Appena Efrem vide che era praticamente collassato, non riuscì più a trattenersi, gli accarezzò il viso, varie volte, percorrendo i suoi lineamenti. Avrebbe potuto rispondere a qualsiasi domanda che lo riguardasse, era certo di non sbagliare nessuna risposta, lo conosceva meglio di sé stesso.
Atterrarono in perfetto orario, alle 23.37 erano già saliti sulla jeep, che avevano noleggiato. Ancora pochi minuti e, finalmente, avrebbero potuto scaricare i bagagli e farsi una agognata doccia. La piccola villetta, era a poco più di trecento metri dalla spiaggia, ma, con il buio, non riuscivano a scorgere che il riflesso della luna sull’acqua. L’odore di salsedine, riempiva i loro polmoni, l’aria era quasi fresca. Entrarono, la casa era profumata e pulita, arredata senza tanti fronzoli. Le due camere da letto, erano attigue, il bagno era a fianco di una di esse. La sala, aveva un angolo cottura molto spazioso e un bel divano.
- Direi di sistemarci, e poi andare a mangiare qualcosa, quale camera scegli? Sempre che tu non voglia compagnia… - Riky si diresse, senza indugio, verso la camera più vicina al bagno.
- Se era un invito, farò finta di non averlo capito, vado io, a fare la doccia per primo. – Efrem si diresse nell’altra camera, con il sorriso stampato sulle labbra. Gli piaceva quando era così combattivo! Riky fece una doccia veloce, ed uscì dal bagno già vestito. Bussò alla porta della camera di Efrem.
- Il bagno è libero. – Efrem uscì dalla stanza, ringraziandolo. Riky si appoggiò sul comodo divano, in attesa che, anche lui, fosse pronto per uscire. Uscì dal bagno, decisamente non vestito. Riky non poté fare a meno di guardarlo, nei suoi ricordi, seppur non lontani, quel corpo non lo ricordava così, come definirlo… scolpito.
- Scusa, mi sono dimenticato la biancheria. – gli disse, parandosi davanti a lui. Riky lo guardò con aria di sfida.
- Nulla che non abbia già visto, ma, ti pregherei, d’ora in poi, di evitare. – Efrem si girò, la visuale del suo “retro”, era uno spettacolo ancora più invitante.
- I tuoi occhi, sono sempre stati più onesti, delle tue parole. – Riky si trattenne dallo scoppiare a ridere, stava diventando davvero difficile, non ricordare i loro momenti migliori. Dopo poco, era pronto per uscire.
- Visto che tu sei l’esperto, dove mi porti, a quest’ora di notte? – lo stava pianificando da così tanto tempo, che dirlo a voce alta, gli stava costando. Gli sembrava di spezzare il sogno che aveva nutrito con tanta dedizione.
- JADE CLUB SOUFRIERE, ho prenotato, ci attendono e ho fame. – Riky scrisse a Martina che andava tutto bene, temeva di dimenticarsi, poi, rimase a guardare la chat, indeciso se scrivere anche a Shogo. Iniziarono a inerpicarsi per una strada, l’aria era deliziosamente frizzante, piena di profumi tropicali.
- Eccoci arrivati, è un Resort, con ristoranti terrazzati. – il cameriere li guidò ad un tavolo appartato su una delle terrazze, il panorama, di giorno, doveva essere mozzafiato. Tutt’intorno, sia sui tavoli, che per terra, c’erano candele accese. Il menù era invitante.
- Io prendo un Grilled Chiorizo and chiken croquette, caraibbean spiced king fish e, per finire, glazed mango parfait, tu, Riky? – aveva appena elencato tutto ciò che avrebbe scelto.
- Uguale. Vino bianco, per favore. – Efrem sorrise sornione.
- Lo sai, qui hanno il Caraccioli Cellars 2007 Brut Rosé. – “ma non mi dire!”, lo fissò, come se volessi infilargli due spilloni nelle pupille.
- Hai pensato proprio a tutto, eh? – chiuse il suo menù e lo porse al cameriere. – bene, vada per il Caraccioli, e un aperitivo? – “vuoi giocare? Vediamo se ti ricordi anche questo.” A Riky, iniziava sempre più, a sembrare una partita di poker, non vedeva l’ora di “vedere” le carte del suo avversario.
- Vediamo… due Negroni “sbagliati”, 3 cl di spumante, 3 cl di campari e 3 cl di martini. – il cameriere sparì dalla loro vista, lasciandoli soli.
- Questo, dimostra solo che hai una memoria infallibile. – Eferm si appoggiò alla poltrona.
- Questo, dimostra che non ho dimenticato nulla, né di te, né di noi. – Riky passò, pesantemente, una mano sul viso. Il cameriere ritornò, con gli aperitivi, eclissandosi immediatamente.
- Efrem, cosa vuoi da me? – Efrem, lo stava fissando, con uno sguardo che non gli aveva mai visto, se avesse dovuto descriverlo a parole, avrebbe scelto la parola “reverenza”.
- Per ora, mi accontenterei di poter chiarire alcune cose. – disse, alzando il bicchiere nella sua direzione.
- Quale momento migliore, allora! Prego, chiarisci. Da dove vogliamo iniziare? Da prima o dopo che mi hai violentato? – Riky ricacciò indietro le lacrime, che sentiva salirgli, inesorabili. Il viso di Efrem, era una maschera di pietra. Si schiarì la voce.
- Vorrei farti una domanda, in realtà, avrei una lista infinita di domande da farti… Prima che io dessi di matto, e iniziassi a farti del male, cosa ti viene in mente, dei mesi precedenti? – “che domanda bizzarra.” Pensò Riky.
- Rispetto a cosa? – Efrem bevve un lungo sorso.
- Com’era il nostro rapporto? – lo sguardo di Riky si perse lungo l’orizzonte.
- Penso stessimo passando, quello che, in una coppia, si potrebbe definire, un periodo di apatia. – Efrem sorrise amaramente.
- Apatia… a malapena mi guardavi, l’unica cosa a cui pensavi, era a come ritrovare la tua libertà. Mi sentivo messo da parte. – “adesso la colpa è mia!”, non ci sarebbe cascato.
- Quindi, perché eravamo un po’ in crisi, per la prima volta, se non ricordo male non era mai successo, ti senti giustificato di tutta la merda che mi hai fatto subire? – per la prima volta, Riky, scorse sul suo viso, tutta la sua disperazione.
- Nulla, può giustificare tutta la “merda” che ti ho fatto, nulla. Stavo solo cercando di spiegarti, cosa mi ha fatto arrivare a quel punto. E non lo sto facendo, né per giustificarmi, né per farti sentire in colpa. La colpa è mia, solo mia. In nessun modo, riuscirò mai a cancellare ciò che ti ho fatto. Mi dispiace, infinitamente. – Riky lo osservava, il suo viso era rimasto duro come la roccia, mentre diceva quelle parole, ma trasudava dolore, in ogni suo movimento.
- Ok. Non so se riuscirò mai a perdonarti, ma ti sono grato, di ciò che hai appena ammesso. – Efrem finì di bere il suo aperitivo.
- Shogo, da quanto tempo… - a Riky, parve di sentire una certa apprensione, in quella domanda, lasciata sospesa nell’aria.
- Un paio di mesi. – il solerte cameriere, servì la prima portata. Iniziarono a mangiare.
- Ti tratta bene? – buttava le sue domande sul tavolo, con estrema semplicità, ma Riky, era certo, che fosse tutto studiato, lui, aveva sempre un piano, era nella sua natura.
- Fin troppo. – “ma se io prima di parlare imparassi a contare fino a 100!”, si pentì subito di quella risposta, fin troppo sincera. La seconda portata arrivò, il vino era fresco e Riky non si tratteneva.
- Non bere troppo, sai che effetto ti fa… - “ti piacerebbe!”, Riky era molto sicuro di sé, il vino lo rendeva più audace.
- Non corri nessun pericolo con me, tranquillo. – Efrem scoppiò a ridere e Riky lo seguì.
- Ho sempre avuto la curiosità, di come avrebbe reagito, un “macho” come te, a fare la parte del ricevente. – il dolce arrivò puntuale, erano quasi le due, probabilmente, il cuoco aveva voglia di andarsene a dormire, vista la velocità con cui erano stati serviti. Efrem bevve un sorso di vino e si appoggiò alla poltrona.
- Se sapessi che, per tornare con te, questo basterebbe, lo prenderei anche tutte le sere. – a Riky cadde la forchetta nel piatto, arrossì violentemente.
- Questa proprio la vorrei vedere! AH AH AH AH – Riky, pensò che si stesse burlando di lui.
- Quando vuoi Riky, quando vuoi. – a Riky girava la testa, ma era quasi certo che, il vino c’entrasse ben poco. Ritornarono alla villetta, la luna rischiarava tutti i contorni di blu, rendendo l’ambiente fiabesco.
- Buonanotte Riky, se hai bisogno sono qua, di fianco a te. – Riky gli sorrise e entrò nella sua stanza. Aveva accumulato così tante emozioni in quella giornata che, ora, era esausto.
La sveglia suonò alle sette, fecero colazione nel bar sulla spiaggia, poi si recarono nel sito, per iniziare i rilievi. Il geologo li stava aspettando.
- Benvenuti! Signor Bardi. Lei dev’essere il Signor Lampis. – il geologo, era un uomo di mezz’età, un po’ sovrappeso. Mentre camminava, si doveva fermare spesso perché, quando parlava, andava a debito d’ossigeno.
- Ecco, i rilievi sono stati fatti in vari punti. – entrambi lo ascoltavano, in religioso silenzio – quella che abbiamo sotto i nostri piedi è, come vi ho scritto, una formazione granitica, alterata e fratturata. Dal lato destro, abbiamo del granito arenizzato, non mi è mai capitato, di dover costruire sopra un basamento di questo tipo, voi cosa suggerite? – continuarono a verificare le varie parti del terreno, mentre discutevano sulle possibilità. Verso mezzogiorno, scesero, mettendosi subito al lavoro. I giorni passarono con una velocità impressionante, ogni volta che sembrava avessero trovato la soluzione al problema, se ne presentava un altro e dovevano ricominciare da capo. Però, avevano ritrovato la complicità che avevano perso, l’uno completava i discorsi dell’altro, come quando erano all’università e studiavano insieme.
Riky, continuava a fare rapporto a Martina tutte le sere e, il giorno dopo, leggeva le sue risposte. Shogo, sembrava essersi volatilizzato. Riky, avrebbe voluto scrivergli, ma, man mano che i giorni passavano, si sentiva sempre più distante, inoltre, il fatto che non lo stesse cercando, lo aveva indispettito.
Quando Shogo smise di scrivere, spense il telefono, rimase supino sul letto a guardare il soffitto per un tempo infinito. Non l’avrebbe cercato, almeno per la prima settimana, non si sarebbe fatto vivo. Doveva farlo cuocere nel suo brodo. Del resto, si era trasformato nel perfetto fidanzato, come poteva scegliere quell’altro! Aveva avuto poco tempo, se solo lo avesse avuto per le mani qualche altra notte! Ancora qualche giorno e l’avrebbe raggiunto, si sarebbe ripreso ciò che era suo. Prese il cofanetto blu, che aveva appoggiato sul comodino, l’aprì. I due anelli gemelli brillavano sotto la luce. Gli avrebbe chiesto di sposarlo e gliel’avrebbe portato via, Riky era suo.
- Basta! Dobbiamo staccare il cervello. Metti il costume, pomeriggio in spiaggia. – Riky lo guardò perplesso.
- Avanti! Non dirmi che non hai preso un costume! – Riky si mise a ridere scuotendo la testa. Efrem sparì in camera sua e tornò con un piccolo costume blu.
- Mentre facevo la valigia è saltato fuori dal cassetto e l’ho preso con me, te lo avevo regalato la prima volta che eravamo andati a fare una vacanza al mare, ricordi? – glielo strappò di mano e andò ad indossarlo, malgrado fossero passati tanti anni, gli andava ancora bene. Uscì dalla sua stanza, Efrem lo prese per mano, la semplicità con cui lo fece, fu talmente disarmante, che Riky lo lasciò fare, s’incamminarono verso la spiaggia.
- Bagno? – Efrem si mise a correre tuffandosi nell’acqua cristallina.
- Vieni! L’acqua è meravigliosa! – titubante, Riky si avvicinò al bagnasciuga, mettendo i piedi in acqua. Efrem nuotava come un pesce, si stava allontanando da riva ad una velocità incredibile. Piano piano, iniziò ad immergersi. Efrem lo raggiunse, quando l’acqua gli arrivava alla cintura. Si alzò in piedi e lo guardò. Aveva la pelle d’oca e i capezzoli turgidi.
- È necessario che tu ti immerga, subito. – lentamente si avvicinò, sorridendo famelico.
- NON OSERAI! EFREM TI AVVERTO… SE MI BUTT… - Efrem si buttò su di lui e caddero in acqua. Quando risalirono, erano ancora abbracciati.
- Che vigliacco! – Riky si buttò all’indietro, per sistemare i capelli che gli cadevano davanti al viso, quando riemerse, Efrem era a pochi centimetri da lui.
- Mio Dio, sei un sogno, scusa, ma non sono riuscito a trattenermi. - Il corpo di Riky si mosse da solo, come se fosse un’ape attirata da un fiore. Si avvicinò a lui.
- Anche tu, non sei male. – “sto impazzendo”, con la mano gli accarezzò il viso e scivolò al centro del suo torace, un verso gutturale uscì dalla bocca di Efrem.
- Cazzo, Riky! Non arrabbiarti se poi io… - non finì la frase, la sua mano s’impadronì della sua nuca. Nessuno dei due chiuse gli occhi. Nella mente di Riky, scorsero le immagini di tutti i baci che si erano scambiati, come un lungo film, mentre si perdeva dentro la sensazione confortante della conoscenza. Il suo calore, la sua lingua, le sue labbra quando s’impadronivano di lui. Efrem lo allontanò un momento, guardandolo con infinita dolcezza poi, lo accolse tra le sue braccia, avvolgendolo. Riky sentiva i battiti dei loro cuori impazziti. “Cosa sto facendo! Che cazzo sto facendo!”, ma voleva restare lì, immobile, dentro le sue braccia, non esisteva più nulla.
- Ora… potrei portarti a casa e continuare questo meraviglioso discorso, ma… - Efrem aveva temuto quel momento, ma sapeva, che non avrebbe potuto evitarlo.
- Devo prima farti vedere una cosa. – doveva essere davvero cambiato, per non approfittare di un’occasione così golosa.
- Andiamo a casa. – dopo essersi lavati e rivestiti, si ritrovarono nella sala. Efrem aveva qualcosa, tra le mani.
- Se non l’ho tirato fuori prima, è perché non volevo che fosse questo, a farti prendere delle decisioni. Ho chiesto delle informazioni su Shogo. – Riky si rabbuiò immediatamente.
- Io le ho lette, le consegno a te. Fanne ciò che vuoi, ma penso sarebbe meglio che tu le leggessi. – gliele strappò dalle mani.
- Dovevo saperlo. Dovevo sapere che avevi un piano, per un istante, un piccolo insignificante istante, ho creduto che… - si alzò, prese il dossier e si chiuse in camera. Non ne uscì che la mattina successiva, ma l’incanto, era ormai rotto. Riky mise il dossier nella tasca esterna della valigia. Non voleva leggerlo, ma non riuscì a buttarlo, lo ripose lì, cercando di dimenticarsene.
“I passeggeri del volo Milano Miami, con coincidenza per St. Lucia, sono pregati di portarsi all’imbarco”.
- Sbrigati, dobbiamo imbarcarci! O non lo vuoi fare questo servizio? – Mimmo si alzò a fatica dalla sedia del terminal.
- Potresti almeno darmi una mano a portare la valigia! La mia schiena è a pezzi. – Shogo prese la sua valigia incamminandosi all’imbarco senza aspettarlo. “Riky, sto arrivando…”
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Questo ragazzo nn sta bene!! Come si fa, dico io, anche solo a pensare di avere un rapporto anche solo civile con il proprio stupratore??? Ma xké le vittime hanno spesso la sindrome della crocerossina?? Uno stupratore, per giunta violento e manesco, nn cambierà mai: resterà sempre uno stupratore!!! Ma è chiaro o no al ragazzino???
RispondiEliminapremetto, non giustifico in nessun modo lo stupro, non ha giustificazioni. e neppure lui si giustifica. sa di avere compiuto un atto abominevole. ma le cose non sempre sono come appaiono...
EliminaRiky ma sei impazzito.....dico io come fai a stare anche solo nella stessa casa?forza Shogo datti una mossa altrimenti è troppo tardi quell'idiota te lo porta via
RispondiEliminaThe same passion...
EliminaNon posso aspettare una settimana per sapere cosa succede��...sei una sadica��
RispondiEliminamuahhhh, mi hai scoperto
EliminaMa comunque Riky non è molto presente cavolo, anche lui si avvicina ad un tipo che ti ha picchiato,violentato e stolkerizzato ma come si fa dai....povero Shogo Ele Levriero
RispondiEliminaA volte l'avrei picchiato io di persona ahahahah
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